Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27307 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27307 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22304-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/07/2025
CC
NOME, COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO COGNOME;
– controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME
– intimati – avverso la sentenza n. 1597/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/04/2024 R.G.N. 2306/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/07/2025 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Roma ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale che, accertato il
diritto dei dipendenti a fruire della pausa giornaliera, aveva condannato l’agenzia al risarcimento del danno da liquidare in separato giudizio.
La Corte territoriale ha ritenuto infondato (se non inammissibile) il primo motivo di appello, perché non specificamente riferibile al decisum , ed in particolare perché incentrato sulla pausa pranzo, mentre il Tribunale aveva chiarito la diversità fra quest’ultima e la pausa di 10 minuti in occasione del turno lavorativo. Quanto poi al risarcimento del danno la Corte di merito, richiamati i precedenti della stessa corte, ha rilevato che in caso di danno da usura psicofisica è ammesso il ricorso alla prova presuntiva ai fini della dimostrazione del danno, nella specie ritenendolo provato in considerazione delle modalità della condotta datoriale, protrattasi per molti anni, della assegnazione dei dipendenti a turni consecutivi per oltre sei ore senza fruizione della pausa spettante di diritto al superamento della sesta ora di lavoro. Ad avviso della corte di merito ‘L’intrinseca lesività della con dotta datoriale così accertata consente di ritenere presuntivamente provato il danno da usura psico-fisica subito dai lavoratori nonché il loro corrispondente diritto al risarcimento del danno’.
Ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi, cui hanno resistito con controricorso i lavoratori.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 2087 c.c. e 1218 c.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
Deduce la ricorrente che la corte distrettuale ha ritenuto provato il danno senza che i dipendenti RAGIONE_SOCIALE avessero allegato e provato in alcun modo le conseguenze derivanti dalla condotta
datoriale, non essendo configurabile nel caso di specie un danno in re ipsa determinato dall’inadempimento della convenuta.
In altri termini, premesso che il danno non può essere in re ipsa e che il pregiudizio derivato dall’inadempimento datoriale deve essere dimostrato, si assume che la Corte territoriale ha errato nel ritenere provato il danno.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2059, 2697 e 2729 c.c. in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
L’azienda sostiene che ha errato la Corte d’appello nel valorizzare solo la mancata fruizione della pausa e la durata dell’inadempimento, senza tener conto dell’allestimento di locali nei quali era consentito ai dipendenti riposarsi in attesa delle chiamate, con conseguente violazione delle regole poste a base del procedimento presuntivo.
La corte di merito avrebbe ritenuto erroneamente raggiunta la prova senza valutare ulteriori elementi quali la quantità e qualità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura dell’attività prestata da ciascun lavoratore e le ore effettive di impegno, la postazione di lavoro e la presenza di poltrone relax per l’attesa, tutti elementi suscettibili di valutazione ai fini dell’accertamento circa la sussistenza del danno di natura psico-fisica.
I motivi possono essere trattati congiuntamente stante la loro intima sono inammissibili.
3.1 Va al riguardo premesso che (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022) in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da
quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.
3.2 Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma.
3.3 Ciò posto, nel caso di specie la corte con un accertamento di merito presuntivo insindacabile in sede di legittimità ha ritenuto l’illegittimità della condotta datoriale protrattasi in maniera continuativa per molti anni sin dal 2008 attraverso la predisposizione di turni di lavoro consecutivi oltre le sei ore senza la fruizione della pausa di 10 minuti spettante di diritto con conseguente danno da integrità psico-fisica determinato dalla eccessiva gravosità del lavoro e, come evidenziato dall’art.
8 del d.lgs. n. 66/2003, tale da impedire il recupero delle energie psico fisiche del lavoratore.
Tali elementi presuntivi sono idonei a supportare l’impianto motivazionale della sentenza impugnata e a ritenere non violati i principi in materia di prova presuntiva, concretandosi le censure dedotte nel ricorso in una diversa ricostruzione delle circostanze fattuali e comunque nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta ed applicata dal giudice di merito.
Conclusivamente, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile, con addebito al ricorrente (parte soccombente) delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 4.000,00, a titolo di compensi ed in € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge, da distrarre in favore dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 04 luglio 2025.
La Presidente NOME COGNOME