Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30741 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30741 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27264-2019 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME
– intimato – avverso la sentenza n. 118/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 13/03/2019 R.G.N. 301/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/06/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N.27264/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 27/06/2024
CC
RILEVATO CHE
1.- Con ricorso notificato il 18/9/2019, la CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI impugna la sentenza della Corte d’appello di Brescia n.118/2019 pubblicata il 13/3/2019, di parziale accoglimento in relazione alla sola decorrenza degli interessi legali dalla domanda giudiziale e non dalle singole trattenute, con compensazione delle spese di lite, del gravame avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo di accoglimento del ricorso proposto da NOME volto ad accertare la illegittimità del contributo di solidarietà applicato sul proprio trattamento pensionistico in virtù di delibere della Cassa n.4/2008 e n.3/2013, di rinnovo del contributo introdotto dall’art. 22 del Regolamento del medesimo ente di previdenza professionale, approvato con D.L. 14/7/2004, confermando la condanna di quest’ultimo alla restituzione delle somme a tale titolo trattenute al professionista pensionato nel limite della prescrizione decennale decorrente a ritroso dalla data di deposito del ricorso introduttivo di giudizio.
2.- La controparte intimata non si costituisce in giudizio.
3.- A seguito di formulazione da parte del consigliere delegato di una sintetica proposta di definizione accelerata del giudizio argomentata sui principi espressi da precedenti pronunce di questa Corte inerenti alla illegittimità di atti o provvedimenti che, imponendo una prestazione patrimoniale non introdotta per legge come previsto dall’art. 23 Cost., operino una trattenuta sul trattamento pensionistico già determinato, stanti altresì l’irrilevante autonomia delle Casse privatizzate e l’inidoneità del prelievo transitorio a salvaguardare l’equilibrio finanziario di lungo periodo, ed inerenti alla durata decennale
del termine di prescrizione, il ricorrente presenta istanza di decisione ai sensi del secondo comma dell’art. 380 -bis c.p.c. per la rilevanza delle modifiche normative intervenute nel corso di un trattamento pensionistico sorto in epoca successiva al 2007, rappresentando, poi, in memoria illustrativa, che la disciplina richiamata nel precedente orientamento giurisprudenziale sul pro rata non costituiva un limite alla introduzione del contributo di solidarietà e che l’art. 23 Cost. non era stato violato dall a autonomia normativa attribuita all’ente previdenziale dal legislatore; quindi invocava la verifica del principio di ragionevolezza e la applicazione del termine quinquennale di prescrizione anche in considerazione del superamento, ad opera dell’art. 47 -b is DPR 639/70, dell’art. 129 R.D.L. n.1827/35 che non giustificherebbe più un’interpretazione dell’art. 2948 c.c. che si discosti dalla regola generale dell’art. 1282 c.c.
CONSIDERATO CHE
1.Il ricorrente, nel sostenere l’ammissibilità del ricorso volto al superamento dell’indirizzo giurisprudenziale consolidato con sent. Cass. n. 31875/18 in riferimento a coloro che sono entrati in pensione dopo l’entrata in vigore della L.296/2006 (come nel caso in esame), si affida a quattro motivi di ricorso: il primo, inerente alla violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 3 cpc, della disposizione di cui all’art. 1 comma 763 L.296/06 che ha modificato l’art. 3 comma 12 L.335/95, non dovendosi più applicare per i trattamenti pensionistici decorrenti da epoca successiva al l’ 1/1/2007 né la disciplina del numerus clausus né l’obbligo del rispetto del pro -rata, e dovendosi invece tenere presenti i principi di gradualità e di equità fra generazioni; il secondo, inerente alla violazione dell’ art. 2 D.Lgs. 509/94 in relazione art. 22 Regolamento di disciplina del regime
previdenziale adottato dalla Cassa e con le Delibere della CNPADC del 28/10/2008 e del 27/6/2013, violazione dell’art. 3 comma 12 L.335/95 e dell’art. 1 co . 763 L n.296/2006 (Legge finanziaria per il 2007), violazione dell’art. 1 co . 488 L. n.147/2013 (Legge di Stabilità 2014), violazione dell’art. 24 co . 24 D.L. 201/2011 convertito in L. 214/2011 (Decreto cd. Salva Italia), violazione degli artt. 3 e 38 Cost., per non aver considerato l’impugnata sentenza la possibilità che il diritto soggettivo alla pensione possa essere limitato dalla legge la quale può disporre in senso sfavorevole anche quando siano in corso di pagamento i singoli ratei ed il rapporto di durata sia in fase di attuazione, e per non aver considerato l’attribuzione agli enti previdenziali privatizzati di poteri di autonomia normativa conf eriti dal legislatore mediante l’adozione di provvedimenti che assicurino l’equilibrio di bilancio nel lungo periodo; ed ancora per non essere stata valutata nell’impugnata sentenza la ricorrenza di criteri di ragionevolezza e proporzionalità nella riduzione del trattamento pensionistico, da analizzarsi in concreto graduando l’importo dei contributi in percentuale crescente in relazione all’aumento della quota lorda di pensione annua calcolata col metodo retributivo, escludendoli del tutto se la pensione è inferiore a euro 10.629, secondo finalità di solidarietà, uguaglianza ed equità intergenerazionale, a tutela degli iscritti; inoltre, la sentenza impugnata non aveva valutato l’introduzione del contributo di solidarietà nella misura dell’1% , legittimo ed adottabile, in forza dell ‘art. 24 co.24 del decreto 201/2011, e che anche la Corte Costituzionale con sentenza n. 173/2016 ne aveva ammesso la legittimità in riferimento all’ art. 1 co. 486 L.147/2013 per i trattamenti a carico di AGO, allorché di esso sia verificabile ragionevolezza e proporzionalità, ed ancora, non era più previsto l’obbligo di rispettare il pro-rata ma
di esso si deve tener conto (‘avuto presente’), non è un vincolo cogente ma è elastico, concorrente con i criteri di gradualità ed equità intergenerazionale e, poiché la modifica non coinvolge le anzianità già maturate, non era violato il pro-rata nella imposizione del contributo di solidarietà di cui alla trattenuta, concludendo per la sua legittimità. Come terzo motivo l’ente ricorrente deduce l’ omesso esame di un fatto decisivo, circa l’interpretazione autentica dell’art. 3 co . 12 L.335/95 fornita d all’a rt. 1 co.488 L.147/2013 secondo cui anche i provvedimenti emessi prima della legge del n.296 del 2006 sono efficaci e legittimi se finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine, pertanto sono legittime le trattenute operate dal 2009 al 2016 avendo il contributo ridotto la spesa pensionistica. Ed infine, come quarto motivo, deduce la violazione art. 2948 n.4 c.c. non trovando applicazione la disciplina sulla prescrizione decennale trattandosi di scadenze inferiori ad un anno, liquide perché facilmen te computabili dall’interessato, con analogo termine di prescrizione quinquennale dei ratei di pensione INPS, considerando quindi prescritte le differenze sui ratei richiesti per il periodo antecedente al 2012 stante la rilevanza del primo atto interruttivo della prescrizione consistente nella notifica del ricorso del 9/1/2017.
i primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto tendono ad affermare la legittimità del contributo di solidarietà; essi sono tuttavia manifestamente infondati, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte pronunciatasi su tutte le questioni sollevate dal ricorrente, ed al quale si intende dare piena continuità.
3.1. Già nell’imminenza della entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1 co. 488 della L.
147/2013 le Sezioni Unite, investite della questione di massima di particolare importanza su fattispecie analoga in materia di fissazione di un massimale pensionabile introdotto dal Comitato dei delegati della Cassa Ragionieri e Periti Commerciali (sent.17 742/15), avevano affermato l’operatività attenuata del principio del pro rata a seguito della modifica all’art. 3 comma 12 L.335/95 ad opera dell’art. 1 comma 763 della L.296/06, distinguendo tra vecchia e nuova formulazione, e l’irrilevanza di quest’ultim a per i pensionati che avevano maturato il diritto in epoca antecedente alla riforma del 2006, fornendo anche precise argomentazioni sul tema della non applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2948 n.4 c.c. non versando in un caso di credito pagabile, ossia messo a disposizione del creditore il quale deve essere posto in condizione di poterlo riscuotere, non bastando la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare. Nel caso di specie, trattandosi di un professionista pensionato dal 2008, il cui trattamento è disciplinato da provvedimenti regolamentati e da atti emanati prima del 2007, trova applicazione il principio di diritto enunciato al punto 18 lett. C della citata sentenza (« Nel regime previdenziale e per gli enti indicati al capo che precede, per i trattamenti pensionistici maturati dal 1′ gennaio 2007 in poi trova applicazione l’art. 3, c. 12, della L. 8.08.95 n. 335 nella formulazione introdotta dall’art. 1, c. 763, della L. 27.12.06 n. 296, che prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano delibere che mirano alla salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente” -e non più rispettando in modo assoluto- il principio del pro rata, tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. Con riferimento agli stessi trattamenti pensionistici maturati dopo, dal 10 gennaio 2007, sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia
previdenziale già adottati dagli enti medesimi ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, ai sensi dell’ultimo periodo del detto art. 1, c. 763, della legge n. 296 del 2006, come interpretato dall’art. 1, c. 488, della 1. 27.12.13 n. 147, il quale ha contenuto chiarificatore del dettato legislativo e non viola i canoni legittimanti l’intervento interpretativo del legislatore desumibili dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo »). Resta fermo, quindi, il principio della riserva di legge nella adozione di atti e provvedimenti emanati dall’organo deliberativo dell’ente previdenziale privatizzato i quali, sebbene non siano più vincolati tipo di atti previsti dall’originario art. 3 comma 12 e dalla stretta osservanza del criterio del pro rata, non possono derogare a norme primarie
3.2- A ciò si aggiunga che pienamente aderente alla vicenda in esame è il caso esaminato nella sentenza Cass. n.31875/2018 sulla illegittimità del contributo di solidarietà adottato dalla CNPADC, sia pure in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità di gestione, mediante atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri determinativi del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta su un trattamento già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, ritenendo che siano atti incompatibili con il rispetto del principio del “pro rata” e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel “genus” delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore. La pronuncia, citata nella proposta di definizione accelerata, ha affrontato il tema della privatizzazione degli enti professionali di previdenza ed assistenza, l’autonomia gestionale delle casse e la non incompatibilità del potere regolamentare con il sistema delle fonti precisando che il D.Lgs. 509/94 non ha attribuito agli
emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L.400/88 per cui non è loro consentito di sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali o di derogare a disposizioni collocate a livello primario, il tema dell’equilibrio di bilancio delle gestioni previdenziali in un termine non inferiore a quindici anni, del rispetto del principio del pro rata e dei tipi di provvedimento adottabili (variazione di aliquote contributive prima e riparametrazione dei coefficienti di rendimento) dopo le modifiche introdotte dalla Legge n.296/06 con la precisazione che esula dal novero dei provvedimenti (cd. numerus clausus) e risulta incompatibile con il rispetto del principio del pro rata qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati, come quello dell’art. 22 Regolamento Cassa commercialisti, che « introduca a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pensionistico’ – la previsione di u na trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensioni già quantificati ed attribuiti », ossia ne « esula qualsiasi provvedimento che lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3 comma 12, L.n.335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge- imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura »; la medesima pronuncia ha anche affrontato il tema della interpretazione autentica fornita dall’art. 1 co. 488 della L. 147/2013 nel senso della legittimità degli atti adottati prima della entrata in vigore della L.296/2006 a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine « mentre sicuramente
tale finalità non rappresenta un connotato dl contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo », ed infine anche il tema della non incidenza della sentenza della Corte Costituzionale n.173 del 2016 « sulle conclusioni qui assunte » trattandosi comunque di un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
3.3. Ancora, sulla mancata copertura della previsione di legge, richiesta dall’art. 23 Cost., che « rende illegittima la previsione della ritenuta per cui è causa », si veda Cass. ord. 12122/2023, e, sulla estraneità del contributo di solidarietà ai criteri determinativi del trattamento pensionistico e di conseguenza anche al principio del necessario rispetto del pro rata, si veda Cass. sent. 603/2019; sulla carenza di base legale ad impedire la legittimità del contributo di solidarietà introdotto per norma regolamentare e sul limite all ‘ autonomia negoziale insita nella riserva di legge delineata dall’art. 23 Cost. in base alla affermazione che « l’autonomia non è legibus soluta » si veda anche Cass. ord. n.9914/2023; e sul significato dello jus superveniens di cui all’art. 1 co.763 della L.296/2006 che non sta ad indicare che atti o provvedimenti riduttivi delle prestazioni già erogate siano legittimi « sol perché già adottati » ma che sia garantita la « perdurante efficacia anche alla luce delle modificazioni intervenute, sempre che gli stessi siano stati assunti nel rispetto della legge », si veda Cass. ord. 19711/2017.
3.4. Ulteriori considerazioni sollevate dal ricorrente in tema di ragionevolezza, proporzionalità e sostenibilità del contributo non possono prescindere dalla inderogabile riserva di legge di matrice costituzionale e dalla finalità di equilibrio di bilancio a lungo termine che, per disposizioni normative succedutesi nel tempo, deve essere assicurata per un termine lungo ampliato
dai 15 anni previsti ex art. 3 co. 12 L.335/95, ai 30 anni previsti dall’art. 1 co. 736 della L.296/06, fino ai 50 anni previsti dall’art. 24 D.L. 201/2011; ma il contributo applicato dalla Cassa è stato prorogato per due periodi quinquennali consecutivi e si configura come una prestazione autonoma, non già come correttivo del trattamento pensionistico.
3.5. Il richiamo espresso nei motivi di ricorso a quest’ultima disposizione normativa per sostenere la legittimità del contributo imposto almeno nel limite dell’1% su due annualità (2012 e 2013) non è pertinente al fine di giustificarne ragionevolezza e sostenibilità poiché trattasi di due istituti diversi per natura, funzione, soggetti emittenti (il contributo minimo di cui all’art. 24 comma 24 lett. B del D.L. 201/2011, ha fonte legislativa, carattere eccezionale e di limitata applicazione biennale, non è adeguato a fasce di reddito ma è applicato in percentuale fissa sul reddito percepito, e presuppone una condizione di inerzia dell’ente previdenziale privato e non già l’attivazione procedimentale di una regolamentazione rivelatasi giudizialmente illegittima).
4.1- Anche il quarto motivo di ricorso è infondato. Questa Corte (Cass.31527/22), in un caso analogo al presente, dove si discuteva di somme trattenute sui ratei di pensione in base al contributo di solidarietà applicato dalla CNPADC, ha affermato che la prescrizione quinquennale prevista dall’art.2948, n. 4, c.c. così come dall’art.12 9 del R. D. L. n. 1827 del 1935richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico (cioè con o senza applicazione del contributo di solidarietà), il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria
prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c. Si richiama anche la pronuncia Cass. n.41320/2021 sulla mancanza dei criteri di liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, laddove la differenza di importo pensionistico decurtata e non riscossa ne esclude il carattere di importo ‘pagabile’. Trattasi di un indirizzo consolidato (v. ad es. Cass.449/23, Cass.688/23) e condiviso dal collegio.
4.2Né vale in contrario richiamare l’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, secondo cui ‘ Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’art.24 l. n.88/89, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni .’ Questa Corte ha affermato che tale norma riguarda l’ipotesi di riliquidazione della pensione, mentre il caso di spec ie concerne l’ind ebita trattenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata (Cass.4604/23). Invero, si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati -ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo diritto- dei trattamenti pensionistici, non rientrando la fattispecie in esame nelle ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, « ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dall’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di ritenute operate sui singoli ratei di pensione, ma non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata » (così in sent. n.31527/2022, per poi concludere che « La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non
si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale »).
La soluzione cui si perviene è in linea con la proposta di definizione accelerata orientata verso la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, stante la continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale, riassuntivamente concentrato anche in altra recente pronuncia (Cass. ord. n. 6170/2024), in cui si condensano tutti gli argomenti innanzi svolti e le soluzioni negative cui anche in questa sede si perviene.
In conclusione, il ricorso è inammissibile; le argomentazioni difensive non hanno superato le statuizioni della impugnata sentenza che ha deciso le questioni in modo conforme alla giurisprudenza della Corte.
7.1 Alla soccombenza non fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, competenze e onorari, per la mancata costituzione in giudizio della controparte intimata.
7.2. Riguardo alle sanzioni previste dall’ultimo comma dell’art. 380bis cpc, stante l’esito giudiziale conforme alla proposta di definizione accelerata, nel senso indicato dall’ultimo comma dell’art. 380 -bis c.p.c., occorre verificare se sussistano i presupposti per l’applicazione del terzo e quarto comma dell’art. 96 c.p.c. Al riguardo, come è stato già osservato da questa Corte (Sez. Terza, ord. n.27947 del 4/10/2023), pronunciatasi in un caso analogo in cui la controparte era rimasta intimata, la norma sottende una valutazione legale tipica per la quale l’applicazione delle disposizioni del terzo e quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. non è discrezionale ma discende dalla
definizione del giudizio conforme alla proposta, ancorché sia necessario, a mente del citato terzo comma, che ricorra anche una situazione che consenta una pronuncia sulle spese. L’esclusione dell’automatismo applicativo del terzo comma dell’art. 96 c.p.c. nei casi di definizione del giudizio in cassazione conformemente alla proposta di cui all’art. 380 -bis c.p.c. sembra basarsi sull’esigenza di valorizzare la funzione deflattiva delle proposte di definizione alternativa, obiettivo che si muove sul solco attuativo del principio del giusto processo, al fine di conservare la funzione di strumento rimediale a tutela dei diritti e, al tempo stesso, disincentivare inutili lungaggini processuali, in presenza di consolidati orientamenti ed in mancanza di innovative argomentazioni. Ne discende che mentre la disposizio ne del terzo comma dell’art. 96 si attesta sul piano dell’aggravamento delle spese processuali quando su di esse vi sia stata una contestuale pronuncia di condanna (condizione non sussistente nel caso in esame), il successivo quarto comma assolve precipuamente alla funzione deterrente e sanzionatoria come richiesta dalla definizione del giudizio di cassazione conforme alla proposta di definizione accelerata di cui all’ul timo comma dell’art. 380 -bis c.p.c . Pertanto, per l’applicazione del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., si prescinde dalla necessità di una situazione che consenta una pronuncia sulle spese, nonostante anche quest’ultima innovativa previsione (introdotta dall’art. 3 co .6 del D.Lgs. 10/10/2022 n.149) sia in premessa ancorata alla ricorrenza dei casi di cui al primo, secondo e terzo comma dello stesso art. 96 e, dunque, supponga che vi sia una pronuncia sulle spese; orbene, nel caso di decisione conforme alla proposta ex art. 380-bis, terzo comma c.p.c., appare consentito prescinderne, dal momento che a quei presupposti si sostituisce quello previsto dallo stesso
terzo comma dell’art. 380 -bis: vale a dire la definizione del giudizio in conformità alla proposta. Anche le Sezioni Unite (ord. n. 27165/2023) si sono occupate della questione, essendo stato dato ulteriore rilievo alla funzione deterrente e, al tempo stesso, sanzionatoria della proposta di definizione accelerata rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori con applicazione del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ . nel caso di definizione del giudizio in conformità alla proposta; ove si verifichi tale evenienza, il terzo comma dell’art. 380 -bis prevede, infatti, senza mediazione di alcun’altra verifica, l’«applicazione» dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., utilizzando una locuzione che « chiaramente evoca direttamente l’azione performativa che detta norma demanda al giudice, piuttosto che la fattispecie legale da essa presupposta », precisando, altresì, che « l’art. 380 -bis, terzo comma, recupera dunque, in parte qua, un ben distinguibile spazio prescrittivo autonomo, coerente con l’obiet tivo della novella, solo ove per la condanna prevista dal richiamato quarto comma dell’art. 96 si prescinda dai casi ivi previsti in presenza del diverso e autosufficiente presupposto, che a quelli si sostituisce, della decisione conforme alla proposta »; la ratio della disposizione in esame è dunque diretta a disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata, con l’ulteriore osservazione che « quella prevista dal quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. è sanzione disposta a favore della collettività e non già della parte vittoriosa, come è invece nel caso dell’art. 96, terzo comma ». Nuovamente le Sezioni Unite hanno affermato che in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità
alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., codifica, attraverso una valutazione leg ale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, ma non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (ord. n. 36069/2023).
Orbene, nell’ipotesi in esame non si rinvengono ragioni (stante la complessiva ‘tenuta’, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
8.- In conclusione, le spese di giudizio vanno dichiarate non ripetibili. Alla presente pronuncia di inammissibilità del ricorso non fa seguito la condanna al pagamento dell’ulteriore somma di cui al terzo comma dell’art. 96 cpc; segue, invece, la condanna del ricorrente al pagamento della sanzione di cui al quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., da versare alla Cassa delle Ammende, liquidata come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e non ripetibili le spese del giudizio.
Condanna il ricorrente, ai sensi del terzo comma dell’art. 380 -bis c.p.c., al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di Euro 2.000,00.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione