Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11120 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11120 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18694-2023 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 82/2023 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 23/03/2023 R.G.N. 234/2022;
R.G.N. 18694/2023
COGNOME
Rep.
Ud.13/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- La Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado di accoglimento della domanda giudiziale di COGNOME NOME, dottore commercialista in pensione dal 2004, volta ad accertare la illegittimità del contributo di solidarietà applicato dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti (CNPADC) sul proprio trattamento pensionistico in virtù di delibere n.4/2008, n.3/2013 e n.10/17, di rinnovo del medesimo contributo introdotto dall’art. 22 del Regolamento del medesimo ente di previdenza professionale, approvato con D.L. 14/7/2004, con condanna di quest’ultimo alla restituzione delle somme a tale titolo trattenute al pensionato nel limite della prescrizione decennale decorrente a ritroso dalla data di deposito del ricorso introduttivo di giudizio. 2.La Cassa dei dottori commercialisti propone ricorso affidandosi a tre motivi, illustrati in memoria, a cui COGNOME NOME resiste con controricorso.
3.- A seguito di formulazione da parte del consigliere delegato di una sintetica proposta di definizione accelerata del giudizio argomentata sui principi espressi da precedenti pronunce di questa Corte inerenti a tutti i temi trattati in ricorso, la Cassa presenta istanza di decisione ai sensi dell’art.380 -bis, co.2 c.p.c. 4. La causa è stata discussa e decisa all’esito della adunanza camerale del 13 dicembre 2024.
CONSIDERATO CHE
1.Il ricorrente, nel sostenere l’ammissibilità del ricorso volto al superamento dell’indirizzo giurisprudenziale consolidato e richiamato nella impugnata pronuncia, e segnalando che il trattamento pensionistico possa essere ridotto da un
provvedimento normativo (inclusa la normativa regolamentare degli enti previdenziali privatizzati) che rispetti il principio di ragionevolezza, si affida a tre motivi di ricorso.
Il primo inerisce alla violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 3 cod. proc. civ., delle disposizioni di cui all’art. 2 D.Lgs. 509/1994 in combinato disposto con l’art. 22 del Regolamento di disciplina previdenziale e con la delibera della Cassa del 27/6/2013, art. 3 comma 12 L. n. 335/95, degli artt. 1 comma 763 L. n.296/06, 1 comma 488 L. n.147/2013, e 24 comma 24 d.l. 201/2011 conv. in L.214/2011, nonché degli artt. 2, 23 e 38 Cost., per avere la sentenza affermato che il diritto soggettivo alla pensione non possa essere limitato da atti emessi in virtù di autonomia normativa volti a conseguire l’equilibrio finanziario dell’ente, precisando che l’art. 22 del Regolamento non è un mero provvedimento amministrativo in quanto approvato dai Ministeri competenti; inoltre la sentenza non aveva affrontato il tema della ragionevolezza del prelievo, evincibile dalle diverse aliquote per scaglioni di trattamento pensionistico erogato prima e dopo il 2005 e dalla previsione di quote più alte per i ratei calcolati con il metodo retributivo, nell’ottica di equilibrio di bilancio nel lungo termine ed in ossequio ai principi di solidarietà ed eguaglianza, di cui è espressione la finalità di salvaguardia intergenerazionale.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione delle medesime norme non avendo ritenuto l’impugnata sentenza che l’interpretazione autentica del modificato art. 3 co.12 L.336/95, fornita dall’art. 1 co. 488 L.147/2013, avesse espressamente ritenuto legittimi ed efficaci gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti privatizzati prima della data di entrata in vigore della L.296/2006, per un prelievo contributivo
non definitivo ma a termine, come dimostrerebbe la pronuncia della Corte Cost. n. 173/2016.
Nel terzo motivo di ricorso la Cassa lamenta , in relazione all’art. 360 primo comma n.1 c.p.c., la violazione degli artt. 2946 e 2948 n.4 cod. civ., e degli artt. 129 R.D.L. n.1827/1935 e 47bis DPR 639/70 nella parte in cui è stato applicato il termine di prescrizione decennale sostenendo che si tratti di una restituzione di importi non liquidi, laddove, trattandosi di pagamento periodico di somme facilmente computabili dall’interessato e d esigibili, il termine è quinquennale ai sensi della disposizione codicistica ma anche in ragione dell’art. 47 -bis che supera la regola dell’art. 129 RDL 1827/35.
Le argomentazioni difensive, ribadite nelle memorie illustrative sulla rilevanza delle modifiche normative di interpretazione autentica intervenute nel corso di un trattamento pensionistico sulla estraneità del sistema del pro rata al contributo di solidarietà, sulla autonomia normativa attribuita a seguito di delegificazione che non violi i principi costituzionali, sono confutate dalla parte privata che nel controricorso ne deduce il superamento in virtù del consolidato indirizzo di legittimità, anche in tema di confermata decennalità del termine di prescrizione e di insuperabile principio di legalità.
I motivi sono infondati. I primi due possono essere scrutinati congiuntamente per indissolubile connessione.
Tutte le questioni sollevate in ricorso hanno trovato soluzione in precedenti pronunce di questa Corte, alle quali si intende dare piena continuità; già nell’imminenza della entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1 co. 4 88 della L. 147/2013 le Sezioni Unite (sent. 17742/15), investite della
questione di massima di particolare importanza su fattispecie analoga in materia di fissazione di un massimale pensionabile introdotto dal Comitato dei delegati della Cassa Ragionieri e Periti Commerciali, avevano affermato l’operatività attenuata del prin cipio del pro rata a seguito della modifica dell’art. 3 co. 12 L.335/95 ad opera dell’art. 1 co. 763 L.296/06, distinguendo tra vecchia e nuova formulazione, e l’irrilevanza di quest’ultima per coloro che avevano maturato il diritto a pensione in epoca antecedente alla riforma del 2006 (come nel caso in esame), fornendo anche precise argomentazioni sul tema della non applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2948 n.4 cod. civ. non versando in un caso di credito pagabile, ossia messo a disposizione del creditore che deve essere posto in condizione di poterlo riscuotere, e non bastando la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare; in particolare, al punto n.18 della citata sentenza si distingue tra professionisti titolari di trattamenti pensionistici maturati prima della riforma, ai quali si applica in modo rigoroso il principio del pro rata seguendo la formulazione originaria dell’art. 3 co.12 L. n.335/1995, e pensionati in epoca successiva al 2007 per i quali non è più rispettato in modo assoluto il principio del pro rata dovendosi tener conto dei criteri di gradualità ed equità fra generazioni, secondo il contenuto chiarificatore dell’art. 1 co. 488 L. 147/2013 e secondo i canoni legittimanti l’intervento interpretativo del legislatore desumibili dalla Costituzione e dalla Convenzione EDU. In sostanza, resta fermo il principio della riserva di legge nella adozione di atti e provvedimenti deliberati dall’ente previdenziale privatizzato i quali, sebbene non siano più vincolati dal tipo di atti previsti dall’originario art. 3 co.12 e dalla stretta osservanza del criterio del pro rata, non possono derogare a norme primarie.
3.1 – A ciò si aggiunga che pienamente aderente è il caso esaminato nella sentenza Cass. del 10/12/2018 n.31875 (citato nella impugnata pronuncia) sulla illegittimità del contributo di solidarietà adottato dalla CNPADC, sia pure in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità di gestione, mediante atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri determinativ i del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta su di esso, ritenendo che siano atti incompatibili con il rispetto del principio del “pro rata” e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel “genus” delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore. La pronuncia, citata nella proposta di definizione accelerata, unitamente a numerose altre rese nel corso degli anni da questa Corte, ha affrontato il tema della privatizzazione degli enti professionali previdenziali, della autonomia gestionale delle casse e della non incompatibilità del potere regolamentare con il sistema delle fonti precisando che il D.Lgs. 509/94 non ha attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse il carattere di regolamenti di delegificazione di cui alla L.400/88, per cui non è loro consentito di sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali o di derogare a fonti di livello primario; ivi si richiama anche il tema dell’equilibrio di bilancio delle gestioni previdenziali in un termine non inferiore a quindici anni, del rispetto del principio del pro rata e dei tipi di provvedimento adottabili (variazione di aliquote contributive e riparametrazione dei coefficienti di rendimento) dopo le modifiche introdotte dalla L.296/06, con la precisazione che esula dal novero dei provvedimenti (cd. numerus clausus ) ed è incompatibile con il rispetto del principio del pro rata qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati, come quello
dell’art. 22 del Regolamento CNPADC, che «introduca -a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pensionistico’ -la previsione di una trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti di pensione già quantificati ed attribuiti», ossia «esula qualsiasi provvedimento che -lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formu lazioni dell’art. 3 comma 12, L.n.335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge- imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura»; la medesima pronuncia ha affrontato il tema della interpretazione autentica fornita dall’art. 1 co. 488 L. 147/2013, nel senso della legittimità degli atti adottati prima della entrata in vigore della L.296/2006 a condizione che siano finalizzati ad assi curare l’equilibrio finanziario di lungo termine «mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo», ed anche il tema della non incidenza della sentenza della Corte Costituzionale n.173 del 2016 «sulle conclusioni qui assunte» trattandosi comunque di un prelievo che solo il legislatore può introdurre.
3.2- Ancora, altri precedenti di questa Corte hanno affermato: la mancata copertura della previsione di legge, richiesta dall’art. 23 Cost., che «rende illegittima la previsione della ritenuta per cui è causa» (Cass. 12122/2023), l’estraneità del contribut o di solidarietà ai criteri determinativi del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata (Cass. sent. n.603/2019), la carenza di base legale ad impedire la legittimità del contributo di solidarietà introdotto
per norma regolamentare ed il limite all’autonomia negoziale rappresentato dalla riserva di legge delineata dall’art. 23 Cost. precisando che «l’autonomia non è legibus soluta » (Cass. n. 9914/2023), ed anche il significato dello jus superveniens di cui all’art. 1 co.763 L.296/2006 non indica la legittimità di atti o provvedimenti riduttivi delle prestazioni già erogate «sol perché già adottati» ma ne garantisce la «perdurante efficacia anche alla luce delle modificazioni intervenute, sempre che gli stessi siano stati assunti nel rispetto della legge» (Cass. n. 19711/17).
3.3Ulteriori considerazioni in tema di ragionevolezza, proporzionalità e sostenibilità del contributo non possono prescindere dall’inderogabile riserva di legge di matrice costituzionale e dalla finalità di equilibrio di bilancio che deve essere assicurata per un termine di 15 anni previsti ex art. 3 co.12 L.335/95, ampliato a 30 anni dall’art. 1 co. 736 L.296/06, e fino a 50 anni dall’art. 24 D.L. 201/2011; ma il contributo applicato dalla Cassa, prorogato per due periodi quinquennali consecutivi, si configura come prestazione autonoma, e non come correttivo del trattamento pensionistico. Si precisa che il richiamo espresso nei motivi di ricorso all’art. 24 D.L. 201/2011 per sostenere la legittimità del contributo imposto almeno nel limite dell’1% sulle s ole annualità 2012 e 2013 non è pertinente al fine di giustificarne ragionevolezza e sostenibilità poiché trattasi di due istituti diversi per natura, funzione, soggetti emittenti (il contributo di cui all’art. 24 cit. ha fonte legislativa, carattere eccezionale e di limitata attuazione biennale, non è adeguato a fasce di reddito ma è applicato in percentuale fissa sul percepito, e presuppone una condizione di inerzia dell’ente previdenziale privato, non già l’attivazione procedimentale di una regolamentazione giudizialmente illegittima).
4. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. Questa Corte (Cass.31527/22), in un caso analogo al presente, dove si discuteva di somme trattenute sui ratei di pensione in base al contributo di solidarietà applicato dalla CNPADC, ha affermato che la prescr izione quinquennale prevista dall’art. 2948, n.4, c.c. così come dall’art.129 del R.D.L. n. 1827 del 1935 -richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, incontestato l’ammontare del trattamento pensionistico (cioè, con o senza applicazione del contributo di solidarietà), il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione di cui all’art. 2946 cod.civ. Si richiami anche la pronuncia Cass. n.41320/2021 sulla mancanza dei criteri di liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, laddove la differenza di importo pensionistico, decurtata e non riscossa, ne esclude il carattere di importo ‘pagabile’. L’indirizzo consolidato (Cass. n.449/23, n.688/23) è condiviso dal Collegio.
4.2- Né vale in contrario richiamare l’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, secondo cui «Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’art.24 L. n.88/89, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni». La norma riguarda l’ipotesi di riliquidazione della pensione, non già l’indebita trattenuta per l’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata (Cass. 4604/23). Invero, dalla fattispecie di credito consequenziale all’indebita ritenuta differisce l’ipotesi i n cui i ratei arretrati -ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo dirittosi
prescrivono in cinque anni (si rammenti Cass. n.31527/2022: «La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. I l termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale»). Non si pone, dunque, un problema di eventuale disparità di trattamento fra pensionati INPS e pensionati di Casse professionali privatizzate, ma di trattenute operate in virtù di un diverso titolo contributivo.
La soluzione cui si perviene, in linea con la proposta di definizione accelerata, si pone in continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale, riassuntivamente espresso nella recente pronuncia ivi menzionata (Cass. n. 6170/2024), non essendovi spazio per una sua rimeditazione. Numerose altre pronunce sono state emesse dalla Corte, tutte in linea con la soluzione prospettata, e non emergono ragioni per discostarsene (cfr. ord. 24404/2024, 24023/24, 24021/24, ed altre pure richiamate nella proposta di PDA).
Conclusivamente va dichiarata la inammissibilità del ricorso con condanna alle spese secondo soccombenza, liquidate in ragione del valore di lite. Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, si applicano gli ultimi due commi dell’art.96 c.p.c., contenendo l’art.380 bis, ult. co. c.p.c. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di un’ulteriore somma di denar o in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte (S.U. n. 27195, 27433, 36069 del 2023, e Cass. 27947/23), l’una come
ulteriore aggravamento della condanna alle spese, l’altra con funzione prettamente sanzionatoria a favore della collettività, entrambe espressive di maggior rilievo dato dalla novella codicistica alla finalità deterrente rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori, valorizzando la funzione deflattiva della proposta definitoria per disincentivare, in presenza di orientamenti consolidati ed in mancanza di innovative argomentazioni, inutili lungaggini processuali. La parte ricorrente va dunque condannata a pagare, ai sensi dell’art. 96, terzo e quarto comma c.p.c., una somma equitativamente determinata in €2.500,00 in favore della resistente (pari alla metà della principale condanna alle spese), ed un’eguale somma in favore della Cassa del le Ammende.
Sussistono, infine, i presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente e con attribuzione al suo difensore antistatario, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 III e IV comma c.p.c., al pagamento della somma di euro 2.500,00 in favore del controricorrente, e della ulteriore somma di Euro 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa
bis dell’art. 13 del d.P.R.
impugnazione, a norma del comma 1n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2024.