Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34571 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34571 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22579-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
DCOGNOMENOMECOGNOME domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 281/2022 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 22/07/2022 R.G.N. 179/2022;
Oggetto
R.G.N. 22579/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 07/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza in atti, ha respinto il reclamo proposto dal RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE nei confronti della sentenza del tribunale di Teramo che aveva confermato l’ordinanza con la quale era stato accolto il ricorso formulato da COGNOME, annullato il licenziamento intimatole in data 27/4/2016 ed ordinato alla società resistente di reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro, con condanna a pagarle un’indennità risarcitoria entro il limite di 12 mensilità ed accessori.
A fondamento della sentenza la Corte ha rilevato che all’esito della procedura di licenziamento collettivo il personale da licenziare fosse stato ridotto dalle 35 programmate a 23 unità, delle quali 19 avevano già cessato il rapporto secondo il criterio della ‘non opposizione’ residuando quindi solo 4 unità; di cui 3 con qualifica di operaio e 1 di impiegato. Tra gli impiegati si procedeva però solo per il primo livello impiegatizio, quello della ricorrente (non risultando cessato alcun rapporto). Mentre per il secondo, il terzo e il quarto livello non si procedeva ad alcun licenziamento, posto che si riducevano gli esuberi previsti per ciascun livello per il numero corrispondente all’unità per le quali era già intervenuta la cessazione del rapporto con la non opposizione.
Ciò aveva comportato che nell’ambito dell’intera categoria degli impiegati all’esito della riduzione degli esuberi residuasse una sola unità da licenziare individuata nella persona della lavoratrice COGNOME in ragione del minor titolo di studio dalla stessa posseduta.
Tanto, ad avviso dei giudici di merito, non era però legittimo atteso che la lavoratrice avrebbe dovuto essere comparata
anche con gli impiegati di diverso livello in possesso del medesimo titolo di studio ma con anzianità inferiore; oppure in alternativa avrebbe dovuto essere comparata con la collega impiegata parimenti di primo livello, COGNOME Angela, prendendosi in considerazione i soli punteggi per anzianità e carichi familiari, con riferimento ai quali risultavano superiori a quelli ottenuti dalla COGNOME. Nell’uno e nell’altro caso ciò che rilevava era che, se l’unico criterio che la società aveva inteso adottare per valutare la professionalità degli impiegati fosse quello del titolo di studio, ritenendolo più qualificante, la società avrebbe dovuto spiegare perché il livello di inquadramento fosse divenuto di nuovo rilevante al fine di limitare la platea dei lavoratori da licenziare ai soli impiegati di primo livello. Escludendo dalla comparazione gli impiegati di livello inferiore tra i quali vi erano pure degli esuberi, doveva concludersi che la parte datoriale non aveva adempiuto all’onere di provare oltre che la corretta attribuzione dei punteggi, anche la regolare comparazione tra lavoratori o l’impossibilità della comparazione della lavoratrice licenziata con gli altri dipendenti aventi qualifica di impiegato, tanto più che non era contestazione che la stessa, impiegata di primo livello, fosse stata adibita nel corso del rapporto a più settori, essendo in grado di svolgere tutte le mansioni impiegatizie.
In tali termini, secondo la Corte, andava integrata la motivazione della sentenza di primo grado, concordandosi in ogni caso sul fatto che quello del titolo di studio era un sottocriterio che non solo aveva portato all’alterazione del risultato della selezione, ma aveva disatteso l’onere del datore di lavoro di fornire la puntuale indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta consentendone la controllabilità.
Concludeva, pertanto, la Corte d’appello che la condotta dall’azienda non aveva risposto ai requisiti dell’oggettività ed
imparzialità, essendo stato applicato il sottocriterio del titolo di studio ai soli impiegati di primo livello, previa parcellizzazione dell’organico, prima in livelli e poi per titoli di studio, ciò integrando un espediente per aggirare un’oggettiva e trasparente applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.
D’altra parte i criteri di scelta devono rispettare sia il principio di non discriminazione, sia il principio di razionalità alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità, oltre ad essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilità; e ciò ancor più che nel caso in cui, dovendosi procedere ad un unico licenziamento, più facilmente essi potrebbero tradursi in un’occasione per espellere dall’azienda un lavoratore piuttosto che un altro attraverso l’adozione del criterio di scelta adottato ad hoc.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il gruppo RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE con un unico motivo di ricorso al quale ha resistito COGNOME con controricorso.
Le parti hanno depositato memoria prima dell’udienza. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 4, comma 9 e 5, comma 1 della legge 25 luglio 1991 n. 223, in relazione all’articolo 360 n.3 c.p.c., perché, al contrario di quanto affermato dalla Corte d’appello, l’applicazione dei criteri di scelta al licenziamento della ricorrente era avvenuta in conformità a legge essendosi applicato, oltre alla comparazione tra livelli, il criterio del titolo di studio per l’individuazione dell’impiegato da licenziare tra quelli inquadrati nel primo livello.
L’applicazione del canone del titolo di studio era avvenuta nel rispetto dell’articolo 5, comma 1 lett. c), nonché dell’accordo sindacale che a tale norma rinviava e in conformità all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il riferimento alle esigenze tecniche produttive e organizzative opera una volta determinato l’ambito per la concreta selezione dei singoli lavoratori da licenziare.
2.- Il motivo è infondato.
Ed invero, come rilevato dai giudici di merito, la lavoratrice era stata individuata come unità da licenziare attraverso una duplice selezione effettuata mediante il criterio di scelta dell’esigenze tecniche produttive, orientato prima in base ai livelli professionali e di seguito, all’interno del livello prescelto, in base all’applicazione del titolo di studio.
Tale modus operandi , relativo all’applicazione del criterio delle esigenze tecnico produttive, non può essere ritenuto conforme a legge la quale richiede criteri oggettivi e trasparenti, di generale applicazione e coerenti con le ragioni della procedura. Ciò che nel caso in esame, secondo l’accertamento concreto operato nel giudizio di merito, deve essere escluso essendo sembrato piuttosto che il duplice impiego del criterio, in successione, delle esigenze tecnico produttive sia stato ritagliato arbitrariamente per la singola categoria e per la singola persona. Laddove invece proprio nel momento della scelta dei lavoratori coinvolti nella riduzione di personale la determinazione del datore, insindacabile nel merito in quanto frutto di valutazione discrezionale sulle prospettive della struttura produttiva, subisce una forte limitazione; essendo necessario garantire una procedura che non lasci al datore di lavoro la possibilità di effettuare u na scelta ‘personalizzata’ del lavoratore da licenziare, ovvero una scelta diretta all’eliminazione di quel lavoratore in luogo di altro. E questa
esigenza si realizza appunto attraverso la oggettivizzazione dei criteri di scelta e l’applicazione di essi in modo che la scelta non possa essere predeterminata quanto all’individuazione del personale destinato al licenziamento.
3.- Nel caso in esame a nessuno degli altri licenziati era stato mai applicato il criterio del titolo di studio ed esso non è neanche previsto, in quanto tale, né dalla legge, né era previsto dagli accordi sindacali; rimanendo pure da spiegarne il senso e la sua coerenza con i motivi posti a base della procedura collettiva alla luce degli accertamenti in concreto operati nel giudizio. Posto che, se l’unico criterio che la società aveva inteso adottare per valutare la professionalità degli impiegati fosse stato quello del titolo di studio, ritenendolo più qualificante, rimaneva comunque da spiegare perché il livello di inquadramento fosse divenuto di nuovo rilevante al fine di individuare la platea dei lavoratori da licenziare nei soli impiegati di primo livello.
4.- Va invero ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘in relazione ai collocamenti in mobilità ed ai licenziamenti collettivi, il principio previsto dagli artt. 5 e 24 della l. n. 223 del 1991 – in base ai quali i criteri di selezione del personale da licenziare, ove non predeterminati secondo uno specifico ordine stabilito da accordi collettivi, debbono essere osservati in concorso tra loro – se impone al datore di lavoro una valutazione globale dei medesimi, non esclude tuttavia che il risultato comparativo possa essere quello di accordare prevalenza ad uno di detti criteri e, in particolare, alle esigenze tecnico-produttive, essendo questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione del personale, sempre che naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore di lavoro e non
sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie (Cass. sentenza n. 12634 del 12/05/2021).
5.- In tali termini va quindi intesa la sentenza della Corte d’appello e dei giudici di merito che, con una triplice conferma, hanno rilevato in maniera concorde l’illegittimità dell’applicazione dei criteri prescelti nel caso di specie in violazione dei canoni espressi dalla giurisprudenza.
6.Tanto risulta anche con riferimento alla sentenza di legittimità (Cass. n.23041/2018) citata in ricorso, la quale mentre consente che le differenti posizioni in esubero possano essere raggruppate in una pluralità di graduatorie composte ciascuno da profili professionali fra loro fungibili e non comparabili con quelle rientranti nelle altre categorie – ciò costituendo pieno soddisfacimento delle esigenze tecnico produttive ed organizzative di cui alla legge n. 223 del 1991, articolo 5 comma 1 lett. c) – tuttavia non consente che il criterio di scelta in questione possa essere poi nuovamente replicato ed utilizzato dal datore di lavoro nell’ambito di ogni singola graduatoria ai fini dell’individuazione dei lavoratori in esubero da licenziare; posto che come osservato nella medesima pronuncia n. 23041 del 26/09/2018: ‘ in tema di licenziamento collettivo, il criterio delle esigenze tecnico produttive può essere utilizzato per la creazione di graduatorie anche trasversali tra i vari settori, in considerazione delle professionalità fungibili, ma il medesimo parametro non può essere poi invocato nuovamente, in relazione alle singole graduatorie, nello specifico attraverso l’utilizzo di sottocriteri variabili fra una graduatoria e l’altra – come il titolo di studio e la coerenza del profilo professionale con la riorganizzazione post ristrutturazione – perché la selezione dei lavoratori da licenziare verrebbe effettuata senza il rispetto dei criteri di oggettività e trasparenza.’
7.- Ovviamente non si tratta di negare qui la duplice rilevanza delle esigenze tecniche produttive in tema di licenziamento collettivo (v. sentenza n. 1938 del 27/01/2011) siccome prevista attraverso il doppio richiamo operato dall’art. 5, comma 1, legge n. 223 del 1991 prima allo scopo di delimitare l’ambito aziendale o produttivo entro il quale dovrà essere operata la scelta dei lavoratori, e dopo in relazione ai concreti criteri di scelta con riguardo alla individuazione dei singoli posti di lavoro rimasti dopo la soppressione. Nel caso di specie invece il criterio delle esigenze tecniche produttive è stato applicato, in modo illegittimo e non conforme alla legge, due volte proprio in sede di criteri di scelta (prima per selezionare il primo livello professionale impiegatizio e poi per selezionare all’interno del primo livello il singolo lavoratore con un minore titolo di studio). 8.- Il ricorso essere pertanto rigettato; parte ricorrente deve essere condannata, in ragione della soccombenza, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, liquidate come da dispositivo.
9.Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente che liquida in € 5500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 7.11.2024