Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20246 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20246 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 13494/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e R oiati NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliati in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-controricorrenti-
nonché
NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-intimati-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Roma n. 1215/2024 pubblicata il 26 marzo 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo che l’Azienda Regiona le Emergenza Sanitaria Ares 118, per la quale lavoravano, non aveva consentito loro di usufruire della pausa giornaliera di almeno 10 minuti per ogni turno di servizio di durata superiore a sei ore dal dicembre 2008 al dicembre 2018, hanno chiesto al Tribunale di Roma la condanna della stessa Azienda a risarcire il danno patito.
Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 4483/2020, ha rigettato la domanda.
Gli interessati hanno proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1215/2024, ha accolto.
La P.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
I dipendenti meglio indicati in epigrafe si sono difesi con controricorso.
In luogo del defunto NOME COGNOME hanno preso parte al giudizio gli eredi NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME.
NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
I controricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 c.c., 115 c.p.c., 1, 8 e 17 d.lgs. n. 66 del 2003, in quanto la corte territoriale non avrebbe considerato che l’istituto della pausa di 10 minuti, il riposo giornaliero e quello settimanale non sarebbero stati sovrapponibili.
Al contrario, i riposi settimanali e giornalieri si sarebbero posti al di fuori dell’orario di lavoro. La pausa di 10 minuti, invece, ponendosi all’interno dello stesso, non avrebbe potuto non coordinarsi con la natura della prestazione lavorativa del dipendente.
L’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2003 avrebbe pure stabilito che la detta pausa avrebbe dovuto collocarsi tenendo conto delle esigenze tecniche del processo produttivo.
In particolare, il legislatore avrebbe deciso di seguire criteri di flessibilità nei servizi sanitari, il che sarebbe stato del tutto ragionevole con riferimento al soccorso prestato in via d’urgenza con le ambulanze.
Queste considerazioni sarebbero state avvalorate dal contenuto delle deposizioni assunte, asseritamente male interpretate dalla corte territoriale.
Con il secondo motivo parte ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., in relazione all’art. 2059 c.c., in quanto i lavoratori non avrebbero dato la prova del pregiudizio effettivo subito, nonostante non fossero ammissibili, nel nostro ordinamento, dei danni in re ipsa .
I lavoratori avrebbero dovuto allegare gli elementi di fatto dai quali desumere la sussistenza e l’entità del pregiudizio.
Le due doglianze, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, sono inammissibili.
Sono inammissibili, innanzitutto, nella parte in cui chiedono di rivalutare il contenuto delle testimonianze.
Per il resto, si osserva che, indubbiamente, come correttamente afferma parte ricorrente, non è ammessa, in linea di principio, nel nostro ordinamento una responsabilità c.d. in re ipsa .
Chiunque sostenga di avere patito un danno, deve allegarne l’esistenza e dimostrare il fatto costitutivo dello stesso, l’evento pregiudizievole e il nesso causale fra questi due elementi.
Ciò non comporta, però, che la decisione di appello debba essere cassata, non avendone parte ricorrente colto la ratio .
La P.A., nel criticare la sentenza di appello, non tiene in debito conto che, nella specie, la Corte d’appello di Roma ha accertato, con un giudizio di fatto ormai non più contestabile, anche alla luce dell’inammissibilità delle censure relative le testimo nianze assunte, che vi è stata una violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 66 del 2003, per il quale al lavoratore, in difetto di disciplina contrattuale, spetta una pausa, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti. Questa violazione è durata dieci anni e, quindi, si è caratterizzata per la sua intensità, superiore a quanto comunemente accettabile.
Sulla base di questi fatti, ormai incontestabili, la corte territoriale ha ritenuto, con un accertamento di fatto non più criticabile in questa sede, che fosse stata provata, nell’ an , l’esistenza di un danno da usura psicofisica.
D’altronde, in presenza di una specifica violazione di legge, ove questa, come nel caso in esame, incida sulle concrete condizioni lavorative, spetta al giudice del merito valutare se l’inadempimento datoriale assuma caratteri di tale gravità da arrecare un pregiudizio ai lavoratori e il relativo giudizio, ove motivato in maniera conforme ai principi dell’art. 111 Cost., non è sindacabile in sede di legittimità.
Nessun danno in re ipsa è stato, quindi, riconosciuto nella specie, ma è stata dimostrata una lesione della sfera giuridica dei lavoratori che, essendosi protratta negli anni senza soluzione di continuità, è stata qualificata in concreto come idonea a produrre un pregiudizio significativo.
Quanto esposto rende prive di rilievo le considerazioni di parte ricorrente in ordine alle caratteristiche del servizio espletato dai lavoratori, anche tenuto
conto che la stessa parte datrice non è stata in grado di chiarire quando i suoi dipendenti avrebbero beneficiato del riposo.
Con il terzo motivo parte ricorrente reitera in via subordinata il secondo motivo, ma con riferimento alle modalità di determinazione del risarcimento del danno, atteso che la corte territoriale avrebbe errato nel fare riferimento ai conteggi presentati dalle controparti, formulati tenendo conto della loro retribuzione.
La doglianza è inammissibile.
Infatti, il giudice di appello ha compiuto una valutazione di carattere equitativo, nella specie non criticabile.
Inoltre, la ragione della valorizzazione dei citati conteggi è ricollegata anche alla genericità della contestazione della parte datrice, ratio non specificamente contestata.
Il ricorso è dichiarato inammissibile, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘La reiterata violazione della normativa in tema di pause lavorative ex art. 8 d.lgs. n. 66 del 2003 può tradursi in un danno da usura psico-fisica per il dipendente, la cui esistenza può, in presenza di valida allegazione sul punto, essere stabilita dal giudice anche tramite il ricorso a presunzioni. Il relativo accertamento, qualora debitamente motivato in maniera conforme al disposto dell’art. 111 Cost., non è più sindacabile, in quanto tale, in sede di legittimità’.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore dei controricorrenti, dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 4.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, da distrarsi in favore dell’Avv. NOME COGNOME difensore dei controricorrenti dichiaratosi antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 4