LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Danno da demansionamento: onere della prova e risarcimento

Un dirigente ha citato in giudizio il suo ex datore di lavoro, un istituto bancario, per il mancato pagamento di bonus e per danno da demansionamento. Mentre le richieste relative ai bonus sono state respinte, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso per quanto riguarda il demansionamento. La Corte ha stabilito che i giudici di merito avevano errato nel rigettare la richiesta di risarcimento senza prima aver adeguatamente esaminato i fatti allegati dal lavoratore, sottolineando che una descrizione dettagliata delle circostanze del demansionamento è sufficiente per consentire una prova presuntiva del danno. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Danno da Demansionamento: La Cassazione sulla Prova e il Risarcimento

L’ordinanza in commento affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: il danno da demansionamento e le modalità per provarlo in giudizio. La Corte di Cassazione, con una decisione che cassa con rinvio una sentenza della Corte d’Appello, offre importanti chiarimenti su come un lavoratore possa dimostrare di aver subito un pregiudizio professionale e personale, anche in assenza di prove dirette.

Il caso riguarda un dirigente che, dopo essere stato privato delle sue principali mansioni, ha agito contro il datore di lavoro per ottenere il giusto risarcimento. Esaminiamo i fatti e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Un dirigente di un noto istituto bancario conveniva in giudizio la società, lamentando il mancato pagamento di premi di risultato per diversi anni e, soprattutto, di aver subito un progressivo e totale svuotamento delle proprie mansioni a partire dal 2012 fino al licenziamento, avvenuto alla fine del 2013. Secondo il lavoratore, questa condotta integrava un’ipotesi di demansionamento, se non di vero e proprio spoglio mansionistico, che gli aveva causato un grave danno professionale e relazionale.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato le sue domande. In particolare, per quanto riguarda il demansionamento, i giudici di merito avevano respinto la richiesta di risarcimento ritenendo le allegazioni del lavoratore troppo generiche e non supportate da prove specifiche del danno subito.

La Decisione della Corte di Cassazione

Il dirigente ha proposto ricorso in Cassazione basato su tre motivi. I primi due, relativi all’interpretazione di una clausola contrattuale sui bonus e all’onere della prova sui risultati economici della filiale, sono stati respinti. La Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito, basata sul tenore letterale del contratto e sul comportamento successivo delle parti.

Il terzo motivo, invece, è stato accolto. Il ricorrente denunciava l’omessa pronuncia sulla domanda di accertamento del demansionamento. I giudici di merito, applicando il principio della “ragione più liquida”, avevano saltato l’accertamento dell’illecito (il demansionamento) per passare direttamente alla questione del danno, concludendo per la sua mancata prova. Questo approccio è stato giudicato errato dalla Suprema Corte.

Le Motivazioni sul Danno da Demansionamento

La Corte di Cassazione ha chiarito che le allegazioni del lavoratore non erano affatto generiche. Egli aveva specificato di essere stato privato di mansioni di responsabilità e prestigio, di aver assistito alla nomina di un nuovo direttore che lo aveva di fatto esautorato e che la sua attività era stata ridotta alla mera vigilanza contabile. Aveva inoltre dedotto che tale situazione aveva comportato “evidenti conseguenze alla professionalità” e un “forte discredito” sia all’interno che all’esterno della banca, incidendo sulla sua vita relazionale e familiare.

Sulla base di questi elementi, la Corte ha affermato che i giudici di merito avrebbero dovuto procedere all’accertamento del demansionamento. Una volta provato l’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo di cui all’art. 2103 c.c., il danno che ne consegue può essere provato anche tramite presunzioni.

La Corte ribadisce un principio consolidato: sebbene il danno da demansionamento non sia in re ipsa (cioè automatico), la sua esistenza e il suo ammontare possono essere dedotti da una serie di elementi presuntivi, quali:

* La qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta prima e dopo il demansionamento.
* La natura e il tipo di professionalità coinvolta.
* La durata del demansionamento.
* La nuova e diversa collocazione lavorativa.

In sostanza, il lavoratore ha l’onere di allegare i fatti che costituiscono il demansionamento, mentre spetta al datore di lavoro provare di aver adempiuto correttamente ai propri obblighi. Dai fatti allegati, il giudice può logicamente desumere l’esistenza di un danno risarcibile, sia di natura patrimoniale (es. perdita di chance professionali) che non patrimoniale (es. lesione della dignità e dell’immagine).

Le Conclusioni

Questa pronuncia è di grande importanza pratica. La Cassazione censura l’approccio formalistico dei giudici di merito e riafferma la centralità della tutela della professionalità del lavoratore. La decisione chiarisce che per ottenere il risarcimento per danno da demansionamento, non è sempre necessario fornire una prova diretta e quantificata del pregiudizio. È sufficiente allegare in modo dettagliato le circostanze di fatto che descrivono lo svuotamento delle mansioni, la loro durata e il contesto aziendale.

Sarà poi compito del giudice, una volta accertato l’illecito, valutare tali elementi per riconoscere, anche in via equitativa, il danno subito dal lavoratore. La sentenza costituisce un monito per i datori di lavoro a non sottovalutare le conseguenze dello svuotamento del ruolo professionale dei propri dipendenti e una guida per i lavoratori su come impostare correttamente un’azione legale a tutela dei propri diritti.

Il danno da demansionamento si considera automatico una volta provato lo svuotamento delle mansioni?
No, la giurisprudenza costante, ribadita in questa ordinanza, stabilisce che il danno da demansionamento non è in re ipsa, ovvero non consegue automaticamente all’inadempimento del datore di lavoro. Il lavoratore deve allegare e provare, anche tramite presunzioni, il pregiudizio subito.

Come può un lavoratore provare di aver subito un danno da demansionamento se non ha prove dirette del pregiudizio?
Può farlo attraverso la prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2729 c.c. Il giudice può desumere l’esistenza del danno da elementi di fatto gravi, precisi e concordanti, come la durata del demansionamento, la qualità e quantità dell’attività lavorativa sottratta, la natura della professionalità coinvolta e il contesto in cui l’illecito si è verificato.

Su chi ricade l’onere di provare il corretto adempimento delle mansioni in una causa per demansionamento?
L’onere della prova grava sul datore di lavoro. Una volta che il lavoratore ha allegato i fatti costitutivi del demansionamento, spetta al datore di lavoro dimostrare di aver adempiuto esattamente al proprio obbligo contrattuale, adibendo il lavoratore a mansioni conformi alla sua qualifica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati