Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4740 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4740 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4038-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 795/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 29/10/2019 R.G.N. 173/2019;
Oggetto
Decadenza NASPI
R.G.N. 4038/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 14/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte d’Appello di Torino ha respinto l’appello di INPS confermando la pronuncia di primo grado di condanna al pagamento in favore di COGNOME NOME della prestazione NASPI denegata in sede amministrativa per non avere dichiarato il reddito derivante dalla propria impresa individuale. In particolare, richiamato un orientamento giurisprudenziale della Corte territoriale, ed illustrata la normativa di riferimento (artt. 10 e 11 D.Lgs. n.22/2015), l’impugnata pronuncia ha ritenuto che la decadenza si verifica quando l’interessato, nel periodo di fruizione della NASpI, dia inizio, cioè intraprenda, un’attività di lavoro autonomo senza effettuare la comunicazione del prevedibile reddito annuo ricavabile da tale attività, e non nella diversa ipotesi in cui il fruitore della predetta prestazione svolga attività lavorativa autonoma già anteriormente alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato (in dipendenza della quale viene corrisposta la NASpI), in ragione del tenore l etterale dell’art. 11 secondo cui la comunicazione del reddito vada effettuata entro 30 giorni dall’inizio dell’attività. Ha anche precisato che le disposizioni sulla decadenza, in quanto di natura eccezionale, non possono applicarsi in via analogica ai casi non espressamente previsti, di talché non era consentito ipotizzare l’intervenuta decadenza dal beneficio in questione, per il fatto di non avere l’interessato comunicato entro 30 giorni dalla domanda amministrativa di NASpI il reddito previsto come conseguibile per l’attività di lavoro autonomo svolta da epoca anteriore alla domanda stessa.
L’INPS propone ricorso affidandosi ad un unico motivo, a cui il COGNOME interpone controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie, nei termini di rito prima dell’adunanza camerale del 14 novembre 2024.
CONSIDERATO CHE
1.Con l’unico motivo il ricorrente istituto censura la violazione degli artt. 10 primo comma e 11 lett. c) del D.Lgs. n.22/2015, con riferimento all’art. 12 disp. prel. al cod. civ., in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c., ritenendo che, da una interpretazione non meramente letterale delle norme ma dalla loro connessione e dalla ratio legis, il significato delle parole ‘entro un mese dall’inizio dell’attività’ vada riferito al momento dell’inizio della concomitanza della indennità NASpI e della attività di lavoro autonomo; tale momento coinciderebbe con la presentazione della domanda amministrativa (nel caso di svolgimento di attività di lavoro autonomo intrapresa prima della data di cessazione del rapporto di lavoro e continuata durante il periodo di disoccupazione) o con la data in cui è effettivamente intrapresa l’attività (nel caso di svolgimento di attività di lavoro autonomo cominciata dopo la cessazione del rapporto di lavoro durante il periodo di disoccupazione). Per contro, sarebbe irragionevole ed ing iustificata l’interpretazione della norma nel senso che per la comunicazione di una attività intrapresa successivamente all’inizio della percezione della NASpI vi sia uno stringente termine decadenziale di un mese, mentre per un’ attività preesistente e perdurante non vi sia alcun termine per la comunicazione, in presenza di una identica situazione in cui l’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo faccia presumere la percezione di un reddito incompatibile con lo stato di bisogno conseguente allo stato di disoccupazione. Al riguardo
il ricorrente richiama un’interpretazione della Corte di legittimità secondo la quale il termine ‘intraprendere’ vada inteso non solo nel senso letterale di ‘iniziare’ ma di ‘applicarsi con maggiori energie e per un maggior tempo che per il passato’, in li nea con il principio secondo il quale le norme anche di carattere eccezionale siano suscettibili di interpretazione estensiva. Nel caso specifico, trattandosi di soggetto titolare di una attività imprenditoriale concomitante con il periodo di disoccupazione, richiedente il trattamento di NASpI in data 3/10/2017, la sua comunicazione alla data del 9/1/2018 di un prevedibile reddito pari a zero euro, oltre il termine di 30 giorni dalla domanda amministrativa, ne aveva comportato la decadenza, sicché la sentenza impugnata andava cassata. Nelle memorie illustrative l’istituto ricorrente richiama precedenti pronunce di questa Corte in cui si afferma l’applicazione della decadenza per omessa comunicazione anche a chi abbia iniziato a svolgere attività di lavoro autonomo prima della domanda del trattamento NASpI.
Nel controricorso l’interessato insiste per l’interpretazione letterale della norma, volta a disciplinare i casi di sopraggiunta attività di lavoro autonomo, in corso di fruizione della NASpI, nè era applicabile l’interpretazione estensiva del termine intraprendere fornita dalla Suprema Corte poiché nel caso specifico il COGNOME aveva abbandonato del tutto l’attività imprenditoriale. Peraltro, la norma in esame intende contrastare l’indebita coesistenza di fonti di reddito e la sovrapposizione della prestazione di disoccupazione con proventi da attività autonoma. La perdita del diritto per la ritenuta decadenza si fonderebbe su dati puramente formali, indipendentemente dai presupposti sostanziali del diritto, e ciò precluderebbe l’accesso ad un diritto costituzionale ex art. 38 Cost. Conclude per il
rigetto, in subordine, chiede che sia sollevata questione di costituzionalità degli artt. 10 co.1 e 11 lett. c) del d.lgs. 22/2015. Nelle sue memorie illustrative il controricorrente rappresenta che la sanzione per l’omessa comunicazione non si applicherebbe qualora la titolarità di un’impresa individuale non produca reddito, rimanendo un’attività autonoma in via ipotetica e virtuale, nel senso che se l’attività non ri sulti svolta la prestazione può continuare ad essere erogata, fermo restando che vada sanzionato ciò che davvero è vietato, ossia la coesistenza delle fonti di reddito.
3. il motivo di ricorso è fondato e va accolto.
3.1 – La normativa introdotta con D.Lgs. n.22/2015 prevede l’istituzione di una indennità mensile di disoccupazione, denominata Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. Nell’obiettivo di regolamentare condizioni di avvio all’occupazione, l’art. 10 cit. d.lgs. disciplina la compatibilità del trattamento indennitario con lo svolgimento di una attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale, prescrivendo per il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la NASpI intraprenda un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale l’obbligo di ‘informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività’, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne; il lavoratore, tuttavia, decade (art. 11) dalla fruizione del trattamento, nel caso di inizio di una attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale senza provvedere alla comunicazione predetta.
3.2 La compatibilità, che l’art. 10 si premura di disciplinare, implica un concomitante svolgimento dell’attività di lavoro autonomo o imprenditoriale in costanza di fruizione del trattamento indennitario; ciò si evince sia dalla circostanza, menzionata nell’incipit del primo comma, dell’attività lavorativa intrapresa ‘durante il periodo’ in cui il lavoratore percepisce la NASpI, sia dalla previsione di una riduzione del beneficio in un importo percentuale del reddito previsto nella predetta comunicazione. Di recente, è stato già osservato da questa Corte (ord. n.1053/2024) che « il corretto significato delle parole ‘entro un mese dall’inizio dell’attività’ deve essere riferito alla data dello svolgimento dell’attività di lavoro autonomo rilevante ai fini della Naspi, ossia dall’inizio della concomitanza dell’indennità Naspi e dell’attività di lavoro autonomo, cioè, dal momento della presentazione della domanda amministrativa, nel caso in cui lo svolgimento di attività di lavoro autonomo fosse stata intrapresa prima della data della cessazione del rapporto di lavoro subordinato che aveva dato corso al periodo di disoccupazione, senza quindi alcuna distinzione tra omessa e tardiva comunicazione oltre i trenta giorni e tra chi già aveva in corso, al momento del la domanda di Naspi, un’attività di lavoro autonomo e chi la inizia dopo aver cominciato ad usufruire della Naspi ».
Deve dunque ritenersi rilevante, ai fini dell’obbligo comunicativo di cui all’art. 10 e per evitare la decadenza dell’art. 11, non già la circostanza della anteriorità o meno dell’attività lavorativa autonoma rispetto alla fruizione della NASpI, bensì la contemporaneità dello svolgimento dell’attività con il trattamento percepito; ed in questo senso, il termine ‘intraprendere’, va inteso non solo come ‘iniziare’ (l’utilizzo dei due termini nello stesso testo del primo comma dell’art. 10 ne
suggerirebbe un diverso significato) ma anche nel senso ‘impegnarsi, dedicarsi, applicarsi’. Sul punto, si rimanda a quanto già osservato anche in ord. n. 11543/2024 secondo la quale « d al tenore testuale dell’art. 10, cit., risulta che la fattispecie cui si correla la decadenza è rappresentata dall’omessa comunicazione all’INPS della circostanza della contemporaneità tra il godimento del trattamento di disoccupazione e lo svolgimento del l’attività lavorativa autonoma da cui possa derivare un reddito, non essendo al contrario necessario che tale attività sia stata intrapresa in epoca successiva all’inizio del periodo di percezione della NASpI » ed ancora, « che non osta a tale interpretazione la circostanza che l’art. 10, comma 1, ricolleghi l’obbligo di comunicazione al fatto che l’assicurato ‘intraprenda un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale’, ben potendosi il verbo ‘intraprendere’ intend ersi non solo nel senso letterale di ‘iniziare’, ma anche in quello di ‘applicarsi con maggiori energie e per un maggior tempo che per il passato’ (così, seppure in fattispecie differente, già Cass. n. 5951 del 2001 )».
5. Il termine di un mese per la comunicazione all’INPS del reddito annuo presumibilmente traibile, decorre dunque, se l’attività autonoma precede lo stato di disoccupazione, dalla presentazione della domanda di trattamento NASpI, mentre, se l’attività auto noma comincia successivamente in costanza di fruizione di NASpI, decorre dall’inizio dell’attività lavorativa. Le conseguenze decadenziali di cui al successivo art. 11 comma 1 lett. c) d.lgs. 22/2015, per l’omessa comunicazione, restano inalterate nell’uno e nell’altro caso; ed infatti, va escluso che l’applicazione della predetta decadenza al caso dell’assicurato che abbia omesso di comunicare all’INPS, nel termine di trenta giorni dalla data di presentazione della domanda di prestazione,
il contemporaneo svolgimento di attività di lavoro autonomo integri un’ipotesi di estensione analogica della decadenza a fattispecie non espressamente prevista dal legislatore, come tale vietata dall’art. 14 prel. c.c., « trattandosi al contrario di un risultato coerente con un’interpretazione del combinato disposto dell’art. 10, comma 1, e dell’art. 11, comma 1, lett. c), cit., che, tenendo conto dell’ ‘intenzione del legislatore’, di cui all’art. 12 prel. c.c., non fa che estendere la regula juris della decadenza ad una fattispecie da reputarsi implicitamente considerata dalla norma, che nella specie -com’è d’uso dire con antica espressione- minus dixit quam voluit (per la legittimità di tale operazione ermeneutica anche in presenza di norme eccezionali v. Cass. S.U. n. 1919 del 1990 e, più di recente, Cass. S.U. n. 11930 del 2010) »; in tali termini, Cass. n.11543/2024.
6. A conforto di quanto fin qui argomentato, si richiami anche la precedente ord. n. 846/2024, circa l’insussistenza di un’ipotesi di applicazione analogica di norma eccezionale in divieto dell’art. 14 disp. prel. c.c., nell’intendere che l’obbligo di comunicazione riguardi anche l’attività lavorativa già intrapresa prima della domanda di Naspi:« Si tratta piuttosto di una esegesi dell’art.10, co.1 che rimane all’interno del perimetro testuale normativo, anziché esorbitare da esso e riferirsi a fattispecie diverse ma connotate da ‘eadem ratio’. …. Né può essere condiviso l’ulteriore argomento espresso nella pronuncia impugnata, ovvero che la comunicazione era stata data, seppure in ritardo rispetto al termine di legge, anziché essere stata omessa. L’art.11 le tt.c) correla la decadenza alla mancata comunicazione di cui all’art.10, co.1, primo periodo, e tale norma parla espressamente di comunicazione da inviare entro un mese. Dunque, dal combinato disposto degli artt.10, co.1, primo periodo e 11 lett. c), risulta chiaro che la decadenza scatta ogni
qual volta la comunicazione non sia data entro il termine di un mese, nel caso di specie pacificamente non rispettato ».
In definitiva, la decadenza prevista dall’art. 11 comma 1, lett. c, per l’omessa comunicazione nel termine dell’art. 10 comma 1, non sanziona di per sé sola l’omissione formale bensì la conseguente impossibilità di consentire una verifica della compatibilità reddituale, tant’è che nella seconda parte del primo comma dell’art. 10 si prevede che la presentazione della dichiarazione reddituale ed i dati in essa ricavabili incidano sul trattamento in corso di erogazione. D’altronde, la funzione della prestazione in esame, essendo finalizzata ad assicurare temporaneamente una forma di assistenza ai lavoratori che, per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, non possono far ricorso a forme alternative di reddito per soddisfare le esigenze primarie della vita, verrebbe meno in ipotesi di reperimento di nuova occupazione, sicché il lavoratore decade dal relativo beneficio se comunica tardivamente l’esistenza di un nuovo impiego (cfr. Cass. n. 3776/09 in tema di indennità di mobilità, vedi anche Cass. n. 6296/01) per cui sono a carico dello stesso le conseguenze in caso di mancata comunicazione.
Da ultimo, va escluso alcun profilo di costituzionalità delle norme sin qui scrutinate, non avendo il controricorrente articolato puntualmente una specifica ragione della ipotizzata illegittimità; peraltro, la funzione assistenziale non è pregiudicata dal meccanismo previsto dall’art. 10 primo comma, seconda parte, che implica invece una perequazione, mediante riduzione o esclusione della Naspi, in presenza di condizioni diverse da quanto rappresentato al momento della concessione del beneficio, realizzando in tal modo un corretto bilanciamento dei diversi interessi in rilievo.
In linea con l’oramai consolidato orientamento di questa Corte (si vedano pure ord. n.6933/24, 22924/24, 22800/24), il ricorso dell’INPS va interamente accolto e l’impugnata sentenza va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda originariamente proposta.
La sopravvenienza della interpretazione giurisprudenziale, di cui si è dato conto, rispetto all’epoca della instaurazione del giudizio di primo grado, giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nell ‘ adunanza camerale del 14 novembre