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Contributo di solidarietà: no dalle Casse private

Un ente previdenziale di professionisti ha imposto un contributo di solidarietà sulla pensione di un suo iscritto. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’ente inammissibile, confermando la consolidata giurisprudenza secondo cui tale prelievo è illegittimo se non previsto da una legge statale. La Corte ha inoltre ribadito che il diritto al rimborso si prescrive in dieci anni e ha sanzionato l’ente per abuso del processo, avendo insistito nel ricorso senza portare nuovi argomenti contro un orientamento ormai stabile.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contributo di Solidarietà: La Cassazione Ribadisce l’Illegittimità per le Casse Private

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sulla questione del contributo di solidarietà imposto autonomamente dalle Casse di previdenza private. Con una decisione netta, ha confermato l’orientamento ormai consolidato, dichiarando illegittimo qualsiasi prelievo di questo tipo se non previsto da una specifica norma di legge. La pronuncia non solo chiarisce i limiti dell’autonomia degli enti previdenziali, ma stabilisce anche importanti principi in materia di prescrizione e sanziona l’abuso del processo.

I Fatti del Caso: Una Trattenuta Contestata

Un professionista in pensione si era visto applicare dal proprio ente previdenziale una trattenuta mensile sulla pensione a titolo di “contributo di solidarietà”. Ritenendo tale prelievo illegittimo, il pensionato ha agito in giudizio per ottenerne la cessazione e la restituzione delle somme indebitamente versate.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione al professionista, dichiarando l’illegittimità delle trattenute. I giudici di merito hanno stabilito che l’ente non aveva il potere di imporre una prestazione patrimoniale di questo tipo, riservata esclusivamente al legislatore, e hanno condannato la Cassa alla restituzione degli importi, applicando la prescrizione ordinaria di dieci anni.

Nonostante le due sentenze sfavorevoli e un orientamento giurisprudenziale chiaramente contrario, l’ente previdenziale ha deciso di ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte: Inammissibilità e Abuso del Processo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’ente previdenziale inammissibile. Questa decisione si fonda sull’articolo 360-bis del codice di procedura civile, che consente di respingere un ricorso quando la decisione impugnata è conforme alla giurisprudenza della stessa Corte e gli argomenti proposti non offrono spunti per un ripensamento.

Ma i giudici sono andati oltre. Hanno qualificato l’azione dell’ente come un vero e proprio “abuso del processo”. Insistere nel chiedere una decisione di merito, senza addurre nuovi e validi argomenti capaci di mettere in discussione un principio di diritto ormai pacifico, costituisce un comportamento processuale scorretto.

Di conseguenza, la Cassa è stata condannata non solo a rifondere le spese legali alla controparte, ma anche a versare un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno per lite temeraria e una sanzione pecuniaria alla cassa delle ammende.

Le motivazioni: il contributo di solidarietà e la prescrizione

Le motivazioni della Corte si articolano su due punti fondamentali, che meritano un’analisi approfondita.

Il primo riguarda la natura del contributo di solidarietà. La Cassazione ha ribadito con forza che si tratta di una “prestazione patrimoniale imposta”. Secondo l’articolo 23 della Costituzione, nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. L’autonomia concessa alle Casse privatizzate con il D.Lgs. 509/1994, pur ampia, non si estende fino al punto di poter creare nuovi tributi o prelievi obbligatori a carico degli iscritti. Questo potere spetta unicamente allo Stato. Pertanto, qualsiasi delibera di un ente previdenziale che introduca un simile contributo è da considerarsi illegittima.

Il secondo punto cruciale è la prescrizione. L’ente sosteneva che dovesse applicarsi la prescrizione breve di cinque anni, tipica dei ratei di pensione. La Corte ha respinto questa tesi, confermando la prescrizione ordinaria di dieci anni. La motivazione è sottile ma decisiva: il pensionato non sta chiedendo il pagamento di ratei di pensione non versati (per i quali vale la prescrizione quinquennale), ma la restituzione di somme indebitamente trattenute. Si tratta di un’azione di ripetizione dell’indebito, il cui diritto sorge dalla trattenuta illegittima e si prescrive, appunto, in dieci anni.

Le conclusioni: implicazioni per Casse e pensionati

Questa ordinanza consolida ulteriormente un principio fondamentale a tutela dei pensionati: le Casse professionali non possono, di loro iniziativa, ridurre gli importi delle pensioni attraverso l’imposizione di contributi di solidarietà. La necessità di garantire l’equilibrio finanziario a lungo termine, pur essendo un obiettivo legittimo, non può essere perseguita violando la riserva di legge stabilita dalla Costituzione.

La decisione ha anche un importante valore di monito. La condanna per abuso del processo segnala che non è più tollerabile intasare il sistema giudiziario con ricorsi palesemente infondati, proposti unicamente per ritardare l’adempimento di un obbligo ormai accertato. Per i pensionati che hanno subito trattenute simili, questa sentenza conferma la possibilità di agire per ottenere la restituzione delle somme, potendo contare su un termine di prescrizione decennale e su un orientamento giurisprudenziale solido e favorevole.

Una Cassa di previdenza privata può imporre un contributo di solidarietà sulle pensioni?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il contributo di solidarietà è una prestazione patrimoniale imposta che, in base all’art. 23 della Costituzione, può essere introdotta solo da una legge dello Stato, non da una delibera autonoma di un ente previdenziale privato.

Qual è il termine di prescrizione per richiedere la restituzione dei contributi di solidarietà illegittimamente trattenuti?
Il termine di prescrizione è quello ordinario di dieci anni. La richiesta di restituzione non riguarda ratei di pensione non pagati (soggetti a prescrizione di cinque anni), ma la ripetizione di somme indebitamente trattenute dall’ente, per le quali si applica la prescrizione decennale.

Cosa rischia una parte che insiste in un ricorso palesemente infondato secondo la giurisprudenza consolidata?
Una parte che propone un ricorso senza addurre nuovi argomenti validi a fronte di un orientamento giurisprudenziale stabile e contrario commette un “abuso del processo”. Rischia non solo la condanna alle spese legali, ma anche il pagamento di un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno (art. 96 c.p.c.) e di una sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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