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Contributo di solidarietà: illegittimo per le casse

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9553/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una cassa previdenziale contro un suo iscritto. La Corte ha confermato che l’imposizione di un contributo di solidarietà sulle pensioni da parte di un ente previdenziale privato è illegittima, poiché tale prelievo ha natura di prestazione patrimoniale imposta e rientra nella riserva di legge statale (art. 23 Cost.). L’autonomia regolamentare della cassa non può estendersi fino a introdurre trattenute di questo tipo. È stato inoltre confermato che il termine di prescrizione per la restituzione delle somme è decennale.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Il contributo di solidarietà è illegittimo se imposto dalle Casse Previdenziali

Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 9553 del 2025, ribadisce un principio fondamentale a tutela dei pensionati: le casse previdenziali private non possono imporre autonomamente un contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici dei loro iscritti. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale ormai granitico, chiarendo i limiti dell’autonomia di questi enti.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dalla decisione di una Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per una categoria di professionisti di applicare una trattenuta, definita “contributo di solidarietà”, sui ratei di pensione di un proprio iscritto. Il professionista, ritenendo illegittimo tale prelievo, si è rivolto al tribunale, ottenendo una pronuncia favorevole sia in primo grado sia in appello. La Corte d’Appello, in particolare, aveva confermato la condanna della Cassa alla restituzione delle somme indebitamente trattenute, specificando che l’ente non era legittimato da alcuna norma di legge a imporre un simile contributo. Contro questa decisione, la Cassa ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della Cassa inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione, ma la chiude definitivamente sulla base di un principio procedurale: il ricorso non presentava argomenti nuovi o tali da poter indurre la Corte a cambiare il proprio orientamento, già consolidato in materia. Di fatto, la Cassazione ha confermato la piena validità delle sentenze dei gradi precedenti, mettendo un punto fermo sulla questione.

Le motivazioni: perché il contributo di solidarietà è illegittimo?

Il cuore della decisione risiede nell’analisi della natura del contributo di solidarietà. La Corte ha ribadito quanto già affermato in numerose precedenti sentenze, basandosi su principi costituzionali solidi:

1. Natura di Prestazione Patrimoniale Imposta: Il contributo in questione non è un versamento volontario, ma un prelievo obbligatorio. Come tale, rientra nella categoria delle “prestazioni patrimoniali imposte”, disciplinate dall’articolo 23 della Costituzione.
2. Principio della Riserva di Legge: L’art. 23 Cost. stabilisce che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Questo significa che solo lo Stato, attraverso una legge del Parlamento, può introdurre tasse, imposte o contributi obbligatori. Un ente privato, seppur con finalità pubblicistiche come una cassa previdenziale, non ha questo potere.
3. Limiti dell’Autonomia Regolamentare: Le casse previdenziali privatizzate godono di un’autonomia regolamentare, ma questa è circoscritta. Possono modificare le aliquote dei contributi o i criteri di calcolo delle pensioni per garantire l’equilibrio finanziario a lungo termine, ma non possono creare nuove forme di prelievo forzoso. L’introduzione di un contributo di solidarietà esula da questi poteri, in quanto incide su un trattamento pensionistico già quantificato e attribuito, configurandosi come un prelievo esterno e non come una modifica dei criteri di calcolo.

Le motivazioni sulla prescrizione

Un secondo motivo di ricorso della Cassa riguardava la prescrizione del diritto del pensionato a richiedere la restituzione delle somme. La Cassa sosteneva che si applicasse la prescrizione breve di cinque anni, tipica dei ratei pensionistici. La Corte ha respinto anche questa tesi, affermando che, quando è in contestazione l’ammontare stesso del trattamento pensionistico (a causa dell’applicazione o meno del contributo), il diritto alla sua corretta rideterminazione (riliquidazione) è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale.

Conclusioni: Implicazioni per Professionisti e Casse

L’ordinanza della Cassazione rappresenta una vittoria significativa per i diritti dei pensionati iscritti a casse private. Il messaggio è inequivocabile: l’autonomia gestionale degli enti previdenziali non può spingersi fino a invadere una prerogativa esclusiva dello Stato, quale l’imposizione di prelievi patrimoniali. Questa decisione non solo obbliga la Cassa a restituire quanto indebitamente trattenuto, ma la condanna anche al pagamento delle spese legali e di una somma ulteriore per aver intentato un ricorso palesemente infondato, data la giurisprudenza costante in materia. Per i professionisti, si tratta di una garanzia importante che le loro pensioni, una volta maturate, non possano essere decurtate da iniziative unilaterali e illegittime del proprio ente previdenziale.

Una cassa previdenziale privata può imporre autonomamente un “contributo di solidarietà” sulle pensioni?
No. La Corte di Cassazione ha confermato che tale contributo ha la natura di una prestazione patrimoniale imposta, la cui istituzione è coperta da riserva di legge statale ai sensi dell’art. 23 della Costituzione. L’autonomia regolamentare delle casse non si estende a questo tipo di prelievo.

Qual è il termine di prescrizione per chiedere la restituzione delle somme trattenute a titolo di contributo di solidarietà?
Il termine di prescrizione è quello ordinario di dieci anni (art. 2946 c.c.). Questo perché la contestazione non riguarda singoli ratei scaduti, ma il diritto alla corretta determinazione dell’importo totale della pensione (riliquidazione).

Cosa succede se si ricorre in Cassazione su una questione su cui esiste già un orientamento giurisprudenziale consolidato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., in quanto non presenta argomenti che possano determinare un cambiamento di indirizzo della Corte. La parte ricorrente può essere inoltre condannata a pagare ulteriori somme a titolo di penalità per aver promosso un giudizio senza fondamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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