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Danno biologico: come si calcola l’indennizzo

La Corte d’Appello interviene su un caso di malattia professionale da amianto, riformando parzialmente la sentenza di primo grado. A seguito di una nuova consulenza tecnica, il danno biologico del lavoratore viene rideterminato dal 36% al 34%. La decisione, basata su un accordo tra l’ente previdenziale e gli eredi del lavoratore defunto, conferma il diritto all’indennizzo ma ne adegua l’importo, liquidando le somme maturate fino al decesso in favore degli eredi.

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Pubblicato il 22 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Danno Biologico e Malattia Professionale: La Decisione della Corte d’Appello

Il riconoscimento del danno biologico derivante da malattia professionale è un percorso spesso complesso, che richiede accurate valutazioni medico-legali. Una recente sentenza della Corte d’Appello ha affrontato proprio questo tema, decidendo su un caso di un operaio che aveva contratto una grave patologia a seguito dell’esposizione all’amianto. La decisione finale, frutto di un accordo tra le parti, chiarisce importanti aspetti sulla quantificazione dell’indennizzo e sulla gestione del processo.

I Fatti del Caso: La Malattia e il Ricorso Iniziale

Un operaio, impiegato per oltre vent’anni nella manutenzione di celle elettrolitiche in uno stabilimento di produzione di alluminio, aveva contratto una “interstiziopatia subpleurica con deficit ostruttivo per inalazione di polvere di amianto”. Dopo il rigetto della sua domanda amministrativa da parte dell’ente previdenziale, che negava il nesso causale tra l’attività lavorativa e la malattia, l’uomo aveva intrapreso un’azione legale.

Il Tribunale di primo grado, avvalendosi di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU), aveva dato ragione al lavoratore. I giudici avevano riconosciuto l’origine professionale della patologia, una “asbestosi pleuro-polmonare con associata cardiopatia ischemico-ipertensiva”, e avevano quantificato il danno biologico complessivo nella misura del 36%. Di conseguenza, l’ente era stato condannato a corrispondere un indennizzo in rendita a partire dalla data della domanda amministrativa.

L’Appello e la Rivalutazione del Danno Biologico

L’ente previdenziale ha impugnato la sentenza di primo grado, contestando non il diritto all’indennizzo in sé, ma la metodologia di calcolo del danno. Secondo l’appellante, il primo consulente tecnico aveva commesso un errore, sommando una percentuale di danno anatomico (5%) a quella di danno funzionale (25%), creando così una duplicazione, poiché il danno anatomico era già compreso in quello funzionale secondo le tabelle di legge.

La Corte d’Appello, ritenendo non corretta la metodologia utilizzata, ha disposto il rinnovo della perizia, affidandola a un nuovo medico legale. Nel frattempo, il lavoratore è deceduto e la causa è stata proseguita dai suoi figli ed eredi.

L’Esito della Nuova Consulenza Tecnica

Il nuovo consulente ha concluso che il lavoratore era affetto da asbestosi di natura professionale, che aveva causato un danno biologico quantificabile nella misura complessiva del 34%. Questa percentuale era così composta:

* 25% per la componente pleuro-polmonare (valutando il solo danno funzionale);
* 10% per il danno cardiovascolare, ritenuto in concorrenza funzionale.

Sulla base di queste nuove risultanze, la Corte ha invitato le parti a valutare una possibile conciliazione della vertenza.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte d’Appello si fonda sull’accordo transattivo raggiunto dalle parti, le quali hanno concordemente aderito alla proposta conciliativa formulata dal collegio. La sentenza, quindi, riforma parzialmente quella di primo grado per allinearla ai risultati della nuova e più accurata perizia medico-legale.

La Corte ha dichiarato il diritto del lavoratore a percepire, finché in vita, un indennizzo commisurato a un danno biologico del 34%, con decorrenza dalla domanda amministrativa fino alla data del suo decesso. Di conseguenza, ha condannato l’ente previdenziale a liquidare agli eredi le somme maturate e non percepite dal defunto.

Per quanto riguarda le spese legali, la Corte ha confermato la condanna dell’ente per il primo grado di giudizio. Per il giudizio d’appello, le spese sono state poste a carico dell’ente, ma compensate per un terzo, tenendo conto delle risultanze della nuova perizia e dei motivi dell’appello. Anche le spese della consulenza tecnica sono state definitivamente poste a carico dell’ente previdenziale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza evidenzia due aspetti fondamentali nella gestione delle controversie su malattie professionali:

1. L’importanza della Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU): La corretta quantificazione del danno biologico è cruciale per determinare l’entità dell’indennizzo. La decisione di rinnovare la perizia ha permesso di correggere un errore metodologico e di giungere a una valutazione più precisa, evitando duplicazioni di danno.

2. Il ruolo della conciliazione: La proposta di un accordo da parte del giudice, basata su evidenze tecniche oggettive, si è rivelata uno strumento efficace per risolvere la controversia in modo rapido e soddisfacente per entrambe le parti, definendo chiaramente i diritti degli eredi e gli obblighi dell’ente.

Perché la Corte d’Appello ha modificato l’importo dell’indennizzo riconosciuto in primo grado?
La Corte ha ridotto la percentuale di danno biologico dal 36% al 34% perché la valutazione iniziale è stata ritenuta metodologicamente errata. Una nuova Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) ha fornito una quantificazione più precisa, distinguendo correttamente il danno funzionale da quello anatomico ed eliminando una duplicazione di valutazione, e tale nuova misura è stata accettata da entrambe le parti in un accordo.

Cosa succede all’indennizzo se il lavoratore muore durante la causa?
Il diritto all’indennizzo maturato non si estingue con la morte del lavoratore. Gli eredi hanno il diritto di proseguire la causa e di ricevere tutte le somme che sarebbero spettate al defunto dalla data della domanda amministrativa fino al giorno del suo decesso, oltre agli accessori di legge.

Chi paga le spese della consulenza tecnica e le spese legali nel caso specifico?
Le spese della consulenza tecnica (CTU) e la maggior parte delle spese legali sono state poste a carico dell’ente previdenziale. Sebbene l’appello dell’ente sia stato parzialmente accolto sulla quantificazione del danno, esso è risultato comunque soccombente sulla questione principale del diritto all’indennizzo. Le spese del giudizio di appello sono state compensate per un terzo, ma la restante parte è rimasta a carico dell’ente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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