Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4940 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 4940 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
SENTENZA
sul ricorso 9399-2021 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
ASSESSORATO REGIONALE SICILIANO AGRICOLTURA SVILUPPO RURALE E PESCA, ASSESSORATO REGIONALE SICILIANO TERRITORIO E AMBIENTE;
– intimati –
Oggetto
LAVORO PRECARIO ALTRA AMMINISTRAZIONE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/12/2023
PU
avverso la sentenza n. 488/2020 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 05/11/2020 R.G.N. 44/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza del 5 novembre 2020, la Corte d’Appello di Caltanissetta, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Caltanissetta, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto, da un lato, la conversione a tempo indeterminato o, in subordine il risarcimento del danno comunitario per l’illegittimità dei successivi rapporti a tempo determinato intercorsi con le predette Amministrazioni per lo svolgimento di prestazioni di ‘operaio’ presso i RAGIONE_SOCIALE Caltanissetta, per contrasto con l’art. 53 L.R. n. 16/96 che disponeva la progressiva stabilizzazione del personale operaio assunto a tempo determinato, altrimenti destinato ad essere impiegato a termine per l”intera vita lavorativa a motivo del carattere stagionale dell’attività, con l’art. 1, d.lgs. n. 368/2001, stante il difetto di formalizzazione del contratto con apposizione del termine e con la Direttiva 1999/70/CE per l’abusiva reiterazione dell’impiego a termine, dall’altro, la condanna
RAGIONE_SOCIALE stesse Amministrazioni al pagamento di una indennità risarcitoria destinata a remunerare la permanente disponibilità alla prestazione cui la COGNOME era obbligata a motivo RAGIONE_SOCIALE modalità di esecuzione ‘a chiamata’ per l’intero anno lavorativo del lavoro.
-La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto di doversi discostare dal pronunciamento del primo giudice circa l’inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza dall’azione ex art.32, comma 4, lett. a) l. 183/2010 ed affrontare il merito della questione a riguardo, per quel che concerne la prima domanda, affermando, in relazione alla dedotta circostanza della mancata formalizzazione per iscritto dei contratti legittimanti l’impiego a termine della lavoratrice, essersi il rapporto intercorso con le predette Amministrazioni svolto in via di mero fatto, in difetto quindi di costituzione di un rapporto di pubblico impiego necessariamente fondato su atto scritto, implicante esclusivamente l’applicazione del regime di cui all’art. 2126 c.c., con esclusione, quindi, tanto della conversione a tempo indeterminato del rapporto quanto del risarcimento del danno comunitario non configurandosi l’ipotesi dell’abusiva reiterazione dei contratti, applicazione cui non consegue effetto alcuno avendo la COGNOME riconosciuto di avere percepito il trattamento retributivo e contributivo dovuto per le giornate di lavoro e le mansioni prestate e per quel che attiene alla seconda domanda, rilevandone l’infondatezza essendo la garanzia occupazionale per legge limitata secondo le ‘fasce’ solo ad alcuni periodi dell’anno, dovendosi pertanto
escludere ogni responsabilità RAGIONE_SOCIALE Amministrazioni datrici per l’impiego in tempi limitati della lavoratrice e per la sua inattività nel residuo periodo dell’anno.
-Per la cassazione di tale decisione ricorre NOME COGNOME, affidando l’impugnazione a due motivi motivo, cui resiste, con controricorso, in relazione alla quale le intimate Amministrazioni non hanno svolto alcuna attività difensiva.
-Il Procuratore AVV_NOTAIO ha depositato la propria requisitoria concludendo per l’accoglimento del ricorso
RAGIONI DELLE DECISIONE
-Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della Direttiva 1999/70/CE, lamenta la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale circa la natura di mero fatto del rapporto intercorso da ritenersi viceversa giuridicamente fondato e tale da implicare tutte le tutele previste dalla relativa disciplina, con riguardo quindi tanto alla sua illegittima costituzione per difetto di forma scritta sia quanto alla sua abusiva reiterazione fonte di danno da ritenersi presunto e determinabile sulla base del parametro di cui all’art. 32 l. n. 183/2010.
-Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost. in relazione all’art. 2094 c.c., la ricorrente imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione della peculiarità della fattispecie non contemplata dal contratto collettivo, data dalla obbligata disponibilità del lavoratore a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, in qualsiasi momento dell’anno solare, senza
predeterminazione alcuna dei periodi di lavoro, peculiarità che, a detta della ricorrente, postula il riconoscimento di uno specifico corrispettivo analogo a quello riconosciuto in altri CCNL a fronte dell’obbligo di reperibilità.
-Il primo motivo risulta meritevole di accoglimento per le ragioni e nei termini di seguito esposti.
-Occorre premettere un breve inquadramento del contesto normativo nell’ambito del quale il ricorrente ha svolto le sue prestazioni di lavoro subordinato in favore dell’RAGIONE_SOCIALE.
-Con l’art. 43 della legge RAGIONE_SOCIALE n. 14 del 2006, che introdusse l’art. 45 -ter nella legge RAGIONE_SOCIALE n. 16 del 1996, la Regione Sicilia istituì «l’RAGIONE_SOCIALE». L’iscrizione nell’RAGIONE_SOCIALE è «condizione essenziale per l’avviamento al lavoro alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE».
-Il successivo art. 46 della legge RAGIONE_SOCIALE n. 16 del 1996 prevede che, «per le esigenze connesse all’esecuzione dei lavori condotti in RAGIONE_SOCIALE diretta, l’Amministrazione forestale si avvale … dell’opera: a) di un contingente di operai a tempo indeterminato; b) di un contingente di operai con garanzia di fascia occupazionale per centocinquantuno giornate lavorative ai fini previdenziali; c) di un contingente di operai con garanzia di fascia occupazionale per centouno giornate lavorative ai fini previdenziali».
-A prescindere dai requisiti per l’iscrizione nell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e dai criteri per lo scorrimento degli iscritti nelle relative graduatorie (che qui non rilevano e su un aspetto dei quali è anche intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 206/2015), il sistema è chiaramente diretto alla progressiva stabilizzazione degli operai non assunti a tempo indeterminato (centocinquantunisti e centounisti), che nel frattempo lavorano di volta in volta a chiamata, con garanzia di un numero minimo annuale di «giornate lavorative ai fini previdenziali».
-Nella sentenza impugnata non è messo in discussione che i RAGIONE_SOCIALE inseriti nei contingenti «di operai con garanzia di fascia occupazionale» limitata ad un certo numero di giornate lavorative sono RAGIONE_SOCIALE a tempo determinato, come del resto emerge dal testo della legge RAGIONE_SOCIALE, per la contrapposizione tra gli operai inseriti in tali contingenti e quelli inseriti nel «contingente di operai a tempo indeterminato».
-La Corte d’Appello di Caltanissetta, premesso che «Il rapporto a termine oggetto di causa trova fonte in un contratto che non è stato affatto stipulato ai sensi del d.lgs. 368/2001, ma sulla base di norme della legge RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 16 del 1996, quindi con forme e modalità del tutto estranee alle previsioni del d.lgs. 368/2001 e della Direttiva CE n. 70 del 1999» (premessa che ha portato il giudice d’appello a dichiarare infondata l’eccezione di decadenza dall’azione sollevata dalla pubblica RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta della quale il Tribunale aveva invece rigettato, in limine , la domanda del lavoratore), ha tuttavia rilevato d’ufficio e considerato
decisiva la nullità del contratto per mancanza della forma scritta richiesta ad substantiam per tutti i contratti della pubblica RAGIONE_SOCIALE.
-Secondo la Corte d’Appello, la nullità radicale del contratto di lavoro per mancanza di forma assorbe la (e prevale sulla) nullità parziale dell’apposizione del termine, rendendo applicabile la disciplina geneRAGIONE_SOCIALE dell’art. 2126 c.c., che riconosce al lavoratore il diritto al corrispettivo per le prestazioni eseguite, senza escludere il risarcimento danno, purché allegato e provato in concreto, anche con riferimento al nesso causale con un comportamento illecito del datore di lavoro. Una volta escluso il diritto del lavoratore alla conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato (con decisione che, in parte qua , non è oggetto di ricorso per cassazione), la Corte territoriale ha negato anche il risarcimento del c.d. «danno comunitario» nella misura forfettaria indicata dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 (secondo l’insegnamento di Cass. S.U. n. 5072/2016), perché tale particolare tutela presupporrebbe la stipulazione di un valido contratto di lavoro, nel quale venga illegittimamente fissato un termine finale di durata, e non opererebbe, invece, nel caso di nullità dello stesso contratto di lavoro.
-La motivazione del giudice d’appello, sebbene supportata dal pertinente richiamo a un precedente di questa Corte (Cass. n. 24666/2016), non può essere condivisa proprio nella parte in cui considera prevalente ed assorbente la nullità formale del
contratto di lavoro a termine rispetto alla tutela dovuta al lavoratore nel caso (allegato dal ricorrente e non messo in discussione nella decisione impugnata) di abusiva reiterazione dei rapporti di lavoro a termine.
-Occorre innanzitutto ribadire che le norme per la protezione del lavoro a tempo determinato contenute nel d.lgs. n. 368 del 2001 di attuazione della direttiva 1999/70/CE (così come quelle ora scritte nel d.lgs. 81 del 2015) si applicano anche ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni su tutto il territorio nazionale, comprese le ragioni a statuto RAGIONE_SOCIALE. Il fatto che un contratto di lavoro non sia stato stipulato «ai sensi del d.lgs. 368/2001» nulla toglie alla necessità di applicare le norme di legge imperative che disciplinano quel rapporto.
-Ciò in coerenza con il raggiungimento, anche nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, dell’obiettivo perseguito dalla citata direttiva 1999/70/CE, di limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei RAGIONE_SOCIALE (CGUE, sentenza CGUE 26 novembre 2014, COGNOME e a., nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, punto 72).
-Più volte la Corte di giustizia ha affermato che la direttiva 1999/70/CE e l’accordo quadro ad essa allegato devono essere interpretati nel senso che essi si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico (si v. ex
aliis , decisioni causa C-177/10, NOME COGNOME; sentenza 7 settembre 2006, in causa C-53/04, COGNOME e COGNOME; causa C-212/04, Adeneler).
-L’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 imponeva la forma scritta per la valida pattuizione dell’assunzione a termine, con indicazione specifica della causale, norma che sicuramente risponde, nel diritto interno, all’esigenza antiabusiva di cui all’art. 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/79/CE, con particolare riferimento all’assicurazione di regole di salvaguardia, tra cui quella della fissazione di «ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti» (art. 5, lett. a) e/o della «durata massima totale» (art. 5 lett. b). La forma scritta risponde del resto a tale esigenza pur nel diverso sistema che ha caratterizzato successivamente il contratto a tempo determinato; infatti, seppure la causalità è in tutto o in parte venuta meno (d.l. n. 34 del 2014 conv. con mod. in L. n. 34/2014; art. 19 d.lgs. n. 81 del 2015, nelle diverse formulazioni succedutesi), il requisito formale continua ad assicurare certezza quanto meno rispetto all’assetto tempoRAGIONE_SOCIALE, così contribu endo a garantire il controllo sulle regole dettate dal diritto interno al fine di contrastare la reiterazione indiscriminata di rapporti a termine.
-L’inosservanza della regola interna sulla pattuizione per iscritto, a prescindere dal fatto che il contratto sia anche nullo per difetto della forma propria dei contratti con la Pubblica Amministrazione, si riverbera quindi nell’elusione di una .norma finalizzata appunto a dare attuazione alle regole
antiabusive di cui alla direttiva e pertanto, la reiterata utilizzazione del lavoratore a tempo determinato con assunzioni senza contratto scritto realizza un’illegittima reiterazione, in contrasto l’assetto della disciplina eurounitaria. -La Corte d’Appello, dunque, erroneamente non ha verificato la compatibilità del rapporto di lavoro con l’accordo quadro, dalla cui violazione discende il riconoscimento del cd. danno comunitario, in presenza della illegittima reiterazione dei contratti a termine (Cass., SU, n. 5076 del 2016), e se non intervenuta stabilizzazione direttamente riferibile alla precarizzazione. Né è di ostacolo a ciò la diversità struttuRAGIONE_SOCIALE dei contratti in questione rispetto agli ordinari contratti di lavoro a termine, atteso che comunque vi è un’occupazione lavorativa a termine reiterata negli anni.
-Ciò posto, il risarcimento del c.d. «danno comunitario» rappresenta, sul piano giurisprudenziale, la realizzazione del principio di effettività nella tutela del lavoro precario, imposta dal diritto dell’Unione Europea, contemperandolo con la regola di diritto interno -e di rango costituzionale (art. 97, comma 4, Cost.) -per cui «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi previsti dalla legge». Tale regola impedisce di applicare ai dipendenti degli enti pubblici non economici la tutela -sicuramente adeguata sul piano della effettività e applicabile nel lavoro privato -della trasformazione del rapporto (illegittimamente) a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. L’alternativa tutela meramente risarcitoria rischia, invece, di non essere una tutela
sufficientemente efficace (e, quindi, un’effettiva attuazione dei principî eurounitari), qualora governata dalle comuni norme sulla ripartizione degli oneri probatori, che impongono al lavoratore di allegare e provare in modo specifico il danno subito e il suo nesso causale con il rapporto di lavoro. Per questo, si è ritenuta misura doverosa, nel diritto interno, il riconoscimento al lavoratore, in caso di abusiva reiterazione di contratti a termine, del diritto al pagamento di un’indennità forfettaria, in misura variabile tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, che prescinde dalla prova del danno, ferma restando la possibilità per il lavoratore di provare di avere subito un danno maggiore.
-Tale delicato equilibrio tra un obiettivo del diritto eurounitario e una disposizione interna di rango costituzionale verrebbe infranto qualora l’agevolazione nella tutela risarcitoria del lavoratore illegittimamente assunto a termine dalle pubbliche amministrazioni fosse condizionata al presupposto, meramente formale, della stipulazione del contratto per iscritto. In sostanza, seguendo questa opinione, la tutela risarcitoria facilitata del lavoratore verrebbe meno per il fatto che, alla violazione RAGIONE_SOCIALE n orme che delimitano l’ambito di legittimità del ricorso al lavoro a termine, si aggiunge la violazione di un’ulteriore disposizione di legge (quella che prescrive la forma scritta per tutti i contratti della pubblica RAGIONE_SOCIALE: artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923), anch’essa imputabile principalmente al datore di lavoro, il
quale, in quanto ente pubblico, è il primo responsabile della legittimità del proprio operato. E sarebbe evidentemente contrario ad ogni razionalità che la tutela giuridica del lavoratore venisse meno, o risultasse attenuata, per il solo fatto che il comportamento del datore di lavoro è illegittimo anche sotto un diverso profilo, oltre a quello che determina la necessità di quella tutela.
-Del resto, l’Accordo quadro allegato, come parte integrante, alla Direttiva 1999/70/CE, indica, alla clausola n. 1, l’obiettivo di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di «contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato», manif estando chiaramente l’intenzione di prevedere una tutela del rapporto di lavoro , anche a prescindere dalla disciplina del contratto in quanto tale. Lo stesso vale per la clausola n. 5 («contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato»), che è quella direttamente rilevante nel caso di specie. Ciò, del resto, è in perfetta coerenza con quella effettività della tutela che il diritto dell’Unione intende garantire allorché riconosce diritti soggettivi e libertà personali, affidandone la cura ai giudici nazio nali. E poiché l’agevolazione probatoria ai fini del risarcimento del danno è posta proprio a presidio del principio di effettività della tutela dei RAGIONE_SOCIALE precari nell’ambito del lavoro pubblico, sarebbe in contraddizione con tale principio farla venire meno in conseguenza di un vizio formale nella stipulazione del contratto.
-Né può essere condivisa l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui la nullità del contratto per mancanza di forma
scritta determinerebbe una «impossibilità intrinseca di procedere alla conversione del rapporto», da intendersi come diversa, e più intensa, rispetto a quella determinata dal divieto di instaurare rapporti di pubblico impiego senza concorso. Anche quest’ul tima è, infatti, una impossibilità intrinseca , tant’è che proprio in relazione ad essa i criteri per la liquidazione del «risarcimento comunitario» sono stati individuati nell’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 (ora art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015) e non in quelli dettati per i casi di licenziamento illegittimo (il riferimento è, ancora una volta, a Cass. S.U. n. 5072/2106, che ha considerato inappropriato il rinvio ai criteri dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 8 della legge n . 604 del 1966, perché « L’ipotesi del licenziamento evoca la perdita del posto di lavoro che nella fattispecie del lavoro pubblico contrattualizzato … è esclusa in radice dalla legge ordinaria … in ottemperanza di un precetto costituzionale sull’agire dell a pubblica RAGIONE_SOCIALE »).
-In definitiva, è necessario affermare che la tutela agevolata del lavoratore, sul piano probatorio ai fini del risarcimento del danno, in caso di abusiva reiterazione di rapporti a termine da parte della pubblica RAGIONE_SOCIALE, per essere conforme ai vin coli derivanti dal diritto dell’Unione europea, non può venire meno a causa della nullità dei contratti determinata dalla mancanza di forma scritta.
-Una tale soluzione appare, del resto, del tutto in linea con i precedenti di questa Corte in materia di rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto (ad es. Cass. n. 41464/2021; Cass. n. 10157/2019; Cass. n. 10951/2018), sia con quelli in cui si è riconosciuta l’agevolazione probatoria a fronte di contratti privi di causale – vizio di forma – (v. ad esempio Cass. n. 37741/2022 che con riferimento a contratti che non enunciavano alcuna esigenza temporanea ed eccezionale giustificativa del termine ha ritenuto corretta l’agevolazione probatoria dell’art. 32 ).
-Infondato, di contro, deve ritenersi il secondo motivo
-È lo stesso ricorrente a riconoscere che il corrispettivo richiesto non è previsto dal contratto collettivo applicato al suo rapporto di lavoro, tant’è che egli si sforza di ravvisare in tale omissione una violazione dell’art. 36 Cost., secondo cui «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro». Sennonché, il fatto di poter essere chiamato, nel corso dell’anno, a seconda RAGIONE_SOCIALE esigenze del datore di lavoro (ma forse sarebbe più corretto dire dei datori di lavoro , dal momento che diversi sembrano essere i soggetti che possono attingere dai contingenti di RAGIONE_SOCIALE a tempo determinato iscritti nell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 45 -ter della legge RAGIONE_SOCIALE n. 16 del 1996), non comporta una prestazione di lavoro aggiuntiva (essendo una contraddizione in termini che questa possa consistere in un mero non facere ), ma rappresenta soltanto una modalità in cui si estrinseca il rapporto.
-Non si ravvisa, pertanto, alcuna violazione dell’art. 36 della Costituzione nella previsione che al lavoratore sia corrisposta la retribuzione determinata dalla contrattazione collettiva in rapporto alla quantità e qualità RAGIONE_SOCIALE prestazioni effettivamente erogate.
-Il primo motivo va, dunque, accolto, rigettato il secondo e la sentenza impugnata cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, alla Corte d’Appello di Caltanissetta che provvederà in conformità attenendosi al seguente principio di diritto: « la tutela del lavoratore precario nell’ambito del lavoro pubblico contrattualizzato, come sancita nella sentenza n. 5072/2016 RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite della Corte di Cassazione -e, in particolare, l’esonero dall’onere probatorio del danno e del nesso causale nella mis ura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 -non vengono meno nel caso in cui i contratti di lavoro a termine siano nulli per mancanza di forma scritta ai sensi degli artt. 16 e 17 del r.d. m. 2440 del 1923, in quanto in mancanza di forma scritta si realizza anche la violazione RAGIONE_SOCIALE norme sulla specificazione della causale o di certezza dell’assetto tempoRAGIONE_SOCIALE del lavoro a termine che sono funzionali, nel diritto interno, all’esigenza antiabusiva di cui all’art. 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/79/CE » e disponendo altresì per le spese del presente giudizio di legittimità.
-Si dà atto che, in ragione dell’esito dell’impugnazione, non sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del