Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31898 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31898 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
Oggetto
Cassa
Nazionale Di Previdenza Ed Assistenza A Favore Dei Dottori Commercialisti
Contributo di solidarietà
R.G.N. 24722/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 10/07/2024
CC
sul ricorso 24722-2019 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3267/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/06/2019 R.G.N. 3574/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 3267 /2019, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato l’illegittimità del contributo di solidarietà operato dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti in detrazione sulle rate di pensione di vecchiaia anticipata di NOME COGNOME con conseguente diritto alla restituzione delle ritenute operate con interessi e rivalutazione monetaria dalle singole trattenute al saldo.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’Ente previdenziale sulla base di tre motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
A seguito di richiesta di decisione presentata dalla Cassa nei confronti della proposta di definizione accelerata del presente giudizio, è stata fissata l’odierna adunanza camerale, nella quale il collegio ha riservato il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la Cassa denuncia violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 509/1994 in combinato disposto con l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della Cassa e con la Delibera della Cassa del 27 giugno 2013, violazio ne dell’art.3, comma 12, della legge n. 335/1995, dell’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006, dell’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011 convertito in legge n. 214 del 2011, degli artt. 3 e 38 Cost., tutti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte erroneamente dichiarato illegittimo il contributo di solidarietà.
Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 1 della legge n. 147/2013, dell’art. 3, comma 12, della legge n.
335/1995, dell’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006, dell’art. 2 del d.lgs. n. 509/1994 in combinato disposto con l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della Cassa e successive delibere, tutti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ..
Con il terzo motivo infine denuncia la violazione dell’art. 1, della legge n. 147/2013, degli artt. 2946 e 2948 cod. civ., dell’art. 129 r.d.l. n. 1827/1935, dell’art. 47 bis del d.P.R. n. 639/1970, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Il primo ed il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente per l’intima connessione che li lega e risultano infondati alla luce della consolidata giurisprudenza (a partire da Cass. n. 25212/2009, poi seguita ex multis da Cass. n. 31875/2018, n. 32595/2018, n. 423/2019, n. 603/2019, n. 982/2019, n. 16814/2019, n. 28054/2020, n. 6301/2022, n. 6897/2022, n. 18565/2022; n. 18566/2022; n. 18570/2022; n. 29382/2022; n. 29535/2022; n. 29523/2022; n. 9886/2023, n. 9893/2023, n. 9914/2023, n. 10047/2023, n. 12122/2023, n. 6170/2024, n. 7489/2024 e da ultimo anche Cass. n. 23257 del 2024), con cui questa Corte ha affermato che con la legge n. 537/1993 il Governo è stato delegato ‘ad emanare uno o più decreti legislativi diretti a riordinare (o sopprimere) enti pubblici di previdenza e assistenza’, attenendosi, tra l’altro, al principio e criterio direttivo della ‘privatizzazione degli enti stessi, nelle forme dell’associazione o della fondazione, con garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti’. Con il d.lgs. 30 giugno 1994 n. 509, in attuazione della delega, si è ribadito che le Casse ‘privatizzate’ ‘hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi
stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta’ e che ‘la gestione economico -finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale’.
Come evidenziato in Cass. n. 603/2019, «per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di ‘sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti (cfr. Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto ‘anche in deroga a disposizioni di legge precedenti’.
Tali disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit. non hanno, peraltro, attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, sicché ad essi non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse ‘privatizzate’, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate. Quest’ultima disposizione che, nella sua formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 296/2006, costituisce base giuridica e parametro di legittimità della norma regolamentare in esame -sancisce testualmente : ‘Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal d.lgs. n 509/1994,
relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni.
In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti (…)’. Questa Corte ha esposto con riferimento a fattispecie analoga relativa alla stessa Cassa commercialisti (Cass 25212/09) che ‘L’autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto d.lgs n 509/1994 art. 2), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto ‘. Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus ) degli stessi provvedimenti -e risulta incompatibile, pe raltro, con il ‘rispetto del principio del pro rata (…)’ -qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie, l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca -a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pensionistico’ la previsione di una trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensionistici già quantificati ed attribuiti.
Ed invero sul punto deve evidenziarsi che la imposizione di un ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensionistici già in atto non integra, all’evidenza, né una ‘variazione delle aliquote
contributive’, né una ‘riparametrazione dei coefficienti di rendimento’.
Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad ‘ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico’. La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che -al pari di quelli specificamen te identificati nominativamente (di ‘variazione delle aliquote contributive’, appunto, e di ‘riparametrazione dei coefficienti di rendimento’) incidano su ‘ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico’. Quindi, ne esula qualsiasi provvedimento, che -lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3, comma 12, l. n 335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge -imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura». Non si può pervenire a diverse conclusioni neppure attraverso il richiamo alla legge n. 296/2006 di modifica dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, in quanto detta norma incide sul sistema del pro rata che è estraneo alla tematica del contributo di solidarietà: detta normativa sopravvenuta non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla Cassa di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contributo di solidarietà.
L’Ente ricorrente invoca, altresì, la disposizione di cui all’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, secondo cui: ‘L’ultimo periodo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in
vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine’. A tal proposito, questa Corte (ex multis, Cass. n. 6702/2016, n. 7568/2017) ha già aff ermato che «quest’ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, così come affermato dalla stessa ricorrente».
Inoltre, non può prescindersi dalla considerazione che la norma di cui all’ultimo periodo dell’art 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006 non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla Cassa e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame.
Al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, nei precedenti citati questa Corte ha, altresì, richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dall’art. 1, comma 486, della legge n. 147/2013, ha ritenuto essere in presenza di un «prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali impost e per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)».
Il ricorso, infine, cita a sostegno l’art.24, comma 24, lett. b), del d.l. n.201/2011 conv. nella legge n.214/2011, che prevede un
contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, per il caso di inerzia delle Casse nell’adozione delle misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche.
Si tratta di una norma che conferma che, come sottolineato nella citata sentenza della Corte costituzionale n.173/16, il contributo di solidarietà, avendo natura di prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art.23 Cost., è sottoposto alla riserva di legge.
Ne consegue che il suddetto richiamo normativo certamente non dimostra la legittimità della istituzione del diverso contributo di solidarietà di cui qui si discute che è stata effettuata con l’art.22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della CNPADC e non con una norma di legge.
Deve, pertanto, concludersi che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto esso, al di là del nomen, non può essere ricondotto ad un «criterio di determinazione del trattamento pensionistico», ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
Il terzo motivo è, parimenti, infondato.
Si legge in Cass. n. 31527/2022 che «questa Corte di legittimità (Cass. nr.41320 del 2021) ha già avuto modo di confermare, in fattispecie analoga alla presente, l’orientamento accolto dalla sentenza impugnata ed ancor prima dalle Sezioni unite di questa Corte nr. 17742 del 2015, secondo cui in materia di previdenza obbligatoria quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. nr. 509 del 1994 la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 nr. 4 cod.civ. – così come dal R.D.L. nr. 1827 del 1935, art. 129 – richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove vi sia in contestazione l’ammontare
del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod.civ.
14. In tali occasioni si è precisato che il rapporto assicurativo che lega la Cassa ai propri iscritti ha natura obbligatoria, dato che la RAGIONE_SOCIALE è a tutti gli effetti una persona giuridica privata che gestisce una forma di previdenza e assistenza, cui è obbligatoria l’iscrizione e la contribuzione da parte degli appartenenti delle categorie interessate; inoltre, l’applicazione dell’art. 2948 nr. 4, allo stesso modo che il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, richiede la liquidità e l’esigibilità del credito, che deve essere «pagabile», ovvero messo a disposizione del creditore, il quale deve essere posto nella condizione di poterlo riscuotere. Non basta, quindi, ai fini, sia dell’art. 129 che dell’art. 2948, la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare, tanto che entrambe le norme non trovano applicazione nelle ipotesi di ratei di pensione la cui debenza sia in contestazione (v. Cass. n. 16388 del 2004 e nr. 1787 del 1997, in motivazione, nonché sez.un. nr. 10955 del 2002).
15. Se, dunque, il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo, che è oggetto della controversia ora in esame, la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi «pagabile» e, quindi, non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell’art. 2948 cod.civ., ma quella decennale ordinaria dell’art. 2946 cod.civ.
16. Tale orientamento va confermato, potendo aggiungersi che non induce a diversa soluzione l’art. 47 bis d.p.r. nr. 639 del 1970 , secondo cui si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti
pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni, nel testo introdotto dal numero 2) della lettera d) del comma 1 dell’art. 38, D.L. 6 luglio 2011, nr. 98.
Risulta decisiva la considerazione che la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti all’indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata.
pensionistici, ma quale credito consequenziale 18. La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale’.
Questo indirizzo si è consolidato (ex multis Cass. n. 31641/2022, n. 31642/2022, n.449/2023, n.688/2023, n. 4349/2023, n. 4362/2023, n. 4604/2023, n. 6170/2024 e da ultimo Cass. 23257 del 2024) ed è condiviso dal Collegio.
Dato il differente ambito applicativo dell’art.47 bis d.P.R. n.639/70, non ha ragion d’essere alcuna questione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art.3 Cost.
Le ulteriori argomentazioni svolte con la memoria depositata dalla Cassa in vista dell’odierna adunanza camerale non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati nelle occasioni in cui questa Corte si è in passato pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato ed i motivi devono, pertanto, essere rigettati.
Conclusivamente il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate nella misura indicata in dispositivo, devono essere distratte in favore dell’avvocato che se ne è dichiarato antistatario .
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4, cod. proc. civ. contenendo l’art.380 bis, ult. co. cod. proc. civ. una valutazione legale ti pica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a sezioni unite (Cass. S.U. n. 27195 e n. 27433/2023, Cass.27947/2023).
Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in €1.500,00 in favore del resistente e di una ulteriore somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in € 3.000,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge. Spese da distrarsi in favore dell’avvocato che se ne è dichiarato antistatario .
Condanna parte ricorrente a pagare ai resistenti l’ulteriore somma di € 1.500,00.
Condanna parte ricorrente a pagare €1500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2024.