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Criteri di scelta licenziamento: illegittimo se ad hoc

Un’azienda ha effettuato un licenziamento collettivo, individuando una lavoratrice tramite una selezione a due fasi: prima ha limitato la scelta a un solo livello professionale, poi ha usato il titolo di studio come criterio decisivo. La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo il licenziamento, ritenendo che tali criteri di scelta licenziamento fossero stati applicati in modo arbitrario e non trasparente, configurando una selezione “ad personam” e violando i principi di oggettività richiesti dalla legge.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Criteri di Scelta nel Licenziamento Collettivo: No alla Selezione “Ad Personam”

Nell’ambito del diritto del lavoro, i criteri di scelta licenziamento collettivo rappresentano un punto nevralgico per garantire equità e trasparenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza un principio fondamentale: la procedura di selezione non può trasformarsi in un espediente per colpire un singolo lavoratore. Analizziamo come l’applicazione successiva e non trasparente di più criteri possa rendere illegittimo un licenziamento.

I Fatti del Caso: Una Selezione Controversa

Una società avviava una procedura di licenziamento collettivo che, dopo una riduzione degli esuberi, prevedeva il licenziamento di sole quattro persone, tra cui un’unica impiegata. Per individuare la lavoratrice da licenziare, l’azienda aveva adottato un metodo di selezione a due passaggi:

1. Prima selezione: La platea dei lavoratori impiegati da considerare era stata ristretta ai soli dipendenti del primo livello professionale.
2. Seconda selezione: All’interno di questo gruppo ristretto, era stato applicato un ulteriore sottocriterio, quello del titolo di studio, individuando come destinataria del licenziamento la lavoratrice con la qualifica inferiore.

I giudici di primo e secondo grado avevano già ritenuto illegittimo il licenziamento, ordinando la reintegra della lavoratrice. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la legittimità del proprio operato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando l’illegittimità del licenziamento. La decisione si fonda sulla violazione dei principi di oggettività, trasparenza e non discriminazione che devono governare l’intera procedura di licenziamento collettivo.

Le Motivazioni: perché i criteri di scelta licenziamento erano illegittimi?

La Corte ha evidenziato come il modus operandi dell’azienda fosse contrario alla legge. L’applicazione del criterio delle esigenze tecnico-produttive non può avvenire in modo arbitrario e successivo per restringere progressivamente il campo fino a individuare una specifica persona. Secondo i giudici, questo duplice impiego del criterio si è tradotto in un espediente per aggirare una selezione oggettiva e trasparente.

Il problema principale risiede nella “parcellizzazione dell’organico”: prima per livelli e poi, all’interno di un livello, per titoli di studio. Questo processo ha dato l’impressione di una scelta “personalizzata”, finalizzata a espellere una lavoratrice specifica piuttosto che il risultato di un’applicazione imparziale di regole generali. La legge, al contrario, richiede che i criteri di scelta licenziamento siano applicati in modo che la scelta non sia predeterminata, ma emerga da un confronto oggettivo tra tutti i lavoratori in possesso di professionalità fungibili.

Inoltre, il criterio del “titolo di studio” non era previsto né dalla legge né dagli accordi sindacali come parametro autonomo. Il suo utilizzo come sottocriterio decisivo, senza una chiara e preventiva giustificazione della sua coerenza con le finalità della procedura, ha violato l’onere del datore di lavoro di fornire indicazioni puntuali sulle modalità di applicazione dei criteri, rendendone impossibile la controllabilità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Datori di Lavoro e Lavoratori

Questa ordinanza rafforza un importante baluardo a tutela dei lavoratori. La discrezionalità del datore di lavoro nella gestione delle crisi aziendali incontra un limite invalicabile nei principi di correttezza e buona fede. Le aziende devono assicurare che l’intero processo di selezione sia trasparente, coerente e basato su criteri applicati in modo uniforme a tutta la platea dei lavoratori coinvolti.

L’adozione di sottocriteri non concordati o l’applicazione sequenziale dello stesso criterio per restringere il campo sono pratiche ad alto rischio di illegittimità. La scelta dei lavoratori da licenziare deve essere la conseguenza di una valutazione globale e comparativa, non di un percorso a imbuto costruito per arrivare a un risultato predeterminato. Per i lavoratori, questa sentenza conferma che è possibile contestare con successo i licenziamenti che, pur apparendo formalmente corretti, nascondono una selezione arbitraria.

È possibile utilizzare il criterio delle esigenze tecnico-produttive più volte nella stessa procedura di licenziamento collettivo?
No, la Corte ha stabilito che applicare lo stesso criterio due volte in successione (prima per isolare un livello professionale e poi per scegliere all’interno di esso con un sottocriterio) è un modo illegittimo di aggirare l’oggettività e la trasparenza, rischiando di creare una selezione “ad personam”.

Un datore di lavoro può introdurre un “sottocriterio” come il titolo di studio per scegliere chi licenziare, se non è previsto dalla legge o da accordi sindacali?
No, l’introduzione di un sottocriterio non previsto, come il titolo di studio, applicato in modo da alterare il risultato della selezione e senza una chiara giustificazione, viola l’onere del datore di lavoro di applicare i criteri in modo puntuale e controllabile, rendendo la scelta non oggettiva.

Qual è l’obbligo principale del datore di lavoro nella scelta dei lavoratori da licenziare in una procedura collettiva?
L’obbligo principale è garantire una procedura che rispetti i criteri di oggettività, generalità e trasparenza. La scelta non deve essere predeterminata o “personalizzata”, ma deve risultare dall’applicazione corretta e verificabile dei criteri legali o concordati all’intera platea dei lavoratori interessati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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