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Decadenza NASpI: no se si è amministratori

Una lavoratrice in NASpI si è vista richiedere la restituzione dei sussidi a causa del suo ruolo di amministratore in un’azienda pubblica, non comunicato all’ente previdenziale. Il Tribunale di Trento ha stabilito che la carica di amministratore non costituisce attività di lavoro autonomo ai fini della normativa NASpI, annullando la richiesta di rimborso e la Decadenza NASpI. La decisione si basa sul principio di immedesimazione organica tra amministratore ed ente, escludendo l’obbligo di comunicazione.

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Pubblicato il 10 ottobre 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

NASpI e Ruolo di Amministratore: Quando Non Scatta la Decadenza

La percezione dell’indennità di disoccupazione NASpI è soggetta a regole precise, soprattutto quando si svolge un’altra attività. Una recente sentenza del Tribunale di Trento ha chiarito un punto cruciale: ricoprire la carica di amministratore non comporta la Decadenza NASpI per omessa comunicazione. Questa decisione, allineata con la Corte di Cassazione, offre importanti tutele ai lavoratori.

Il Caso: Richiesta di Restituzione della NASpI

Una lavoratrice, dopo aver perso il lavoro, presentava domanda di NASpI nel giugno 2021. L’ente previdenziale accoglieva la domanda. Tuttavia, quasi due anni dopo, lo stesso ente le contestava la percezione del sussidio e le chiedeva la restituzione di oltre 3.200 euro.

La motivazione? La lavoratrice non aveva comunicato di ricoprire, già dal 2018, la carica di membro del consiglio di amministrazione di un’azienda pubblica di servizi alla persona, attività per la quale aveva percepito un gettone di presenza. Secondo l’ente, questa omissione integrava i presupposti per la decadenza dal diritto.

La Posizione del Lavoratore e dell’Ente Previdenziale

La lavoratrice si è opposta alla richiesta di restituzione, sostenendo due argomentazioni principali:
1. L’attività di amministratore era iniziata ben prima della domanda di NASpI.
2. La carica di membro del CdA non è configurabile come attività di lavoro autonomo o d’impresa ai sensi della normativa sulla NASpI.

L’ente previdenziale, di contro, insisteva sulla necessità della comunicazione entro 30 giorni dalla domanda di NASpI, pena la perdita del beneficio.

La Decadenza NASpI per Omessa Comunicazione: L’Analisi del Giudice

Il Tribunale ha esaminato la questione sotto due profili distinti, arrivando a una conclusione favorevole alla lavoratrice.

Attività Preesistente e Obbligo di Comunicazione

In primo luogo, il giudice ha respinto l’argomento secondo cui l’obbligo di comunicazione non si applicherebbe alle attività iniziate prima della domanda di NASpI. Citando un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, ha affermato che la comunicazione è sempre dovuta se l’attività lavorativa (autonoma o d’impresa) è contemporanea alla percezione del sussidio. Il termine di 30 giorni per comunicare decorre dalla data della domanda di NASpI.

Natura Giuridica del Ruolo di Amministratore

Il punto decisivo della sentenza riguarda la qualificazione giuridica della carica di amministratore. Su questo fronte, il Tribunale ha accolto pienamente la tesi della lavoratrice. Facendo riferimento a una specifica pronuncia della Corte di Cassazione (n. 8456/2024), ha stabilito che la carica di membro del consiglio di amministrazione non rientra nelle categorie di lavoro (autonomo, subordinato, co.co.co.) la cui omessa comunicazione causa la Decadenza NASpI.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della motivazione risiede nel concetto di immedesimazione organica. L’amministratore non è un soggetto terzo che fornisce una prestazione all’ente, ma è l’organo stesso attraverso cui l’ente agisce. Manca quindi il requisito della coordinazione tipico di altri rapporti di lavoro. Di conseguenza, la carica di amministratore non può essere assimilata a un'”attività lavorativa autonoma o di impresa” ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.Lgs. 22/2015.

Poiché l’attività non rientrava in quelle da comunicare obbligatoriamente, la sua omissione non poteva causare la decadenza dal diritto. Il Tribunale ha quindi accertato il pieno diritto della lavoratrice a percepire la NASpI per il periodo contestato e ha dichiarato illegittima la richiesta di restituzione avanzata dall’ente previdenziale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza rafforza un principio fondamentale: non tutte le fonti di reddito diverse dal lavoro dipendente sono uguali ai fini della NASpI. La decisione chiarisce che la carica di amministratore, per la sua specifica natura giuridica, non genera l’obbligo di comunicazione previsto per evitare la decadenza. I lavoratori che si trovano in situazioni analoghe hanno ora un solido precedente a cui fare riferimento per tutelare il proprio diritto all’indennità di disoccupazione, evitando indebite richieste di restituzione da parte degli enti.

Ricoprire la carica di amministratore di una società è considerata un’attività di lavoro autonomo che va comunicata per non perdere la NASpI?
No. Secondo la sentenza, che si allinea alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la carica di membro del consiglio di amministrazione non è riconducibile a un’attività di lavoro autonomo o d’impresa ai fini della normativa sulla NASpI. Pertanto, l’omessa comunicazione non comporta la decadenza dal beneficio.

Se un’attività lavorativa (compatibile con la NASpI) è iniziata prima della domanda di disoccupazione, bisogna comunque comunicarla?
Sì. Il tribunale ha chiarito, citando la Cassazione, che l’obbligo di comunicazione sussiste anche per le attività lavorative iniziate prima della domanda di NASpI, se queste proseguono durante la percezione del sussidio. Il termine di 30 giorni per la comunicazione decorre dalla data di presentazione della domanda di NASpI.

Cosa succede se l’ente previdenziale chiede la restituzione della NASpI per un motivo ritenuto infondato dal giudice?
In questo caso, il giudice ha accertato l’insussistenza del diritto dell’ente a richiedere la restituzione delle somme (ripetizione dell’indebito). Di conseguenza, il lavoratore conserva il diritto alla prestazione ricevuta e l’ente è stato condannato a rimborsare le spese legali sostenute dal lavoratore per difendersi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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