Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5644 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 5644 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
Oggetto
Procedimento civile – Iscrizione a ruolo – Procedimento innanzi al giudice di pace – Costituzione della parte ─ Invio a mezzo posta ─ Idoneità dell’atto a raggiungere lo scopo ─ Condizioni
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 30201/2022 R.G. proposto da COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL);
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, in INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
La Cognata NOME;
-intimato – avverso la sentenza del Tribunale di Trieste, n. 244/2022, pubblicata l’11 maggio 2022.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito l’Avvocato NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME il quale ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta e chiedendo l’accoglimento del primo e del terzo motivo.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 178 del 2020 il Giudice di pace di Trieste dichiarò improcedibile l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo notificatogli su richiesta di NOME COGNOME con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOMEcitato anch’esso con l’atto introduttivo con richiesta di condanna, in solido con la sua assistita, al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata); ciò in ragione della mancata rituale costituzione in giudizio dell’opponente, in quanto effettuata a mezzo posta e non personalmente.
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Trieste ha rigettato l’appello del COGNOME, confermando la decisione impugnata e condannando l’appellante al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. ed alla rifusione, in favore di ciascuno degli appellati, delle spese processuali.
Richiamato, per ampio stralcio, l’arresto di Cass. n. 12391 del 2013, ha osservato che « le disposizioni di cui all’art. 165 c.p.c., collegate strettamente agli artt. 72, 73, 74 disp. att. c.p.c., configurano una procedura che necessariamente non può escludere la consegna
e nei confronti di
brevi manu dei documenti ».
Ha quindi rimarcato di «altro … non dover aggiungere sul punto, se non evidenziare che era onere dell’opponente fornire in ogni caso la prova della tempestività dell’opposizione: onere non assolto atteso che non è stata mai dimessa la prova della notificazione del decreto ingiuntivo opposto ».
Ha infine rigettato il secondo motivo di gravame, con cui si denunciava la nullità della sentenza in quanto deliberata anteriormente alla scadenza del termine concesso per lo scambio di note, rilevando che l’unica data fidefacente è quella del suo deposito, nella specie avvenuto il 27 maggio 2020, successivamente alla scadenza del predetto termine.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi cui resiste, con controricorso, NOME COGNOME
NOME COGNOME è rimasto intimato.
All’esito dell’adunanza camerale del 9 settembre 2024 questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 25701 del 25/09/2024, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo perché fosse trattata in pubblica udienza, atteso il rilievo nomofilattico delle questioni poste con il primo e il terzo motivo di ricorso e cioè, rispettivamente:
se sia possibile nei giudizi dinanzi al giudice di pace effettuare l’iscrizione a ruolo e il deposito dei documenti di causa tramite posta e, ove ciò non sia consentito, quale sia la conseguenza;
se, all’interno di un giudizio dinanzi al giudice monocratico, sia nulla la sentenza che reca una data, apposta dall’estensore, precedente alla scadenza dei termini assegnati per le note conclusive (o per le comparse conclusionali e le memorie di replica), anche se il provvedimento risulti depositato e pubblicato dopo la scadenza di tale termine.
5. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto
l’accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « violazione e/o errata applicazione di norme processuali in particolare dell’art. 165 cod. proc. civ., in luogo dell’art. 319 cod. proc. civ. » per avere il Tribunale ritenuto non validamente effettuata la sua costituzione nel giudizio di primo grado sul rilievo che non è consentita l’iscrizione a ruolo dell’atto di citazione mediante trasmissione dello stesso a mezzo posta.
S ostiene che il Tribunale ha erroneamente applicato l’art. 165 cod. proc. civ. che si riferisce ai procedimenti davanti al Tribunale (ai quali fa anche riferimento il precedente di Cass. n. 12391 del 2013, non pertinentemente richiamato in sentenza), invece dell ‘ art. 319 cod. proc. civ. che regola i procedimenti davanti al Giudice di pace e consente la costituzione mediante deposito in cancelleria o presentazione in udienza. Richiama in tal senso i precedenti di Cass. Sez. U. 4/03/2009, n. 5160 e Cass. Sez. U. 12/01/2022, n. 758.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. , « nullità della sentenza o del procedimento per mancata valutazione del documento sub. C2-4-a) (relata di notifica del decreto ingiuntivo) ai fini della tempestività dell ‘ opposizione ». Denuncia altresì, in subordine, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e/o 5, cod. proc. civ., « violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 641, 645 e 115 cod. proc. civ.) per mancata contestazione della relata di notifica e della data di notifica del decreto dichiarata dal ricorrente » (così testualmente nella intestazione).
È evidenziato subito nell’illustrazione del motivo che la censura investe il convincimento espresso dal Tribunale secondo cui l’appello non meritasse accoglimento « essendo l’azione improcedibile per aver omesso di fornire la prova della tempestività dell’opposizione a decreto
ingiuntivo ».
Lamenta il ricorrente che trattasi di convincimento erroneo, rilevando che, in realtà, la relata di notifica del decreto ingiuntivo era allegata al fascicolo di primo grado e non era mai stata contestata dalla controparte.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 190 e/o dell ‘ art. 321 cod. proc. civ., nonché del d.l. n. 18 del 17 marzo 2020, art. 83, commi 1 e 2, nonché per violazione del diritto di difesa e al contraddittorio ai sensi dell ‘ art. 24 Cost. e 111 comma 2 Cost. », in relazione al rigetto del secondo motivo di gravame con il quale egli aveva dedotto la nullità della sentenza di primo grado poiché deliberata prima della scadenza del termine assegnato per il deposito delle note conclusive, termine prorogato ex lege al 18 maggio 2020 a causa della sospensione dei termini processuali dovuta all’emergenza sanitaria Covid-19.
Rileva l’erroneità del contrario convincimento espresso in sentenza, richiamando il principio affermato da Cass. Sez. U. n. 36596 del 2021 secondo cui la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità dei difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, per la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa.
Rilievo preliminare deve attribuirsi, per ragioni di priorità logica, al terzo motivo di ricorso.
Al riguardo va anzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità della censura per inosservanza degli oneri di specificità e autosufficienza, dal momento che, come anche rilevato dal P.G. nelle
proprie conclusioni, il ricorrente:
─ ha evidenziato che la dedotta questione di nullità della sentenza era stata posta a fondamento del secondo motivo di appello (v. ricorso, pag. 8), come, peraltro, si evince anche dalla lettura della sentenza impugnata;
─ ha richiamato il contenuto del provvedimento emesso dal Giudice di pace all’udienza di precisazione delle conclusioni del 7 febbraio 2020 (v. ricorso, pag. 19, righi 6-7), il cui verbale è contenuto nel fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado richiamato dal ricorrente con rituale istanza ex art. 369 cod. proc. civ. ed è stato, comunque, depositato nel fascicolo di parte del presente grado di giudizio sub All. D.
Ciò posto il motivo deve dirsi inammissibile per difetto di interesse.
6.1. È bensì vero che, con sentenza n. 36596 del 25/11/2021, le Sezioni Unite di questa Corte hanno enunciato il principio secondo cui « la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero per replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia ».
A fondamento di tale principio le Sezioni Unite hanno posto il rilievo che « la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità dei difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, ai quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto
lo svolgimento del processo ».
Hanno altresì evidenziato che « certamente la data di deliberazione di una sentenza non è, a differenza di quella di sua pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), un elemento essenziale dell’atto processuale. Ma ciò semplicemente comporta che la relativa mancanza o la sua erronea indicazione può non determinare in generale una nullità ove sia ascrivibile, appunto, a mero errore materiale, emendabile ex artt. 287 e 288 cod. proc. civ.. Non anche invece che l’errore materiale sussista sempre in sé e per sé, presuntivamente, ove si riscontri una diversità tra le date anzidette, che siano riportate entrambe in calce e a margine della sentenza.
Niente invero autorizza una simile generalizzazione, essendo fisiologico che il momento deliberativo della sentenza in camera di consiglio precede sempre la pubblicazione, che è atto di cancelleria conseguente a precisi e ulteriori incombenti di legge.
Sicché in sostanza non è vero che la divergenza delle date, specificamente indicate in sentenza, sia da ascrivere a errore materiale in base a una semplice presunzione ».
6.2. Deve nondimeno darsi atto dell’esistenza all’interno della giurisprudenza di questa Corte di un indirizzo, consolidatosi anteriormente alla citata pronuncia delle Sezioni Unite, secondo il quale « quando la decisione sia assunta dal tribunale in composizione monocratica o dal giudice di pace, difetta un momento deliberativo che assuma autonoma rilevanza, come nel caso della deliberazione collegiale disciplinata dall’art. 276 cod. proc. civ.; ne consegue che, essendo la sentenza formata solo con la pubblicazione a seguito del deposito in cancelleria, ex art. 133 cod. proc. civ., esclusivamente a tale data, e non anche a quella diversa ed anteriore eventualmente indicata in calce all’atto come data della decisione, può farsi riferimento per stabilire se la causa sia stata decisa prima o dopo la scadenza dei termini previsti dall’art. 190 cod. proc. civ. per il deposito delle
comparse conclusionali e delle memorie di replica e se, dunque, vi sia stata o no violazione dei diritti della difesa » (Cass. Sez. 2, sentenza n. 6239 del 13/03/2009, Rv. 607112 – 01, con riferimento a sentenza del Giudice di pace; v. anche Cass. Sez. 3 n. 9698 del 18/06/2003, Rv. 564366, con riferimento ad una decisione assunta dal Tribunale in composizione monocratica; Cass. Sez. 3, sentenza n. 4356 del 3/03/2004, Rv. 570771, con riferimento ad una decisione del Giudice di pace; v. anche Cass. Sez. 2, sentenza n . 16216 del 28/06/2017, Rv. 644769, che, in base ad analogo ragionamento, ha ritenuto affetta da nullità insanabile, per vizio di costituzione del giudice, la sentenza emessa dal GOT che sia cessato dal servizio a seguito di accettazione delle relative dimissioni e che sia stata pubblicata, mediante deposito in cancelleria, successivamente a tale momento, escludendo potesse assumere rilievo la diversa ed anteriore data della decisione eventualmente riportata in calce all’atto, « difettando – analogamente a quanto avviene per il giudice di pace e diversamente dal caso di decisione collegiale – un momento deliberativo che assuma autonoma rilevanza »).
6.3. Se il motivo non fosse inammissibile (per le ragioni che di qui a poco saranno evidenziate), occorrerebbe dunque chiedersi se tale ultimo indirizzo possa oppure no dirsi contrastato e superato dal principio affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36596 del 2021.
L’inammissibilità del motivo non esime dal rilevare al riguardo, sia pure solo incidentalmente, che:
da un lato, l’arresto delle Sezioni Unite riguardava il caso di una sentenza resa da organo collegiale e non contiene, pertanto, né aveva motivo di contenere, alcuna espressa precisazione circa l’applicabilità del principio anche alle decisioni monocratiche; sarà utile al riguardo anche segnalare che il principio enunciato da Cass. n. 16216 del 2017 è stato ripreso ed applicato in un caso analogo dalla recente Cass. Sez.
2, ordinanza n. 14318 del 22/05/2024, Rv. 671399, che, pronunciandosi in tema di vizio di costituzione del giudice, ha rimarcato in motivazione come sia « consolidata » la giurisprudenza della Suprema Corte nel senso di distinguere tra i casi di sentenze monocratiche, per le quali la deliberazione del giudice non assume autonoma rilevanza rispetto al deposito e pubblicazione della stessa, che rilevano ai fini della venuta ad esistenza del provvedimento giudiziale, ed i casi di sentenze collegiali, per i quali l’art. 276 c.p.c. attribuisce autonoma rilevanza alla deliberazione da parte dell’organo collegiale, con la quale si stabilisce il contenuto non modificabile della sentenza, per cui è a quel momento che deve farsi riferimento per valutare sia l’appartenenza all’ordine giudiziario dei componenti del collegio giudicante, sia la riferibilità della sottoscrizione del giudice estensore, o del Presidente del collegio ad un soggetto investito della potestas iudicandi ;
b) dall’altro lato, in senso contrario, le ragioni sottese al principio affermato dalle Sezioni Unite nel 2021 prescindono dalla rilevanza giuridica del momento deliberativo della decisione per rimarcare in sostanza la valenza quanto meno presuntiva che, sul piano logico, non può non assegnarsi alla data di deliberazione indicata nel provvedimento, in quanto dato indicativo del fatto che la decisione è stata assunta prima del deposito degli atti difensivi la cui facoltà era consentita alle parti dalla legge o dal giudice e senza dunque che questo ne abbia potuto tener conto (salva naturalmente la prova contraria che quella indicazione sia da imputare a mero errore materiale, il che però non può ritenersi sempre e in ogni caso dato acquisito in via di presunzione); è, dunque, quello delle Sezioni Unite, un ragionamento che, sul piano logico, non sembra potersi ritenere inciso dalla struttura, collegiale o monocratica, dell’organo decidente, non potendo dubitarsi che, anche per la decisione monocratica, sia possibile logicamente e cronologicamente distinguere il momento della
deliberazione da quello del deposito del provvedimento (ciò almeno con riferimento alla questione decisa, che afferiva alla portata lesiva di una decisione così connotata rispetto al diritto delle parti al contradditorio, questione dunque sensibilmente diversa da quella affrontata da Cass. n. 16216 del 2017 e da Cass. n. 14318 del 2024).
6.4. Nemmeno è questa la sede per chiedersi se il principio affermato da Cass. Sez. U. n. 36596 del 2021 non possa e debba essere rivisto alla luce della modifica dell’art. 101 cod. proc. civ. operata dall’art. 3, comma 7, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con l’introduzione di un nuovo periodo all’inizio del secondo comma a mente del quale « Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni », trattandosi di norma applicabile, per espresso disposto della norma transitoria di cui all’art. 35, comma 1, d.l.gs. cit., ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023.
6.5. Di tali questioni, si diceva, non mette conto occuparsi in questa sede per la ragione assorbente che, anche a ritenere applicabile nel caso, quale quello di specie, di decisione monocratica il principio affermato dalle Sezioni Unite, non ne potrebbe discendere l’accoglimento del motivo, ma anzi lo stesso andrebbe detto comunque inammissibile per difetto di interesse.
Deve invero rammentarsi che, come espressamente avvertito nella richiamata pronuncia (v. par. XVIII, pagg. 23 – 25), « nell’ipotesi in cui la sentenza di primo grado sia stata deliberata anticipatamente rispetto alla scadenza dei termini dell’art. 190 cod. proc. civ. non basta alla parte soccombente impugnare la sentenza denunziandone la nullità. Non le basta perché il giudice d’appello, una volta constatata tale nullità, non potrebbe rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., essendo tenuto a deciderla invece egli stesso nel merito .
Poiché ciò comporta che la decisione avvenga sempre nei limiti delle doglianze prospettate, è in questo caso da individuare, sotto pena di inammissibilità, l’onere della parte di impugnare la sentenza di primo grado anche in rapporto alle statuizioni di merito ».
Ciò in quanto, « nel sistema di diritto processuale, la nullità della sentenza si converte nell’apposito mezzo di gravame: l’appello o il ricorso per cassazione (art. 161 cod. proc. civ.) » e deve, pertanto, essere fatta valere « soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione », con l’aggiuntiva conseguenza che « l’eventuale ricorso avverso la sentenza d’appello, che, nelle condizioni date, avesse mancato di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado assunta anteriormente alla scadenza dei termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ., sarebbe inammissibile per difetto di interesse (v. Cass., Sez. 1, n. 18578-15, Cass., Sez. 1., n. 27777-08), ove la sentenza d’appello fosse giunta, come suo preciso dovere, a decidere la causa nel merito ».
Ed è proprio questa la ragione per cui il motivo in esame deve essere dichiarato inammissibile, dal momento che il Tribunale ha comunque deciso la causa, esaminando l’altro motivo di gravame, esattamente come avrebbe comunque dovuto fare ove avesse rilevato, nei confronti della parte suindicata, la nullità della sentenza di primo grado.
Né rileva, come obiettato dal ricorrente alle pagg. 21-22 del ricorso, che l’altro motivo esaminato ponesse anch’esso questione di rito e che, pertanto, nell’accoglierlo, la Corte di merito non abbia portato il suo esame anche nel merito della controversia, atteso che si tratta comunque di decisione assunta su questione diversa da quella della (non rilevata) nullità della sentenza e che ugualmente avrebbe potuto essere adottata anche se quella nullità fosse stata invece rilevata e affermata, non potendo da tale rilievo conseguire la rimessione della causa al primo giudice, arg. a contrario dall’art. 354 cod. proc. civ..
Procedendo dunque allo scrutinio del primo motivo deve anzitutto rilevarsi che, diversamente da quanto obiettato dalla controricorrente, anch’ esso risulta osservante dei requisiti di formacontenuto imposti dall’art. 366 cod. proc. civ., ricavandosi sia dall’esposizione sommaria che dalla stessa sentenza la proposizione di specifico motivo di gravame sulla questione che ne costituisce oggetto.
Ciò posto, il motivo si appalesa fondato e deve essere accolto.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare, nella massima sede nomofilattica, che l’invio a mezzo posta dell’atto processuale destinato alla cancelleria (in quel caso, memoria di costituzione in giudizio comprensiva di domanda riconvenzionale) ─ al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione ─ realizza un deposito dell’atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, nondimeno , può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.; con la precisazione che, in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione (Cass. Sez. U. 4/03/2009, n. 5160).
Le Sezioni Unite hanno in quella occasione osservato, condividendo argomentazioni già svolte da Cass. Sez. 3 n. 12342 del 2008, come, anche nel procedimento avanti il Giudice di pace, l’attività di deposito di atti in cancelleria (e dunque anche la costituzione in giudizio, disciplinata dall’art. 319 cod. proc. civ., senza alcuna distinzione tra attore e convenuto, con la previsione che essa deve avvenire « depositando in cancelleria » l’atto di parte con la relata di notifica e quando occorra la procura) implichi, bensì, che chi l’effettua si rechi in cancelleria e presenti gli atti al cancelliere e che quindi sussista una violazione della regola formale nel comportamento del cancelliere che apponga il visto di deposito ad un atto pervenuto a mezzo posta, anche
perché il plico postale di norma non viene ricevuto dal cancelliere stesso, ma perviene all’apposito ufficio preposto alla ricezione della posta, che poi lo rimette al cancelliere, senza però che tale difformità dallo schema formale possa considerarsi tale da far ritenere l’atto inesistente e del tutto improduttivo di effetti giuridici, se alla fine del procedimento, pur difforme dallo schema di legge, il plico perviene al cancelliere, che ben può compiere tutte le attività necessarie ai fini del controllo della ritualità della documentazione.
Hanno in tal senso argomentato dal fatto che l’attività materiale di deposito degli atti in cancelleria è priva di un requisito volitivo autonomo e non deve essere compiuta necessariamente dal difensore o dalla parte che sta in giudizio personalmente, ma può essere realizzata anche da persona da loro incaricata (c.d. nuncius ) (cfr. Cass. n. 7449 del 2001 e n. 26737 del 2006) ed ancora dal fatto che l’ordinamento processuale prevede casi, sia pure speciali, di deposito degli atti in cancelleria mediante invio degli stessi a mezzo posta (art. 134 disp. att. c.p.c. concernente il giudizio di cassazione, e le ipotesi relative al processo tributario, di cui a Corte cost. n. 520 del 2002, e al giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione irrogativi di sanzione amministrativa, di cui a Corte cost. n. 98 del 2004; cfr. anche Cass. n. 11893 del 2006 per l’estensione dei principi di cui a quest’ultima sentenza all’azione popolare in materia elettorale).
In tale quadro ordinamentale hanno dunque ritenuto incompatibile una valutazione di radicale difformità rispetto al deposito realizzato attraverso l’invio dell’atto per mezzo della posta anziché mediante consegna diretta al cancelliere.
Hanno però anche evidenziato che, trattandosi pur sempre di attività posta in essere al di fuori delle previsioni normative, il deposito con tali modalità potrà prendere efficacia solo dalla data del raggiungimento dello scopo (art. 156, terzo comma, c.p.c.), e cioè « dell'(eventuale) concreta e documentata ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai
fini processuali, e giammai dalla data della spedizione dell’atto, così come invece previsto dalle speciali discipline relative al deposito degli atti processuali a mezzo posta ».
A tali principi -che questo Collegio condivide e fa propri – ha dato continuità Cass. 17/06/2015, n. 12509, mentre non appare significativo il più recente arresto di Cass. Sez. U. 12/01/2022, n. 758, ove la tematica della costituzione davanti al Giudice di pace è affrontata con riferimento ai diversi profili della necessità (esclusa) della presentazione di un’apposita nota di iscrizione della causa a ruolo e della possibilità (affermata) per il convenuto di costituirsi in giudizio in mancanza della costituzione dell’attore e prima che sia scaduto il termine perché questi vi provveda, dovendo in tal caso il cancelliere provvedere all’iscrizione a ruolo della causa (potendo tuttavia osservarsi che, in punto di fatto, anche nel caso ad oggetto di tale pronuncia, la costituzione della cui validità si discuteva sotto i profili indicati era avvenuta mediante invio degli atti a mezzo posta).
Non pertinente, invece, come fondatamente rilevato in ricorso, è il precedente citato in sentenza di Cass. n. 12391 del 2013 in quanto relativo alla costituzione in giudizio della parte attrice nel procedimento davanti al Tribunale, regolata dall’art. 165 cod. proc. civ. (e dagli artt. 72, 73 e 74 disp. att. cod. proc. civ.) , disciplina rispetto alla quale l’art. 319 cod. proc. civ. ─ relativo, come detto, alla costituzione davanti al Giudice di pace ─ si pone come regola speciale destinata a prevalere ed escludere l’applicabilità dell’altra norma (cfr. in tal senso, sebbene, come detto, per altri profili e con riferimento all’art. 168 cod. proc. civ., Cass. Sez. U. n. 758 del 2022, cit.).
9. Il secondo motivo è parimenti fondato.
Secondo principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la produzione della copia notificata di tale provvedimento non è richiesta a pena di improcedibilità, stante
l’inapplicabilità a tale giudizio ─ che non è un processo impugnatorio in senso proprio ─ della disciplina specifica delle impugnazioni; pertanto, l’osservanza del termine di decadenza fissato dall’art. 641 c.p.c. può essere dimostrata anche con i documenti prodotti dalla controparte o comunque acquisiti al processo (Cass. n. 16673 del 1° ottobre 2012, Rv. 624187; n. 3071 del 1° febbraio 2023, Rv. 666897).
Il Tribunale ha fatto applicazione di una opposta regola di giudizio, postulando un onere del ricorrente di fornire la prova della tempestività dell’opposizione e attribuendo al mancato assolvimento di tale onere il rilievo di causa di improcedibilità (distinta e autonoma rispetto a quella prima divisata nella irrituale costituzione a mezzo posta), come sembra doversi desumere dalla conclusiva affermazione: « corretta è quindi la decisione di improcedibilità ».
In tal modo, dunque, il Tribunale ha collocato la propria valutazione al riguardo sul piano degli oneri imposti all’attore a pena di improcedibilità, senza neppure prospettarsi la questione se l’accertamento della tempestività dell’opposizione potesse comunque nella specie essere consentito da altri documenti o elementi acquisiti al processo.
A tale piano occorre anche in questa sede arrestarsi, rilevando, per le ragioni dette, l’erroneità della conclusione trattane dal Tribunale in termini di (confermata, per altra via) improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
Non mette conto invece valutare se dall’esposto inciso sia desumibile anche una ulteriore valutazione di inammissibilità dell’opposizione per mancata prova della sua tempestività e se, correlativamente, una tale ulteriore valutazione possa anch’essa ritenersi fondatamente censurata con il motivo di ricorso in esame.
Una censura sotto tale profilo dovrebbe, infatti, ritenersi inammissibile per difetto di interesse alla luce del consolidato principio secondo cui, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità,
con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Cass. Sez. U, n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 -01 e successive conformi).
Non può dubitarsi, invero, che identico effetto di ‘spoliazione’ della potestas iudicandi consegua alla declaratoria di improcedibilità della domanda, logicamente preliminare rispetto a quella della sua inammissibilità. Questa Corte ha infatti sempre costantemente affermato che il rilievo della improcedibilità è assorbente rispetto ad ogni altra valutazione, atteso che l’esame del ricorso improcedibile non è consentito nemmeno per rilevarne l’inammissibilità (v. Cass. n. 1389 del 22/01/2021, Rv. 660388; n. 9567 del 29/04/2011; n. 11091 del 13/05/2009; n. 1104 del 20/01/2006, Rv. 587885; Sez. U. n. 7431 del 05/07/1991, Rv. 472955).
Nella specie il Tribunale, confermando la valutazione di improcedibilità della domanda, si è di fatto a sua volta spogliato della potestas iudicandi , dovendosi pertanto considerare tamquam non esset la valutazione espressa ─ peraltro dichiaratamente incidentale e ad abundantiam ─ in punto di mancata prova della tempestività dell’atto di citazione in opposizione.
11. In accoglimento, dunque, del primo e del secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio.
Al giudice di rinvio va demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia la causa al Tribunale di Trieste, in diversa composizione, al quale demanda il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza