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Danno comunitario: risarcimento per abuso contratti

La Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per danno comunitario a una lavoratrice del settore sanitario per l’illegittima reiterazione di contratti a termine oltre il limite di 36 mesi. La Corte ha stabilito che la successiva assunzione a tempo indeterminato, avvenuta per scorrimento di una graduatoria concorsuale e non tramite una specifica procedura di stabilizzazione, non costituisce una misura riparatoria idonea a escludere il diritto al risarcimento del danno subito a causa dell’abuso.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Danno Comunitario: L’Assunzione Stabile non Sempre Cancella l’Abuso dei Contratti a Termine

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: il risarcimento del danno comunitario per l’abuso di contratti a termine. La decisione chiarisce un punto fondamentale: l’assunzione a tempo indeterminato di un lavoratore non esclude automaticamente il suo diritto a essere risarcito se la stabilizzazione non è una diretta conseguenza di misure volte a sanare l’abuso pregresso. Questo principio è di vitale importanza per migliaia di lavoratori del settore pubblico, specialmente in ambiti come la sanità.

I Fatti di Causa

Una lavoratrice del settore sanitario si era rivolta al Tribunale per denunciare l’illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato con un’Azienda Sanitaria Provinciale, per una durata complessiva di circa 58 mesi, ben oltre il limite legale di 36 mesi. Il Tribunale di primo grado le aveva dato ragione, riconoscendo l’abuso e condannando l’ente al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a quattro mensilità.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, non vi era stata alcuna illegittimità, e l’avvenuta assunzione a tempo indeterminato della lavoratrice (nel frattempo ottenuta) costituiva una misura satisfattiva che escludeva qualsiasi ulteriore pretesa risarcitoria. La lavoratrice ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua assunzione non derivava da una procedura di stabilizzazione riparatoria, ma dal semplice scorrimento di una graduatoria di un concorso pubblico a cui aveva partecipato anni prima.

Il Danno Comunitario e la Violazione del Limite di 36 Mesi

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della lavoratrice, ritenendo fondati entrambi i motivi di doglianza. Il punto centrale della decisione risiede nell’interpretazione del danno comunitario. Questo tipo di risarcimento è stato introdotto per sanzionare la Pubblica Amministrazione che abusa dei contratti a termine, in violazione della direttiva europea 1999/70/CEE, che vieta la conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato nel settore pubblico.

La Suprema Corte ha confermato che il superamento del limite massimo di 36 mesi di contratti a termine è di per sé sufficiente a configurare un abuso, facendo sorgere il diritto del lavoratore a un risarcimento. Le giustificazioni addotte dall’ente, legate a normative speciali del settore sanitario o a presunte necessità organizzative, non sono state ritenute idonee a legittimare una violazione così prolungata della legge.

L’Assunzione Stabile non È Sempre una Misura Riparatoria

Il passaggio più innovativo e rilevante dell’ordinanza riguarda il rapporto tra l’avvenuta assunzione a tempo indeterminato e il diritto al risarcimento. La Corte ha stabilito un principio chiaro: affinché l’assunzione possa essere considerata una misura sanzionatoria e riparatoria idonea a escludere il danno comunitario, essa deve essere in un rapporto di diretta derivazione causale con l’abuso subito.

In altre parole, l’assunzione deve essere l’esito di procedure specificamente volte a superare il precariato (le cosiddette ‘stabilizzazioni’), che offrano al lavoratore una ragionevole certezza di assunzione come rimedio all’illecito. Nel caso di specie, la lavoratrice è stata assunta per effetto dello scorrimento di una graduatoria di un concorso pubblico vinto in precedenza. Questa modalità di assunzione, secondo la Corte, non ha alcuna valenza riparatoria. L’abuso subito opera come un mero antecedente remoto, e l’assunzione rappresenta una ‘chance’ che non sana il danno patito durante gli anni di precariato illegittimo.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha cassato la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, ha confermato la decisione di primo grado. Le motivazioni si fondano sul consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sentenza n. 5072/2016), che ha interpretato l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 in conformità con il diritto europeo. La tutela del lavoratore pubblico non può consistere nella conversione del contratto, ma si realizza attraverso una misura risarcitoria con valenza sanzionatoria. Tale risarcimento, qualificato come danno comunitario, è presunto e viene liquidato in via equitativa tra un minimo e un massimo, agevolando l’onere probatorio del lavoratore. La Corte ha ribadito che la successiva immissione in ruolo costituisce una misura sanzionatoria adeguata solo se è la conseguenza diretta di procedure pensate per rimediare all’abuso, e non quando deriva da un percorso autonomo come la vittoria di un concorso pubblico.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela dei lavoratori precari del settore pubblico. Stabilisce che il diritto al risarcimento per l’abuso dei contratti a termine non viene meno solo perché, a un certo punto, il lavoratore riesce a ottenere un contratto a tempo indeterminato. È necessario valutare come tale assunzione sia avvenuta: solo se è il frutto di una specifica procedura di stabilizzazione, concepita come rimedio all’abuso, può escludere il diritto al danno comunitario. In caso contrario, come nel caso di assunzione per scorrimento di una graduatoria concorsuale, il diritto al risarcimento per il danno subito negli anni di precariato rimane intatto.

Il superamento del limite di 36 mesi per i contratti a termine nel pubblico impiego dà sempre diritto al risarcimento del danno comunitario?
Sì, secondo la Corte la reiterazione di contratti a termine per una durata superiore al limite massimo di 36 mesi è illegittima e configura un abuso che deve essere risarcito ai sensi dell’art. 36 del D.Lgs. 165/2001.

L’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore esclude automaticamente il diritto al risarcimento per l’abuso subito?
No. L’assunzione esclude il risarcimento solo se costituisce una misura sanzionatoria specificamente volta a rimediare all’abuso, come nel caso di procedure di stabilizzazione. Se l’assunzione avviene per altre vie, come lo scorrimento di una graduatoria di un concorso pubblico, non ha valenza riparatoria e il diritto al risarcimento del danno comunitario rimane.

Come viene quantificato il danno comunitario in caso di abusiva reiterazione di contratti a termine?
Il danno è presunto e viene quantificato in via equitativa. La Corte, nel caso di specie, ha confermato la quantificazione del Tribunale, pari a un’indennità di 4 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, facendo riferimento ai criteri previsti dall’art. 32, comma 5, della Legge n. 183/2010.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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