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Convenzionamento medico universitario: limiti e doveri

Un professore universitario perde l’incarico direttivo in ospedale a seguito di una riorganizzazione della ASL. La Cassazione chiarisce che il convenzionamento medico universitario non costituisce un diritto assoluto del docente. L’ateneo non è responsabile per le autonome scelte organizzative dell’azienda sanitaria, dettate da esigenze di funzionalità e pubblico interesse, che prevalgono sulle aspettative individuali.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Convenzionamento medico universitario: l’ateneo non risponde delle scelte della ASL

Il rapporto tra università e aziende sanitarie locali è un pilastro del nostro sistema sanitario e accademico, ma solleva complesse questioni giuridiche. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali sul convenzionamento medico universitario, definendo i confini del diritto di un professore a svolgere attività assistenziale e le responsabilità del proprio ateneo quando tale attività viene meno per decisioni dell’azienda sanitaria.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un professore universitario di seconda fascia, specialista in neurochirurgia, che per anni aveva ricoperto il ruolo di responsabile di un’Unità Operativa Complessa (UOC) presso un’azienda sanitaria locale (ASL), in virtù di un convenzionamento tra l’Università e l’ospedale. Questo incarico, rinnovato annualmente, gli permetteva di integrare l’attività didattica e di ricerca con quella clinica.

A un certo punto, a causa di difficoltà organizzative derivanti dalla coesistenza di due diverse strutture di neurochirurgia, la ASL decide di procedere a una riorganizzazione. Di conseguenza, il convenzionamento con il professore viene prorogato per un solo mese e poi interrotto. L’UOC a direzione universitaria viene di fatto trasformata in una struttura a direzione ospedaliera, estromettendo il docente dal suo ruolo apicale.

Ritenendo leso il suo diritto a svolgere l’attività assistenziale, inscindibile da quella accademica, il professore ha citato in giudizio l’Università, accusandola di non aver tutelato la sua posizione e di non aver preteso dalla ASL il rispetto degli accordi. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le sue richieste, portando il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del professore, confermando le decisioni dei gradi precedenti. I giudici hanno stabilito che l’Università non può essere ritenuta responsabile per l’interruzione dell’attività clinica del docente, poiché tale evento è stato la conseguenza di legittime e autonome decisioni organizzative prese dall’azienda sanitaria.

Le motivazioni e l’impatto sul convenzionamento medico universitario

Le motivazioni della sentenza sono fondamentali per comprendere la natura del convenzionamento medico universitario. La Corte ha chiarito diversi punti chiave:

1. Assenza di un diritto soggettivo assoluto: Il professore universitario non è titolare di un diritto soggettivo assoluto e incondizionato a ottenere o mantenere un incarico assistenziale presso una specifica struttura sanitaria. L’inserimento dei docenti negli organici delle ASL non è automatico, ma dipende da accordi e intese che bilanciano le esigenze accademiche con quelle, prevalenti, del servizio sanitario pubblico.

2. Autonomia organizzativa della ASL: L’azienda sanitaria ha piena autonomia nella gestione e organizzazione delle proprie strutture. Può decidere di modificare, sopprimere o accorpare unità operative per ragioni di efficienza, funzionalità o economicità, anche se ciò comporta la fine di un convenzionamento. L’Università non ha il potere di interferire in tali scelte gestionali.

3. Natura programmatica dei protocolli d’intesa: Gli accordi quadro tra Regione e Università hanno natura programmatica. Essi delineano obiettivi e strategie comuni ma non “congelano” l’assetto organizzativo degli ospedali. Tali accordi prevedono la possibilità di modifiche per adattarsi a nuove esigenze, come quelle che hanno portato alla riorganizzazione nel caso di specie.

4. Valenza rebus sic stantibus degli impegni: Anche un eventuale impegno assunto dall’Università al momento dell’assunzione del professore circa lo svolgimento di attività assistenziale deve essere inteso rebus sic stantibus, ovvero “stando così le cose”. Se le circostanze fondamentali cambiano, come la disponibilità di una struttura a direzione universitaria, l’impegno non può più essere preteso.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione ribadisce un principio cruciale: nel complesso rapporto tra mondo accademico e sanità pubblica, l’interesse alla funzionalità e all’efficienza del servizio sanitario prevale sulle aspettative professionali del singolo docente. L’Università ha il dovere di adoperarsi per garantire ai propri docenti lo svolgimento dell’attività clinica, ma i suoi poteri si fermano di fronte all’autonomia organizzativa e gestionale dell’azienda sanitaria. Il convenzionamento medico universitario, quindi, non è una garanzia perpetua, ma uno strumento flessibile che deve adattarsi alle mutevoli esigenze del sistema sanitario nazionale.

Un professore universitario ha un diritto assoluto e garantito a svolgere un incarico clinico in ospedale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non esiste un diritto soggettivo assoluto e incomprimibile del medico professore universitario ad acquisire o mantenere la convenzione con una ASL. L’incarico dipende da accordi specifici e dalla disponibilità di posti e strutture, soggetta all’autonomia organizzativa dell’azienda sanitaria.

L’Università è responsabile se un suo docente perde l’incarico a seguito di una riorganizzazione della ASL?
No. La responsabilità non può essere attribuita all’Università se l’interruzione dell’incarico deriva da scelte organizzative autonome e legittime della ASL. L’ateneo non ha il potere di imporre all’azienda sanitaria le proprie determinazioni gestionali né di impedirne la riorganizzazione.

Qual è il valore legale dei protocolli d’intesa tra Università e Regione per la gestione delle strutture sanitarie?
I protocolli d’intesa sono atti programmatori e non contratti rigidi. Essi stabiliscono obiettivi di efficienza ed efficacia, ma non impediscono alle aziende sanitarie di modificare la propria organizzazione per rispondere a nuove esigenze funzionali, economiche o assistenziali. Tali accordi contengono riserve che consentono flessibilità gestionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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