Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35122 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35122 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16492-2023 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, NOME COGNOME NOMECOGNOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 115/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/02/2023 R.G.N. 1212/2022;
Oggetto
Cassa nazionale previdenza e assistenza dottori commercialisti
Contributo solidarietà
R.G.N. 16492/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 31/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede, che aveva dichiarato l’illegittimità del contributo di solidarietà operato in detrazione sulle rate della pensione liquidate e maturate in favore dei ricorrenti, e aveva condannato la Cassa a cessare il prelievo e a restituire, in favore dei ricorrenti, le ritenute operate a tale titolo, nei limiti della prescrizione decennale.
Per la cassazione della sentenza ricorre la Cassa commercialisti che articola tre motivi ai quali resistono con controricorso i signori NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME A seguito di proposta di definizione anticipata del ricorso la Cassa ha tempestivamente chiesto la decisione della causa ed ha depositato memorie illustrative.
All’esito dell’adunanza camerale il Colle gio ha riservato la decisione nel termine di sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, violazione dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335, come modificato dall’art. 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e interpreta to dall’art. 1, comma 488, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, dell’art. 24, comma 24, del decreto -legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, degli artt. 2, 3 e 23 Cost., anche in relazione e combinato disposto agli artt. 2, 9 e 32 dello Statuto della Cassa e alle delibere n. 4 del 2008, n. 3 del 2013 e n. 10 del 2017, emanate anche in virtù del regolamento di
disciplina del regime previdenziale approvato con decreto ministeriale 14 luglio 2004, nonché dell’art. 115 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), per aver considerato illegittimo il contributo di solidarietà.
Con il secondo motivo si deduce che in violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 24, lettera b ), del d.l. n. 201 del 2011, la Corte di merito erroneamente avrebbe ritenuto che non fosse applicabile il contributo di solidarietà almeno in relazione al biennio 2012-2013 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
Il terzo motivo ha ad oggetto la violazione o falsa applicazione dell’art. 19, comma 3, della legge 29 gennaio 1986, n. 21, dell’art. 2948, n. 4, cod. civ., dell’art. 2943 cod. civ., dell’art. 47bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, e degli artt. 3 e 38 Cost. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), e si ritiene che erroneamente sarebbe stata respinta l’eccezione di prescrizione quinquennale delle somme trattenute dalla Cassa.
Il ricorso non può essere accolto.
Questa Corte in una fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente, resa all’esito della richiesta di decisione formulata successivamente ad una proposta di definizione anticipata, ha ritenuto infondate le analoghe censure mosse alla sentenza della stessa Corte distrettuale con la motivazione che di seguito si riporta ed alla quale si rimanda (cfr. Cass. 25/07/2024 n. 20694).
5.1. In particolare, il primo motivo di ricorso è stato ritenuto infondato ‘ alla luce del consolidato orientamento iniziato con Cass. 25212/2009 e proseguito con, ex multis, Cass. n. 31875/2018, n. 32595/2018, n. 423/2019, n. 603/2019, n. 982/2019, n. 16814/2019, n. 28054/2020, n. 6301/2022, n. 6897/2022, n. 18565/2022; n. 18566/2022; n. 18570/2022; n.
29382/2022; n. 29535/2022; n. 29523/2022; n. 9886/2023, n. 9893/2023, n. 9914/2023, n. 10047/2023, n. 12122/2023, n. 6170/2024, n. 7489/2024, con cui questa Corte ha affermato quanto segue. Con la legge n. 537/1993 il Governo è stato delegato ‘ad emanare uno o più decreti legislativi diretti a riordinare (o sopprimere) enti pubblici di previdenza e assistenza’, attenendosi, tra l’altro, al seguente principio e criterio direttivo: ‘privatizzazione degli enti stessi, nelle forme dell’associazione o della fondazione, con garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali e ssi risultano istituiti’. Il d.lgs. 30 giugno 1994 n. 509, in attuazione della delega, ha ribadito che le Casse privatizzate ‘hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta’ e che ‘la gestione economico -finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale’. Come evidenziato in Cass. n. 603/2019, «per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di ‘sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti’ (cfr. Cass. 16
novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto ‘anche in deroga a disposizioni di legge precedenti’. Tali disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit. non hanno, peraltro, attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, sicché ad essi – -non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse ‘privatizzate’, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate. Quest’ultima disposizione che, nella sua formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 296/2006, costituisce base giuridica e parametro di legittimità della norma regolamentare in esame -sancisce testualmente: ‘Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal dlgs n 509/1994, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro-rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti (…)’. Questa Corte ha esposto con riferimento a fattispecie analoga relativa alla stessa Cassa commercialisti (Cass 25212/09) che ‘L’autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto d.lgs n 509/1994 art. 2), la quale definisce
espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto . Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti -e risulta incompatibile, peraltro, con il ‘rispetto del princip io del pro rata (…)’ qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie, l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca -a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pens ionistico’ la previsione di una trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensionistici già quantificati ed attribuiti. Ed invero sul punto deve evidenziarsi che la imposizione di un ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pe nsionistici già in atto non integra, all’evidenza, né una ‘variazione delle aliquote contributive’, né una ‘riparametrazione dei coefficienti di rendimento’. Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad ‘ogni altro criterio di d eterminazione del trattamento pensionistico’. La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che -al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di ‘variazione delle aliquote contributive’, appunto, e di ‘riparametrazione dei coefficienti di rendimento’) -incidano su ‘ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico’. Quindi, ne esula qualsiasi provvedimento che -lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3, comma 12, l. n 335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge -imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura». Non si può pervenire a diverse conclusioni neppure attraverso il richiamo
alla legge n. 296/2006 di modifica dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, poichè detta norma incide sul sistema del pro-rata che è estraneo alla tematica del contributo di solidarietà: tale normativa sopravvenuta non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla Cassa di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contribut o di solidarietà. L’Ente ricorrente invoca, altresì, l’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, secondo cui: ‘L’ultimo p eriodo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine’. A tal proposito, questa Corte (ex multis, Cass. n. 6702/2016, n. 7568/2017) ha già affermato che «quest’ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario a lun go termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, così come affermato dalla stessa ricorrente». Inoltre, non può prescindersi dalla considerazione che la norma di cui all’ultimo periodo dell’art 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006 non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla Cassa e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame. Al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento
pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, nei precedenti citati questa Corte ha, altresì, richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dall’art. 1, comma 486, della legge n. 147/2013, lo ha considerato come un «prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)». Il ricorso, infine, cita a sostegno l’art.24, comma 24, lett. b), del d.l. n.201/2011 conv. nella legge n.214/2011, che prevede un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, per il caso di in erzia delle Casse nell’adozione delle misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche. Si tratta di una norma che conferma che, come sottolineato nella citata sentenza della Corte costituzionale n.173/16, il contributo di solidarietà, avendo natura di prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art.23 Cost., è sottoposto alla riserva di legge. Ne consegue che il suddetto richiamo normativo certamente non dimostra la legittimità della istituzione del diverso contributo di solidarietà di cui qui si discute che è stata effettuata con l’art.22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della CNPADC e non con una norma di legge. Deve, pertanto, confermarsi che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di stabilire un contributo di solidarietà in quanto esso, al di là del nomen, non può essere ricondotto ad un criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
5.2. Anche il secondo motivo deve essere rigettato osservandosi che ‘ in passato sempre implicitamente rigettato da questa
Corte, con il quale l’Ente ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 24, lettera b), del d.l. n. 201/2011 per aver il Collegio milanese respinto la domanda subordinata della Cassa relativa all’applicabilità del contributo di so lidarietà previsto dalla citata normativa nella misura dell’1% per gli anni 2012 e 2013. L’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011, conv. nella legge n. 214/2011, come modificato dal d.l. n. 216/2011, statuisce: ‘In considerazione dell’esigenza di assicurare l’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, gli enti e le forme gestorie di cui ai predetti decreti adottano, nell’esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 30 settembre 2012, misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni. Le delibere in materia sono sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti secondo le disposizioni di cui ai predetti decreti; essi si esprimono in modo definitivo entro trenta giorni dalla ricezione di tali delibere. Decorso il termine del 30 settembre 2012 senza l’adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza dal 1° gennaio 2012: a) le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo sull’applicazione del pro-rata agli iscritti alle relative gestioni; b) un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell’1 per cento’. La Corte d’appello di Milano sul punto ha così motivato: «la domanda va rigettata da un lato per difetto di più compiute e specifiche allegazioni inerenti il biennio suddetto e dall’altro perché non pare ravvisarsi nella fattispecie la inerzia dell’Ente nell’adozione dei provvedimenti previsti -nel termine indicato -quale
presupposto per l’applicabilità del contributo nella misura prevista dalla norma richiamata». L’Ente ricorrente, premesso che «non si comprende quali siano le ‘compiute e specifiche allegazioni inerenti il biennio’», stigmatizza il fatto che «la corte d’ap pello senza meglio argomentare la propria decisione, esclude il requisito dell’inerzia della Cassa (cui è subordinata ex lege l’applicazione del contributo previsto nel richiamato art. 24). Tale passaggio si appalesa errato atteso che dalla lettura della disposizione in esame si evince chiaramente che, nell’ipotesi in cui si considera illegittimo il contributo di solidarietà previsto dalla Cassa, in virtù delle delibere per cui è causa, a ciò equivalendo la inerzia dell’Ente, non poteva non darsi quantomeno applicazione del contributo di solidarietà previsto dal Legislatore nella misura dell’1% del trattamento pensionistico». La Corte fornisce una lettura del comma 24 in forza della quale, nella specie, non è ravvisabile il presupposto specifico della ‘inerzia’. Il percorso argomentativo, sia pure sintetico, è chiaro e resiste alle censure. La norma de qua introduce un contributo di solidarietà dell’1%, limitatamente agli anni 2012 e 2013, ancorandolo a due presupposti alternativi, specificatamente identificati nella mancata adozione da parte delle Casse, entro il 30 settembre 2012, di misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche oppure nell’emissione di parere negativo da parte dei Ministeri vigilanti sulle delibere eventualmente adottate (entro trenta giorni dalla loro ricezione). Il dato letterale non lascia spazio alla lettura proposta dalla Cassa, che vorrebbe equiparare all’inerzia degli Enti nell’intervenire ex ante sul rapporto entrate/spesa l’i potesi in cui detti interventi siano stati effettuati ma i relativi provvedimenti siano stati ex post dichiarati illegittimi, poiché, in tal caso, non si può configurare una situazione di ‘inattività’
degli Enti stessi, nei termini richiesti dal legislatore. Del resto, l’inerzia è condizione che la stessa Cassa ha espressamente escluso sin dalle fasi di merito nonché con la proposizione del presente ricorso, avendo resistito, prima, ed agito, poi, proprio sul presupposto di aver adottato -con l’introduzione della riforma strutturale del sistema previdenziale mediante il passaggio al sistema contributivo e con l’imposizione del contributo di solidarietà in via regolamentare -misure necessarie per la sal vaguardia dell’equilibrio di bilancio a lungo termine, dirette ad assicurare la sostenibilità finanziaria del regime previdenziale dei propri iscritti (attraverso il Regolamento di disciplina e le delibere attuative). ‘ (cfr. Cass. n. 28694 del 2024 cit.)
5.3. Il terzo motivo è ugualmente infondato alla luce di quanto già ritenuto con Cass. n. 31527 del 2022 che ha evidenziato come ‘ questa Corte di legittimità (Cass. nr.41320 del 2021) ha già avuto modo di confermare, in fattispecie analoga alla presente, l’orientamento accolto dalla sentenza impugnata ed ancor prima dalle Sezioni unite di questa Corte nr. 17742 del 2015, secondo cui in materia di previdenza obbligatoria quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.lgs. nr. 509 del 1994 la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 nr. 4 cod.civ. – così come dal R.D.L. nr. 1827 del 1935, art. 129 – richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove vi sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod.civ. 14. In tali occasioni si è precisato che il rapporto assicurativo che lega la Cassa ai propri iscritti ha natura obbligatoria, dato che la CNRP è a tutti gli effetti una persona giuridica privata che gestisce una forma di previdenza e assistenza, cui è obbligatoria
l’iscrizione e la contribuzione da parte degli appartenenti delle categorie interessate; inoltre, l’applicazione dell’art. 2948 nr. 4, allo stesso modo che il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, richiede la liquidità e l’esigibilità del credito, che deve essere «pagabile», ovvero messo a disposizione del creditore, il quale deve essere posto nella condizione di poterlo riscuotere. Non basta, quindi, ai fini, sia dell’art. 129 che dell’art. 2948, la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare, tanto che entrambe le norme non trovano applicazione nelle ipotesi di ratei di pensione la cui debenza sia in contestazione (v. Cass. n. 16388 del 2004 e nr. 1787 del 1997, in motivazione, nonché sez. un. nr. 10955 del 2002). 15. Se, dunque, il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo, che è oggetto della controversia ora in esame, la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi «pagabile» e, quindi, non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell’art. 2948 cod. civ., ma quella decennale ordinaria dell’art. 2946 cod. civ. 16. Tale orientamento va confermato, potendo aggiungersi che non induce a diversa soluzione l’art. 47 bis d.p.r. nr. 639 del 1970 , secondo cui si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni, nel testo introdotto dal numero 2) della lettera d) del comma 1 dell’art. 38, D.L. 6 luglio 2011, nr. 98. 17. Risulta decisiva la considerazione che la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all’indebita
ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata. 18. La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale ‘ . Si tratta di indirizzo oramai consolidato (cfr. Cass. n. 31641/2022, n. 31642/2022, n.449/2023, n.688/2023, n. 4349/2023, n. 4604/2023, n. 9705/2023, n. 6170/2024) e condiviso dal Collegio. Dato il differente ambito applicativo dell’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, non ha ragion d’essere alcuna questione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art.3 Cost.
Le ulteriori argomentazioni svolte in seno alla memoria depositata dalla Cassa in vista della presente adunanza non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati nei precedenti casi nei quali questa Corte si è pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato e, conclusivamente, motivi devono essere rigettati.
Le spese seguono la soccombenza e, distratte in favore degli antistatari, sono liquidate in dispositivo.
7.1. Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4 cod. proc. civ., contenendo l’art.380 bis, ult. co. cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della parte controricorrente ed una somma in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 5000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi in favore degli avvocati che se ne sono dichiarati antistatari.
Condanna la ricorrente al pagamento della somma equitativamente determinata di € 2.500,00 in favore dei controricorrenti e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 31 ottobre 2024