Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1351 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1351 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21244/2018 R.G. proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COGNOME , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
Oggetto: Lavoro pubblico – Demansionamento – Oneri probatori – Responsabilità dell’Amministrazione
R.G.N. 21244/2018
Ud. 06/12/2023 CC
COGNOME APRILE
-intimato – avverso la sentenza n. 262/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 29/03/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/12/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 262/2018 del 29 marzo 2018, la Corte d’appello di Catania, nella regolare costituzione degli appellati AZIENDA RAGIONE_SOCIALE RAGUSA e NOME COGNOME ha accolto parzialmente l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa in data 15 aprile 2014 e, per l’effetto, ha condannato AZIENDA RAGIONE_SOCIALE RAGUSA a corrispondere in favore di NOME COGNOME la somma di € 24.000,00, oltre rivalutazione ed interessi, a titolo di risarcimento del danno da demansionamento ed altresì condannato il terzo chiamato COGNOME a tenere indenne la AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI RAGUSA nei limiti dell’importo di € 21.000,00.
Per quanto ancora rileva nella presente sede, NOME COGNOME aveva adito il Giudice del lavoro chiedendo di accertare la responsabilità dell’AUSL di Ragusa (oggi AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE N. 7 DI RAGUSA) per violazione degli artt. 2087 c.c. e dell’a rt. 2043 c.c. e di condannare la medesima convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
nonché contro
-controricorrente –
Si era costituita la AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE N. 7 DI RAGUSA, contestando la fondatezza della domanda e chiedendo in ogni caso di essere autorizzata a chiamare in causa COGNOME per essere da quest’ultimo tenuta indenne in caso di condanna.
Autorizzata la chiamata in causa, si era regolarmente costituito NOME COGNOME contestando la fondatezza sia della domanda principale sia della chiamata in manleva.
Il Tribunale di Ragusa, all’esito del giudizio, aveva disatteso integralmente le domande di NOME COGNOME ritenendo non provate né una condotta di mobbing né condotte lesive tali da fondare una responsabilità risarcitoria della AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE N.
7 DI RAGUSA
Proposto appello da parte di NOME COGNOME la Corte d’appello di Catania, ha escluso che vi fossero adeguati elementi per affermare la sussistenza di una condotta di mobbing , mentre ha ritenuto di poter affermare che l’appellante aveva subito ad opera di NOME condotte di ingiustificata dequalificazione, tradottesi essenzialmente nella emarginazione dall’attività chirurgica.
La Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto che la AZIENDA SANITARIA RAGIONE_SOCIALE DI RAGUSA non avesse contestato una serie di fatti allegati dall’appellante, consistenti sia nella designazione di NOME COGNOME come ‘primo reperibile’ e non più come ‘secondo reperibile’ – con conseguente esclusione dagli interventi operatori urgenti – sia nella riduzione, rispetto agli anni 2001/2005, degli interventi chirurgici effettuati negli anni 2007/2008.
La Corte territoriale ha altresì disatteso le difese della AZIENDA RAGIONE_SOCIALE PROVINCIALE N. 7 DI RAGUSA -secondo la quale tali elementi erano coerenti con il contenuto delle schede di valutazione redatte dal primario -in quanto il contenuto di tali schede era privo di
riferimento a dati oggettivi e caratterizzato per lo più da giudizi pertinenti al carattere dell’appellant e e non alle sue capacità tecniche.
Affermata, quindi, la sussistenza di una fattispecie di demansionamento, e passando alla determinazione del danno, la Corte territoriale ha escluso la sussistenza di adeguata prova di un danno non patrimoniale, mentre ha ritenuto, anche sulla scorta di un ragionamento presuntivo, che potesse affermarsi la sussistenza di un danno patrimoniale alla professionalità, determinato equitativamente nella misura di 1/3 della retribuzione mensile.
Quanto alla domanda di rivalsa proposta dalla AZIENDA RAGIONE_SOCIALE DI RAGUSA nei confronti di COGNOME, la Corte d’appello ha ritenuto che la stessa fosse integralmente fondata con riferimento al periodo sino alla data del 27 giugno 2008 – quando NOME COGNOME aveva formalmente segnalato alla stessa Azienda le condotte di COGNOME -e dovesse invece essere accolta in misura limitata a metà per il restante periodo, ravvisando un concorso di colpa della stessa AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE N. 7 DI RAGUSA ex art. 1127 c.c.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catania ricorre ora la AZIENDA RAGIONE_SOCIALE PROVINCIALE N. 7 DI RAGUSA.
Resiste con controricorso NOME COGNOME
È rimasto intimato NOME APRILE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis .1, c.p.c.
Le parti hanno entrambe depositato memoria.
Il controricorrente ha altresì depositato istanza di liquidazione delle spese determinate dall’istanza di sospensione ex art. 373 c.p.c., formulata innanzi alla Corte d’appello di Catania da parte della ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto oggetto di discussione tra le parti ‘decisivo per qualificare i fatti antecedenti al 27/06/2008 suscettibili di responsabilità ex art 2049 e conseguentemente regolamentare la pronuncia sulla base del rispettivo onere della prova ai sensi dell’art art 2697 c.c.’ .
La ricorrente deduce di avere eccepito sin dal giudizio di primo grado che la responsabilità del direttore di struttura era da qualificarsi come responsabilità da fatto illecito, mentre la propria responsabilità ex art 2049 c.c. poteva discendere solo da colpevole inerzia che tuttavia doveva ritenersi insussistente, non essendo la ricorrente medesima venuta a conoscenza delle condotte lesive.
Da ciò deduce la ricorrente che il titolo di responsabilità che poteva essere invocato nei suoi confronti non era costituito dalla previsione di cui all’art. 2087 c.c. bensì dalla previsione di cui all’art. 2049 c.c. e che, conseguentemente, la Corte d’app ello avrebbe dovuto applicare un diverso regime probatorio che avrebbe necessitato una specifica prova da parte del lavoratore, e non della Azienda, in ordine al fatto illecito del dirigente sovraordinato, sul nesso causale, sul danno patito.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘errata applicazione dell’art 2103 cc sull’esistenza del demansionamento e dell’art. 2697 cc sull’onere della prova a carico delle parti nonché dell’art 115 c.p.c. in ordine alla mancata contestazione da parte della azienda sanitaria dei fatti allegati’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che ‘la controversia non verte in tema di mancata assegnazione di mansioni al lavoratore, ovvero di attribuzione
al lavoratore di mansioni inferiori, ma riguarda la esistenza di una condotta di mobbing verticale che, attraverso un illecito esercizio del potere da parte di soggetto gerarchicamente sovraordinato, è finalizzato a una riduzione della professionalità con conseguente danno’ .
Deduce, quindi, la ricorrente che, trattandosi di esercizio illecito del potere datoriale l’onere probatorio sui fatti allegati, incombeva ex art. 2697 c.c. sul lavoratore, mentre la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto provati i fatti allegati dal lavoratore, anche in conseguenza della mancata contestazione da parte dell’odierna ricorrente.
In tal modo la Corte d’appello sarebbe incorsa in una falsa applicazione art 115 c.p.c., sia in virtù dell’assenza di prova della illiceità della condotta sia in virtù del fatto che la ricorrente aveva costantemente contestato la sussistenza dei presupposti del mobbing , invocando il riguardo anche la insindacabilità delle valutazioni poste alla base della rotazione del personale all’interno della struttura, trattandosi di valutazioni discrezionali, come previsto da specifiche norme di legge.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione dell’art 2103 c.c., in relazione agli artt. 1226, 2697 e 2043 c.c.
La ricorrente censura la decisione della Corte d’appello nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto sussistente la prova del danno da demansionamento.
Deduce, in contrario, che la riduzione degli interventi chirurgici non si sarebbe comunque verificata per un periodo talmente lungo e continuativo da potere deprimere la professionalità acquisita dal
ricorrente, da ciò derivando l’assenza di prova della incidenza della condotta in termini negativi sulla sua professionalità.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘Errata e falsa applicazione dell’art 7 del D.p.r 27/03/1969 n 128 e dell’art 15 comma 6 del Dlgs 30/12/1992 n 502 e dell’art. 63 D.P.R. 761/1979 in tema di compiti del direttore di struttura complessa e sulla discrezionalità delle decisioni che riguardano la unità’ .
Argomenta la ricorrente che le procedure di valutazione rimesse al direttore di struttura non ammettono un sindacato diverso da quello della loro impugnazione giurisdizionale innanzi la magistratura del lavoro, impugnazione che tuttavia non sarebbe stata proposta dal ricorrente.
Deduce, ulteriormente, che essa Azienda non aveva alcuna facoltà di intervenire sulle scelte del responsabile di struttura e che comunque la discrezionalità di cui gode il dirigente di struttura complessa risulterebbe incompatibile con la qualificazione in termini di mobbing delle scelte del medesimo responsabile.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Vanno richiamati i principi enunciati da questa Corte in ordine ai caratteri del vizio deducibile ex art. 360, n. 5), c.p.c., il quale è da riferirsi ad un fatto storico, principale o secondario, e cioè a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017).
Tornando al caso di specie, si deve rilevare che ciò di cui la ricorrente viene a dolersi con il motivo in esame non risulta inquadrabile come omesso esame di fatti bensì come omesso esame di deduzioni difensive, del tutto estranee all’ambito dei ‘fatti’ come individuati da questa Corte.
Rammentato, allora, che sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. a profili come questioni o argomentazioni (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), si deve concludere che il motivo di ricorso esorbita irrimediabilmente dall’ambito di applicazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c.
Tale inammissibilità investe anche la parte di ricorso in cui la ricorrente viene a dedurre un non corretto inquadramento della fattispecie, quasi a prospettare una violazione o falsa applicazione di legge, atteso che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, primo comma, n. 3), l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 640 del 14/01/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).
Anche il secondo motivo è inammissibile.
In primo luogo, il motivo, incentrando la preponderanza delle proprie argomentazioni sul profilo della prova del mobbing (significativo un passaggio della pag. 14 del ricorso), non intercetta se non in misura parziale la ratio della decisione del la Corte d’appello che, invece, ha escluso la sussistenza di adeguata prova di una fattispecie
di mobbing , affermando invece la sussistenza di una condotta di demansionamento.
In secondo luogo, le deduzioni della ricorrente che risultano effettivamente indirizzate al l’esame di tale ultimo profilo si traducono in un inammissibile sindacato di profili fattuali, limitandosi peraltro ad invocare in modo generico la insindacabilità delle decisioni assunte nella struttura in ordine alla rotazione del personale, profilo che -come si vedrà -risulta riproposto anche con il quarto motivo di ricorso.
Quanto alle doglianze che investono l’applicazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. da parte del giudice di merito, si deve rammentare che, come chiarito da questa Corte, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte, la quale, ex art. 115 c.p.c., produce l’effetto della relevatio ad onere probandi (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3680 del 07/02/2019).
Ciò in quanto tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti, da ciò derivando che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007), vizi, questi ultimi, che non sono in alcun modo ravvisabili nella decisione della Corte territoriale la quale, peraltro, risulta anche conforme ai principi dettati da questa Corte in materia di ripartizione dell’onere della prova nel caso di demansionamento (Cass.
Sez. L – Sentenza n. 26477 del 19/10/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n.
4211 del 03/03/2016).
4. Il terzo motivo è infondato.
Richiamate le considerazioni appena svolte in ordine ai principi enunciati da questa Corte in tema di ripartizione dell’onere della prova nel caso di demansionamento , l’infondatezza del motivo si palesa sol che si richiamino i canoni -cui la Corte territoriale si è conformata dettati da questa Corte, stabilendo che in tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno – avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 19923 del 23/07/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 19778 del 19/09/2014).
Le deduzioni del ricorso, nel sindacare la valutazione espressa dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza del danno da demansionamento, non vengono ad evidenziare alcun vizio nel procedimento inferenziale seguito dalla Corte stessa -la quale, si ripete, si è invece conformata ai principi espressi da questa Corte -e si limitano a contestare su un piano meramente fattuale la valutazione espressa dal giudice del merito.
5. Infondato è, parimenti, l’ultimo motivo.
L’autonomia organizzativa di cui può godere il responsabile di struttura complessa rispetto a ll’Azienda sanitaria, infatti, trova
comunque un evidente limite nel rispetto dell’obbligo generale di piena osservanza delle regole che disciplinano il rapporto di lavoro e quindi nell’obbligo di assegnazione del lavoratore stesso alle mansioni di sua competenza, evitando che la violazione di quest’ultimo obbligo venga a ledere il diritto del lavoratore a non vedere compromessa la propria qualificazione professionale.
Dell’osservanza di tale obbligazione l’Azienda sanitaria viene a rispondere quale controparte contrattuale del lavoratore, senza poter conseguire esonero della propria responsabilità -che costituisce responsabilità da inadempimento – dalla condotta dei preposti alla struttura complessa, sul cui operato l’Azienda stessa è comunque tenuta a vigilare, assumendo le necessarie iniziativ e quando l’esercizio del potere organizzativo del responsabile si traduca nella illegittima lesione dei diritti dei lavoratori.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Questa Corte deve altresì provvedere sull’istanza del controricorrente, volta ad ottenere la liquidazione delle spese determinate dall’istanza di sospensione ex art. 373 c.p.c., formulata innanzi alla Corte d’appello di Catania da parte di AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE N. 7 DI RAGUSA e disattesa dalla Corte territoriale, spettando detta liquidazione a questa Corte (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26966 del 24/10/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16121 del 22/07/2011), una volta prodotti i relativi documenti con le forme e i termini dell’art. 372 c.p.c. (come avvenuto nella specie), applicando i parametri propri del giudizio di legittimità, attesa la funzionalizzazione di tale subprocedimento a detto giudizio (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza
n. 26966 del 24/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19357 del 2012).
L’istanza, formulata dal controricorrente, risulta ammissibile in quanto regolarmente notificata alla ricorrente (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24201 del 04/10/2018).
Le spese sono liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Liquida in favore del controricorrente le spese del subprocedimento ex art. 373 c.p.c., liquidate in € 1.700,00, di cui € 200,00 per spese, oltre accessori di legge,
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater , nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale in data 6 dicembre