Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20249 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20249 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 24251/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliati in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Roma n. 1842/2023 pubblicata il 12 giugno 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno impugnato in appello la sentenza del Tribunale di Velletri n. 501/2021 con la quale, in parziale accoglimento della domanda da loro proposta contro l’Azienda Regionale Emergenza Sanitaria Ares 118, era stato dichiarato il diritto dei lavoratori a fruire della pausa giornaliera di almeno 10 minuti per ogni turno di servizio di durata superiore a sei ore svolto dal dicembre 2008 in poi.
Essi hanno chiesto, quindi, l’accoglimento della domanda di risarcimento per danno da usura psicofisica avanzata in primo grado.
La Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1842/2023, ha accolto l’appello, condannando la P.A. a risarcire il danno.
La P.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
I dipendenti si sono difesi con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2087 c.c. e all’art. 1218 c.c., in quanto la corte territoriale non avrebbe considerato che gli appellanti non avrebbero fornito prova del danno da usura psicofisica subito in conseguenza dell’inadempimento datoriale.
Infatti, venendo in rilievo una responsabilità di natura contrattuale, avrebbe dovuto essere il lavoratore a dimostrare l’esistenza dei danni lamentati e il nesso causale con la condotta datoriale.
Con il secondo motivo contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., in relazione all’art. 2059 c.c., in quanto i lavoratori non avrebbero dato la prova del pregiudizio effettivo subito, nonostante non fossero ammissibili, nel nostro ordinamento, dei danni in re ipsa .
Soprattutto, la semplice previsione per legge in Costituzione del diritto al riposo non avrebbe potuto giustificare la configurabilità automatica del danno in questa materia.
I lavoratori avrebbero dovuto allegare gli elementi di fatto dai quali desumere la sussistenza e l’entità del pregiudizio.
Le due doglianze, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, sono inammissibili.
Indubbiamente, come correttamente afferma parte ricorrente, non è ammessa, in linea di principio, nel nostro ordinamento, una responsabilità c.d. in re ipsa .
Chiunque sostenga di avere patito un danno, deve allegarne l’esistenza e dimostrare il fatto costitutivo dello stesso, l’evento pregiudizievole e il nesso causale fra questi due elementi.
Ciò non comporta, però, che la decisione di appello debba essere cassata, non avendo parte ricorrente colto appieno la sua ratio .
Infatti, p arte ricorrente, nel criticare la sentenza impugnata, non tiene in debito conto che, nella specie, è passato in giudicato l’accertamento del giudice di primo grado della violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 66 del 2003, in base al quale al lavoratore, in difet to di disciplina contrattuale, spetta una pausa, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti. Questa violazione si è protratta per dieci anni e, quindi, si è caratterizzata per la sua intensità, superiore a quanto comunemente accettabile.
Sulla base di questi fatti, ormai incontestabili, la corte territoriale ha ritenuto, con un accertamento di fatto non più criticabile in questa sede, che fosse stata provata, nell’ an , l’esistenza di un danno da usura psicofisica.
D’altronde, in presenza di una specifica violazione di legge, ove questa, come nel caso in esame, incida sulle concrete condizioni lavorative, spetta al giudice del merito valutare se l’inadempimento datoriale assuma caratteri di tale gravità da arrecare un pregiudizio ai lavoratori e il relativo giudizio, ove motivato in maniera conforme ai principi dell’art. 111 Cost., non è sindacabile in sede di legittimità.
Nessun danno in re ipsa è stato, quindi, riconosciuto nella specie, ma è stata dimostrata una lesione della sfera giuridica dei lavoratori che, essendosi protratta negli anni senza soluzione di continuità, è stata qualificata come idonea, almeno in via presuntiva, a produrre un pregiudizio significativo.
Con il terzo motivo parte ricorrente censura la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per non avere la corte territoriale chiarito le ragioni per le quali avrebbe proceduto alla liquidazione degli importi come richiesti.
Contesta che sarebbero stati utilizzati i conteggi delle controparti senza un perché e benché fossero stati contestati.
Ne deriverebbe la natura meramente apparente della motivazione.
La doglianza è inammissibile.
Infatti, il giudice di appello ha ricollegato la sua decisione in ordine al quantum risarcitorio a una pluralità di elementi, quali il tempo corrispondente alle pause non effettuate, le buste paga e le tabelle contrattuali, tutte circostanze che si sono aggiunte ai conteggi proposti dai lavoratori.
Ne deriva che una motivazione effettiva è presente.
Il ricorso è dichiarato inammissibile, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘La reiterata violazione della normativa in tema di pause lavorative ex art. 8 d.lgs. n. 66 del 2003 può tradursi in un danno da usura psico-fisica per il dipendente, la cui esistenza può, in presenza di valida allegazione sul punto,
essere stabilita dal giudice anche tramite il ricorso a presunzioni. Il relativo accertamento, qualora debitamente motivato in maniera conforme al disposto dell’art. 111 Cost., non è più sindacabile, in quanto tale, in sede di legittimità’.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore dei controricorrenti, dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 4.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, da distrarsi in favore dell’Avv. NOME COGNOME difensore dei controricorrenti dichiaratosi antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 4