Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8588 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8588 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16947/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) , che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI TRIESTE n. 497/2020, depositata il 23/12/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/09/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE chiedeva alla Corte d’Appello di Trieste la riforma della sentenza n. 227/18 resa dal Tribunale di Gorizia che rigettava l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione n. 25307/16 emessa dalla provincia di Gorizia, notificata alla società il 28.11.2016.
L’ordinanza contestava alla società RAGIONE_SOCIALE la violazione dell’art. 193 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. codice dell’RAGIONE_SOCIALE), per avere effettuato n. 25 trasporti di rifiuti speciali non pericolosi (sansa di olive) in assenza del previsto formulario di identificazione rifiuti (FIR), utilizzando invece il DDT come se il trasporto riguardasse materia prima; irrogava, pertanto, alla suddetta società una sanzione amministrativa pari ad €40.015,95 (€1.600,00 per ogni trasporto).
La Corte d’Appello di Trieste rigettava il gravame, così decidendo:
correttamente il Tribunale di Gorizia, in applicazione del comma 3 dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981, e richiamando la giurisprudenza della Suprema Corte in materia di connessione c.d. probatoria tra reato ed illecito amministrativo (Cass. n. 23477/2009), ha ritenuto pervenuta nei termini la contestazione della violazione mediante processo verbale di accertamento n. 43/2013 del 12.12.2013, notificato in data 19.12.2013. A partire dal 2011, infatti, il RAGIONE_SOCIALE Carabinieri per la tutela dellRAGIONE_SOCIALE aveva avviato un’attività di indagine penale conclusasi in data 16.10.2013 con avviso ex art. 415bis cod. proc. pen., seguito da una nota del 25.10.2013 con la quale il medesimo organo accertatore chiedeva al P.M. (e otteneva da questi nello stesso giorno) il nulla osta a procedere all’accertamento e alla relativa contestazione degli illeciti amministrativi. Assumendo una
delle due date come dies a quo , il termine dei 90 giorni doveva ritenersi rispettato;
deve ritenersi sussistente l’elemento soggettivo della colpa, perché nel presente procedimento RAGIONE_SOCIALE è una persona giuridica che risponde in qualità di obbligata in solido, ex art. 6, comma 3, legge n. 689 del 1981, delle violazioni commesse da un proprio dipendente trasgressore non identificato che abbia commesso la violazione nell’esercizio delle proprie funzioni. In capo alla società appellante va, quindi, escluso qualsiasi riferimento alla presenza o meno dell’elemento soggettivo, risultando il responsabile solidale non un soggetto attivo dell’illecito amministrativo, ma solo una persona fisica o giuridica tenuta al pagamento della somma di denaro prevista dalla sanzione, rivestendo la relativa sanzione carattere autonomo rispetto a quella del trasgressore. Per tale soggetto la legge non ammette alcuna prova liberatoria;
deve ritenersi sussistente la violazione dell’art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006 per trasporto di rifiuti non pericolosi in assenza di formulario, posto che la sansa di cui si discute, stoccata presso i magazzini della RAGIONE_SOCIALE, destinata a vari stabilimenti del Veneto e della Lombardia, è stata correttamente qualificata dal Tribunale come un rifiuto, e non come un sottoprodotto, in quanto non soddisfa contemporaneamente tutte le condizioni previste dell’art. 184bis del medesimo decreto legislativo. Né riveste alcuna rilevanza la nota emanata dalla provincia di Gorizia il 03.10.2008, poiché non affronta la questione della qualificazione del materiale nelle specie trasportato come rifiuto ovvero come sottoprodotto. Parimenti irrilevante deve considerarsi l’intervenuta archiviazione del procedimento sanzionatorio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, accertata l’assenza dell’elemento soggettivo della colpa
ex art. 3, comma 2, della legge n. 689 del 1981 in capo ai trasgressori. Infine, irrilevante ai fini civili è anche la vicenda penale, conclusasi per intervenuta prescrizione;
correttamente il Tribunale ha escluso il cumulo giuridico, posto che nella presente fattispecie le 25 distinte azioni di trasporto rifiuti, con quattro diversi destinatari, avvenute tra il 10.02.2011 e l’11.09.2011 escludono l’unicità dell’azione od omissione necessaria per l’applicabilità del cumulo formale previsto dall’art. 8, comma 1, legge n. 689 del 1981.
RAGIONE_SOCIALE, ricorre per cassazione con sei motivi, contrastati con controricorso, illustrato da memoria, dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, subentrata alla Provincia di Gorizia,.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981 per avvenuta maturata decadenza dall’azione amministrativa e conseguente eccesso di potere, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Nella ricostruzione della ricorrente, per la decorrenza del termine della contestazione non deve essere presa in considerazione l’emissione dell’avviso ex art. 415bis cod. proc. pen., ma la data della proroga delle indagini (31.01.2012), ovvero la data del successivo nulla osta del magistrato (01.02.2012), posto che la ratio della norma menzionata è quella di tutelare la segretezza degli atti penali e non di conferire autonomamente all’organo di PG la scelta di quale debba essere l’atto da utilizzare per far decorrere i 90 giorni per la notifica delle contestazioni.
1.1. Il motivo è infondato.
Correttamente la Corte d’Appello ha richiamato un principio consolidato espresso da questa Corte, in virtù del quale, in tema di
sanzioni amministrative, al di fuori dell’ipotesi di connessione per pregiudizialità disciplinata dall’art. 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il termine stabilito dall’art. 14 della citata legge per la notificazione della contestazione, qualora gli elementi di prova di un illecito amministrativo emergano dagli atti relativi alle indagini penali, decorre dalla ricezione degli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria all’autorità amministrativa, posto che, qualora fosse consentito agli agenti accertatori di contestare immediatamente all’indagato la violazione amministrativa, l’autorità giudiziaria non sarebbe messa in condizione di valutare se ricorra o meno la vis attractiva della fattispecie penale e, nel contempo, sarebbe frustrato il segreto istruttorio imposto dall’art. 329 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23477 del 05/11/2009, Rv. 609980 -01; conf. di recente da: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7754 del 30/03/2010, Rv. 612179 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9881 del 20/04/2018, Rv. 648157 -01).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha confermato le deduzioni del giudice di prime cure, attribuendo al nulla osta del PM risalente al 01.02.2012 il significato opposto rispetto a quello suggerito dalla ricorrente (cfr. secondo mezzo di gravame), ossia condividere la volontà manifestata dalla Polizia Giudiziaria, organo accertatore, di posticipare la contestazione amministrativa al momento dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, con il chiaro intento di preservare il segreto istruttorio.
Del resto, il compito di individuare, secondo le caratteristiche e la complessità della situazione concreta, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento e da cui deve farsi decorrere il termine per la contestazione spetta al giudice del merito, la cui valutazione non è
sindacabile nel giudizio di legittimità, ove congruamente motivata, come nel caso di specie (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27702 del 29/10/2019, Rv. 655683 – 01).
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, precisamente, l’omesso l’esame del nulla osta del PM datato 01.02.2012, mentre gli atti di contestazione sono stati notificati in data 19.12.2013 (pp.vv.aa.) e 23.11.2016 (l’ordinanza-ingiunzione). Considerato che il PM ha espresso il proprio nulla osta in data 01.02.12, ne discende che il segreto istruttorio era ormai superato e, quindi, la PG avrebbe potuto e dovuto notificare i verbali di accertamento e la successiva ordinanza-ingiunzione con decorrenza a partire da quella data.
Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. La norma citata non esclude che la persona giuridica possa avvalersi della carenza dell’elemento psicologico nella commissione della violazione. Nel caso di specie, la mancata redazione dei FIR è stata conseguenza immediata e diretta della nota della Provincia di Gorizia che, interpellata sull’argomento, ha risposto in senso negativo all’obbligo di produzione di detto documento.
Con il quarto motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e precisamente l’omesso l’esame dell’archiviazione, da parte della Provincia di Gorizia, della pratica RAGIONE_SOCIALE che ha svolto la medesima attività della ricorrente su incarico della stessa committente, RAGIONE_SOCIALE; archiviazione avvenuta in sede di autotutela da parte della
Provincia di Gorizia, ex art. 360, comma 1, nn. 4) e 5) cod. proc. civ., la quale ha ritenuto che la questione della classificazione del prodotto fosse oggettivamente estranea alla sfera di cognizione del trasportatore.
Con il quinto motivo si deduce omessa e carente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e precisamente l’assoluzione in sede penale del legale rappresentante della società ricorrente per i fatti penali a lui contestati, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. L’insussistenza dell’elemento psicologico nella commissione della violazione in capo alla ricorrente viene qui dedotta sotto il profilo dell’omesso esame : la ricorrente lamenta che la Corte d’Appello avrebbe ignorato l’art. 652 cod. proc. pen., che tutela l’incolpato garantendo l’efficacia della sentenza penale di assoluzione anche nel giudizio civile.
Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 8 della legge n. 689 del 1981, per omessa applicazione dell’istituto del cumulo giuridico in materia sanzionatoria amministrativa, omesso esame dei fatti e dei documenti, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Pur avendo la Corte d’Appello ammesso – contrariamente a quanto aveva fatto il Tribunale – che alle sanzioni amministrative sia applicabile il cumulo giuridico stabilito dall’art. 8 della legge n. 689 del 1981, il giudice di seconde cure ha escluso l’unicità dell’azione necessaria per l’applicabilità del cumulo formale senza, però, specificare perché non era ravvisabile detta unicità di azione. Dalla lettura della norma di riferimento appare, invece, lapalissiano che anche in caso di più violazioni della stessa disposizione di legge sia applicabile il cumulo giuridico. Del resto, il legislatore è intervenuto di recente esplicitamente a regolare,
con riguardo agli illeciti amministrativi contemplati del novellato art. 258 codice dell’RAGIONE_SOCIALE, contestato alla ricorrente, le ipotesi di concorso formale e continuazione, nonché il cumulo giuridico delle sanzioni amministrative: alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 63/2019, si deve ritenere applicabile anche al caso di specie il principio di retroattività della disposizione più favorevole e, quindi, la regola del cumulo giuridico.
7. Il secondo, quarto e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente, poiché censurano – benché sotto diversi profili e richiamando erroneamente (secondo e quinto motivo) il n. 3) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. – la pronuncia impugnata per la medesima questione, ossia l ‘omess o esame di fatti decisivi per il giudizio. Essi sono tutti inammissibili: va, infatti, rilevato che, nell’ipotesi di « doppia conforme », prevista dall’art. 348 -ter , comma 5, cod. proc. civ. vigente ratione temporis (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e quindi applicabile anche al giudizio in esame), il ricorrente per cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5 ), cod. proc. civ. per difetto di specificità, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex plurimis : Cass. Sez. 6-2, n. 8320 del 2022-Rv. 664432 – 01; Cass., Sez. 3, 14.07.2022, n. 22244; Cass., Sez. L, 20.07.2022, n. 22782; Cass., Sez. 6-2, 15.03.2022, n. 8320; Cass., Sez. L, 06.08.2019, n. 20994). Nella specie, il ricorrente non ha indicato dette ragioni di
diversità fra le due pronunce: il motivo è, dunque, inammissibile per difetto di specificità.
7.1. Il quinto motivo di ricorso è, altresì, infondato nella parte in cui invoca l’assoluzione in sede penale del legale rappresentante della società. Sicuramente non si pone un problema di giudicato ex art. 654 cpp perché come costantemente affermato da questa Corte, l’ art. 654 cod. proc. pen., diversamente dall’art. 652 relativo ai giudizi civili di risarcimento del danno, esclude che possa avere efficacia in un successivo giudizio civile la sentenza penale di condanna o di assoluzione, con riferimento ai soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata partecipazione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4961 del 02/03/2010; Cass. n. 30838/2018; Cass. 35782/2022). L’efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile di assoluzione nel giudizio civile, di cui all’art. 654 c.p.p., postula, infatti, sotto il profilo soggettivo, la perfetta coincidenza delle parti tra i due giudizi, vale a dire che non soltanto l’imputato, ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale.
Nel caso in esame, manca la partecipazione della Provincia al processo penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata partecipazione.
Tornando all’esame de gli altri motivi, anche il terzo è infondato. La Corte triestina ha correttamente richiamato il principio per cui il responsabile solidale dell’illecito amministrativo non è soggetto attivo dell’illecito, ma un soggetto tenuto al pagamento della sanzione irrogata unitamente al trasgressore al fine di evitare che l’illecito resti impunito allorquando sia impossibile identi ficare tale ultimo soggetto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22082 del 22/09/2017, Rv. 645324 -01, richiamata nella pronuncia impugnata),
rispondendo la funzione di garanzia anche alla finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui. Il criterio d’imputazione della responsabilità dell’ente è chiaramente individuato dall’art. 6 della legge n. 689 il quale, richiedendo che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, legali rappresentanti o dipendenti, stabilisce un parametro di collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto ed il limite della responsabilità dell’ente (Sez. 2, Ordinanza n. 30766 del 28/11/2018, Rv. 651534 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3879 del 12/03/2012, Rv. 621466 – 01). Il sistema della legge 24 novembre 1981, n. 689, in definitiva, preserva il principio della natura personale della responsabilità, disciplinando i profili della «imputabilità» (art. 2) e dell’«elemento soggettivo» della violazione (art. 3), riferiti al trasgressore persona fisica, prevede unicamente la responsabilità dell’autore della violazione e, in solido con esso ma a titolo di responsabilità patrimoniale, quella della persona giuridica o dell’ente o dell’imprenditore.
Con riferimento, quindi, all’elemento soggettivo della colpa è costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di violazioni amministrative, poiché, ai sensi dell’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per integrare l’elemento soggettivo dell’illecito è sufficiente la semplice colpa, l’errore sulla liceità della relativa condotta, correntemente indicato come «buona fede», comunque riferibile al trasgressore persona fisica, può rilevare in termini di esclusione responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni, solo quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in
lui la convinzione della sopra riferita liceità, oltre alla condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore sia stato incolpevole, non suscettibile cioè di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 33441 del 17/12/2019, Rv. 656323 -01; Cass. n. 24081 del 26.09.2019; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 19759 del 02/10/2015, Rv. 636814 -01; Cass. nn. 16320/10, 13610/07, 11012/06, 9862/06, 5426/06 e 11253/04). L’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona fede è a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. 2, n. 21280/2015; Cass. n. 19759/2015; Cass. n. 23019/09).
8.1. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha escluso l’errore sulla liceità della condotta laddove ha espressamente negato rilevanza alla nota della provincia di Gorizia del 03.10.2008, che -ad insindacabile giudizio della Corte del merito -non poteva ingenerare alcun affidamento incolpevole, né tradursi in elemento positivo a riscontro della buona fede del trasgressore, posto che non affrontava la questione della qualificazione del materiale nella specie trasportato come rifiuto o come sottoprodotto.
Il sesto motivo è invece fondato alla luce dello ius superveniens .
Infatti, l’art. 8-quater, comma 1, D.L. 18 ottobre 2023, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 dicembre 2023, n. 191, ha introdotto, nel Codice dell’ Ambiente (DLGS n. 152/2006) l’articolo 258 comma 9 bis che dispone testualmente: ” 9-bis. Le disposizioni di
cui al comma 9 si applicano a tutte le violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, per le quali non sia già intervenuta sentenza passata in giudicato ‘ (cfr. art. 8 quater comma 1 DL 145/2023).
L’articolo 258 comma 9 a sua volta dispone che ‘ Chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni di cui al presente articolo, ovvero commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione amministrativa prevista per la violazione più grave, aumentata sino al doppio. La stessa sanzione si applica a chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di cui al presente articolo ‘ .
La sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste che, in diversa composizione, considererà la nuova disciplina legislativa di cui sopra e all’esito regolerà anche le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda