Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33074 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33074 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 593-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1505/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/06/2021 R.G.N. 2838/2018;
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. 593/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 07/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, in sede di rinvio disposto da questa Corte per una questione legata all’operatività della decadenza ex art. 6 l. n. 604 del 1966, ha dichiarato ‘l’illegittimità del licenziamento intimato a NOME COGNOME da RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE con lettera datata 20.4.2009′ e ordinato la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, con condanna della società al risarcimento del danno ‘pari a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal momento del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione’;
la Corte territoriale, in sintesi, ha preliminarmente disatteso ‘l’eccezione sollevata dalla società datrice sulla carenza di interesse ad agire del ricorrente, dovendosi ravvisare l’interesse del lavoratore – ancorché reintegrato in virtù del provvedimento emesso in sede di azione ex art. 28 l. n. 300/70 e risarcito del danno economico per le retribuzioni in conseguenza della ricostituzione del rapporto del lavoro – in un concreto interesse nell’accertamento della dedotta illegittimità del licenziamento e all’ordine di reintegra (per una diversa causa petendi rispetto all’azione intrapresa dal sindacato), anche con specifico riferimento al diritto al risarcimento del danno irriducibile (5 mensilità), conseguente a tale declaratoria, come previsto dall’art. 18 L. 300/70 (applicabile ratione temporis )’;
ha esaminato l’addebito disciplinare contestato allo COGNOME membro del Comitato Tecnico ANPAC in qualità di Responsabile di Area Analisi incidenti e prevenzione, per aver ‘rilasciato
tramite la lista di distribuzione informatica dichiarazioni in aperto contrasto con il vincolo fiduciario, gravemente lesive dell’immagine aziendale’, in violazione dell’art. 2 CCNL Comandanti Dirigenti;
la Corte ha quindi argomentato: ‘anche a voler accedere alla tesi prospettata da parte datoriale sulla certa riferibilità delle mail allo COGNOME -paternità invece contestata dal lavoratore che sul punto richiama i provvedimenti emessi ex art. 28 L. 330/70 -il punto fondamentale, e dirimente, sta nel fatto che le frasi oggetto della contestazione, per quanto contenenti espressione di forte critica con l’uso di un linguaggio certamente non consono, non erano rivolte all’azienda, né aperte alla visibilità di terzi estranei al gruppo della mailing list , per cui non possono configurarsi, a parere del Collegio, contenuti diffamatori. Com’è noto, la lista di distribuzione è uno strumento di discussione utilizzabile dai soli utenti iscritti e inseriti dall’organizzatore in una lista di indirizzi di posta elettronica. Dunque, per tale motivo l’azione di critica, pur esorbitando i limiti di una continenza formale, nel caso di specie, non ha scalfito la reputazione della società, in quanto il contesto nell’ambito del quale l’esternazione riferita allo COGNOME è avvenuta era necessariamente limitato ai soli iscritti al sindacato Anpac e non esteso ad un numero indefinito di persone’; ha richiamato a sostegno un precedente di questa Corte (Cass. n. 21965 del 2018), escludendo la ricorrenza di una giusta causa di licenziamento;
infine, al cospetto del rilievo della società circa l’inapplicabilità della tutela reintegratoria, il Collegio ha ritenuto che ‘nel caso di specie si verta in ipotesi di pseudo-dirigenza, categoria nell’ambito della quale al nomen di dirigente non corrisponde, nei fatti, il possesso di quel complesso di attribuzioni, di mansioni (per quanto caratterizzate da alto profilo tecnico-
professionale), di responsabilità decisorie e di realizzazione degli obiettivi dell’impresa tipiche della qualifica dirigenziale’; 5. per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso la soccombente società, con quattro motivi; ha resistito l’intimato con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere richiamati secondo le rubriche articolate dalla stessa parte ricorrente:
1.1. il primo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 disp. att. c.p.c. per genericità della motivazione in relazione alla carenza di interesse ad agire del Com.te COGNOME (con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).’;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 disp. att. c.p.c. per genericità della motivazione, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132, secondo comma , n. 4, cod. proc. civ. per motivazione ‘ per relationem’ , in relazione all’illegittimità del licenziamento (con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c.) e nullità della sentenza (con riferimento all’art. 360, n. 4, c.p.c.).’;
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. in relazione all’art. 18 L. 300/1970, per avere accertato e dichiarato l’insussistenza della giusta causa di licenziamento (con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c.)’; si eccepisce che talune espressioni utilizzate dal comandante
risultavano ‘antitetiche con l’obbligo di collaborazione, sancito dall’art. 2094 c.c. per la realizzazione delle finalità aziendali’, particolarmente accentuato nel rapporto di lavoro dirigenziale; si deduce che, comunque, le espressioni utilizzate erano idonee a ledere il decoro e l’immagine della società; si sottolinea, infine, che ‘le liste di corrispondenza della mailing list di cui trattasi erano potenzialmente aperte a chiunque ne avanzasse richiesta nei confronti del moderatore e non erano previste particolari procedure di accesso’;
1.4. il quarto motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1 disp. att. c.p.c. per omessa motivazione in ordine all’inquadramento nella categoria di dirigente del Com.te COGNOME (con riferimento all’art. 360, n. 4, c.p.c.)’; si lamenta che la Corte territoriale avrebbe negato l’inquadramento dello COGNOME nella categoria dirigenziale con una motivazione ‘apparente’;
il Collegio reputa che il ricorso non sia meritevole di accoglimento;
2.1. il primo motivo è infondato;
la Corte territoriale spiega le ragioni per cui ha ravvisato l’interesse ad agire del ricorrente, nonostante questi fosse stato già reintegrato in seguito al procedimento per la repressione della condotta antisindacale ex art. 28 St. lav., atteso che, solo nel presente giudizio, poteva rivendicare il risarcimento del danno per le 5 mensilità richieste ex art. 18 St. lav. di vecchio conio; quindi, la lamentata ‘genericità’ della motivazione non sussiste e parte ricorrente non si confronta adeguatamente con tale specifica argomentazione;
2.2. parimenti infondato è il secondo motivo;
nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte
(o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), anche senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice (Cass. SS.UU. n. 642 del 2015); tanto più la sentenza di merito può essere motivata mediante rinvio ai “precedenti conformi”, di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c., rinvio peraltro neanche da intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell’ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile (cfr. Cass. n. 17640 del 2016; Cass. n. 2861 del 2019); nella specie chi ricorre non indica le specifiche ragioni per le quali il precedente richiamato non sarebbe pertinente rispetto alla fattispecie concreta, al punto tale da rendere indecifrabile le ragioni per le quali è stato respinto il gravame della società;
2.3. infondata è anche la terza doglianza, atteso che la sentenza impugnata è dichiaratamente conforme, in diritto, alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui le espressioni offensive nei confronti del datore di lavoro non possono costituire giusta causa di licenziamento laddove siano contenute in comunicazioni dirette ad un determinato gruppo di persone e non ad una moltitudine indeterminata (cfr. Cass. n. 21965 del 2018; conf. Cass. n. 27939 del 2021); l’accertamento di fatto in ordine alla idoneità del mezzo utilizzato a raggiungere un gruppo identificato di persone ovvero una indistinta moltitudine è riservato al giudice del merito;
la censura è volta, invece, ad accreditare la tesi che, nel caso concreto, la ‘lista di corrispondenza della mailing list ‘ fosse ‘aperta’ a chiunque ne facesse richiesta, per cui il commento contestato aveva un indefinito numero di potenziali destinatari, ma si tratta di apprezzamenti che non individuano un errore di diritto ma investono accertamenti di fatto che non sono suscettibili di revisione innanzi a questa Corte di legittimità, tanto più mediante la denuncia del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che presuppone una ricostruzione della vicenda storica incontestata;
2.4. anche l’ultimo motivo è infondato;
la sentenza impugnata, sebbene sinteticamente, ha indicato la ragione per cui ha ritenuto applicabile una tutela reintegratoria allo COGNOME, trattandosi di pseudo-dirigente;
ciò in conformità alla pacifica giurisprudenza secondo cui: ‘la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle l. n. 604 del 1966 e l. n. 300 del 1970 non è applicabile, ai sensi dell’art. 10 della prima delle leggi citate, ai dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente” (Cass. n. 25145 del 2010; Cass. n. 23894 del 2018; sulla scorta di Cass. SS.UU. n. 7880 del 2007);
quindi la motivazione impugnata non può ritenersi ‘apparente’, non essendo idonea a determinare la più grave delle sanzioni processuali l’eventuale insufficienza o non persuasività dell’argomentazione, mentre altra questione è se tale pronuncia sia conform e all’applicazione del diritto nella fattispecie concreta, ma non è tale il vizio evocato dal motivo;
3. pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 7 novembre