Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32645 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32645 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2591-2023 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 349/2022 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 20/07/2022 R.G.N. 120/2022;
Oggetto
R.G.N. 2591/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 26/09/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti impugna la sentenza n. 349/2022 con cui la Corte d’appello di Torino ha respinto il gravame avverso la pronuncia del Tribunale di Biella che aveva dichiarato illegittimo il pre lievo operato dall’Ente a titolo di contributo di solidarietà sul trattamento pensionistico di Ogliaro NOME.
L’Ente avanza tre motivi di ricorso.
Resiste COGNOME NOME con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
A seguito di richiesta di decisione depositata dalla Cassa nei confronti della proposta di definizione accelerata del presente giudizio, è stata fissata l’odierna adunanza camerale, nella quale il collegio ha riservato il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
La Cassa articola tre motivi di ricorso, tutti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
I Motivo) Violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 509/1994 in combinato disposto con l’art. 22 del ‘Regolamento di disciplina
del regime previdenziale’ della CNPADC e con la Delibera della CNPADC del 27.6.2013; dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995; dell’art.1 comma 763, della legge n. 296/2006; dell’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013; dell’art. 24, comma 24, del D.L. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011; degli artt. 3, 23 e 38 Cost.
II Motivo) Violazione dell’art. 1 della legge n. 147/2013/ dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995; dell’art.1, comma 763, della legge n. 296/2006; dell’art. 2 del d.lgs. n. 509/1994 in combinato disposto con l’art. 22 del ‘Regolamento di disciplina del regime previdenziale’ della CNPADC e successive delibere. III Motivo) Violazione dell’art. 16 della legge n. 412/1991, dell’art. 1224 cod. civ. e dell’art. 2033 cod. civ.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, per l’intima connessione che li lega, e risultano infondati alla luce del consolidato orientamento iniziato con Cass. n. 25212/2009 e proseguito con, ex multis , Cass. n. 31875/2018, n. 32595/2018, n. 423/2019, n. 603/2019, n. 982/2019, n. 16814/2019, n. 28054/2020, n. 6301/2022, n. 6897/2022, n. 18565/2022; n. 18566/2022; n. 18570/2022; n. 29382/2022; n. 29535/2022; n. 29523/2022; n. 9886/2023, n. 9893/2023, n. 9914/2023, n. 10047/2023, n. 12122/2023, n. 6170/2024, n. 7489/2024, con cui la Corte ha affermato quanto segue.
Con la legge n. 537/1993 il Governo è stato delegato ‘ad emanare uno o più decreti legislativi diretti a riordinare (o sopprimere) enti pubblici di previdenza e assistenza’, attenendosi, tra l’altro, al seguente principio e criterio direttivo: ‘privatizzazione degli enti stessi, nelle forme dell’associazione o della fondazione, con garanzie di autonomia gestionale,
organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti’.
Il d.lgs. 30 giugno 1994 n. 509, in attuazione della delega, ha ribadito che le Casse privatizzate ‘hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta’ e che ‘la gestione economico -finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redig ersi con periodicità almeno triennale’.
Come evidenziato in Cass. n. 603/2019, «per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di ‘sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti’ (cfr. Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto ‘anche in deroga a disposizioni di legge precedenti’.
Tali disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit. non hanno, peraltro, attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, sicché ad essi – -non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse
‘privatizzate’, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate.
Quest’ultima disposizione che, nella sua formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 296/2006, costituisce base giuridica e parametro di legittimità della norma regolamentare in esame -sancisce testualmente: ‘Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal dlgs n 509/1994, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione dell e modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti (…)’ .
Questa Corte ha esposto con riferimento a fattispecie analoga relativa alla stessa Cassa commercialisti (Cass 25212/09) che ‘L’autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto d.lgs n 509/1994 art. 2), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto .
Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti -e risulta incompatibile, peraltro, con il ‘rispetto del principio del pro rata (…)’ -qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella
specie, l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca -a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pensionistico’ la previsione di una trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensioni già quantificati ed attribuiti.
Ed invero sul punto deve evidenziarsi che la imposizione di un ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti pensionistici già in atto non integra, all’evidenza, né una ‘variazione delle aliquote contributive’, né una ‘riparametrazione dei coefficienti di re ndimento’. Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad ‘ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico’. La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che -al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di ‘variazione delle aliquote contributive’, appunto, e di ‘riparametrazione dei coefficienti di rendimento’) incidano su ‘ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico’.
Quindi, ne esula qualsiasi provvedimento che -lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3, comma 12, l. n 335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge -imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura».
Non si può pervenire a diverse conclusioni neppure attraverso il richiamo alla legge n. 296/2006 di modifica dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, poichè detta norma incide sul sistema del pro rata che è estraneo alla tematica del contributo
di solidarietà: tale normativa sopravvenuta non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla Cassa di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contributo di solidarietà.
L’Ente ricorrente invoca, altresì, la disposizione di cui al l’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, secondo cui: ‘L’ultimo periodo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine’.
A tal proposito, questa Corte ( ex multis , Cass. n. 6702/2016, n. 7568/2017) ha già affermato che «quest’ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibri o finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, così come affermato dalla stessa ricorrente».
Inoltre, non può prescindersi dalla considerazione che la norma di cui all’ultimo periodo dell’art 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006 non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla Cassa e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame.
Al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e
conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, nei precedenti citati questa Corte ha, altresì, richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dall’art. 1, comma 486, della legge n. 147/2013, ha ritenuto essere in presenza di un «prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)».
Pertanto, in base delle considerazioni che precedono, deve confermarsi che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto esso, al di là del nomen , non può essere ricondotto ad un criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
Infondato è anche il terzo mezzo di gravame relativo alla decisione sulla decorrenza degli interessi maturati sulle somme trattenute.
Su punto si richiama ex multis Cass. n. 36560/2022: «Cass. n.31642 del 2022 ha confermato il principio secondo il quale al pensionato, per effetto dell’accoglimento della domanda, competono gli interessi legali dalla data di maturazione del diritto (coincidente con i prelievi effettuati dalla Cassa) fino al momento dell’effettivo pagamento, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte che, con riguardo agli accessori, afferma che i crediti previdenziali hanno natura unitaria; gli accessori costituiscono componenti essenziali di un’unica prestazione nel senso che il credito “maggiorato di tali
elementi, rappresenta, nel tempo, l’originario credito nel suo reale valore man mano aggiornato” (Cass. n. 12023 del 2003; conf. Cass. n. 18558 del 2014; Cass. n. 2563 del 2016). La Corte ha, peraltro, già esaminato analoghe fattispecie (v. Cass. nn. 16813 e 16814 del 2019) e richiamato, a fondamento della correttezza del decisum dei giudici di merito, anche un più recente arresto delle sezioni unite (Cass., sez. un., n. 6928 del 2018) le quali, occupandosi di prestazioni di natura previdenziale, per quel che qui rileva, hanno nuovamente ribadito che “(…) Dalla affermata natura previdenziale (del credito) (…) deriva (…) che agli accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria (…) consegue che gli interessi devono essere calcolati sul capitale rivalutato con scadenza periodica, dal momento dell’inadempimento al soddisfacimento del credito(…)» (cosi Cass. n. 36560/2022; idem n. 35986/2022, n. 36000/2022, n. 36002/2022, n. 687/2023, n. 3687/2023, n. 3990/2023; n. 12122/2023).
Le ulteriori argomentazioni svolte in seno alla memoria depositata dalla Cassa in vista della presente adunanza non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati nelle occasioni in cui questa Corte si è in passato pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ., con condanna alle spese secondo soccombenza.
Inoltre, essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. comma, cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., contenendo l’art.380 bis, ult. comma, cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27195/2023 e n. 27433/2023, Cass. n.27947/2023).
Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in € 1500,00 in favore del resistente e di una ulteriore somma di € 1500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in €3000,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario;
condanna parte ricorrente a pagare al resistente l’ulteriore somma di €1500,00;
condanna parte ricorrente a pagare €1500,00 in favore della Cassa delle Ammende;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, attesa la declaratoria di inammissibilità del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 26 settembre