Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14588 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14588 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 8004-2022 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1254/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/10/2021 R.G.N. 712/2021;
Oggetto
R.G.N.8004/2022
COGNOME
Rep.
Ud.29/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza in favore dei Dottori Commercialisti impugna la sentenza in epigrafe indicata reiettiva del gravame avverso la pronuncia di primo grado che, su ricorso di NOME NOME NOME, pensionato dall’aprile 2004, aveva accertato l’illegittimità del contributo di solidarietà applicato sul suo trattamento pensionistico in virtù di delibere adottate dall’ente privatizzato n.4/08, n.3/13, n.10/17, di rinnovo della misura introdotta dall’art. 22 del Regolamento del medesimo ente, confermando la condanna alla restituzione delle somme a tale titolo trattenute nel limite della prescrizione decennale, oltre interessi decorrenti dalle singole trattenute fino al saldo effettivo, e non ritenendo applicabile la diretta imposizione contrib utiva prevista dall’art. 24 co. 24 D.L. 201/2011 conv. in Legge n.214/ 2011 nella misura dell’1% per gli anni 2012 e 2013, per difetto del presupposto dell’inerzia n ell’adozione dei provvedimenti,
Al ricorso proposto dalla Cassa previdenziale articolato su sei motivi, illustrati di seguito con memoria, il professionista resiste costituendosi con controricorso.
La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 29/1/2025.
CONSIDERATO CHE
1.- Con il primo motivo la Cassa previdenziale denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c., delle disposizioni di cui agli artt. 1 e 2 D.Lgs. 509/1994, art. 3 co.12 L. n. 335/95, anche come modificato dall’art. 1 co.
763 L. n.296/06 ed autenticamente interpretato dall’art. 1 co. 488 L. n.147/2013, dell’art. 24 co. 24 d.l. 201/2011 conv. in L.214/2011, degli artt. 2, 3, 23 Cost., anche in relazione agli artt. 2, 9, 32 dello Statuto della Cassa Commercialisti nonché alle delibere n.4/2008, 3/2013, 10/2017 emanate in virtù de ll’art. 22 del Regolamento di disciplina della CNPADC, nonché dell’art. 115 c.p.c., per avere l’impugnata sentenza dichiarato illegittimo il contributo di solidarietà applicato sulla pensione erogata al professionista, benché la normativa introdotta dall’art. 1 co.763 della L.296/06 abbia svincolato dal numerus clausus il novero dei provvedimenti adottabili dagli enti privatizzati per conseguire l’obiettivo di equilibrio di bilancio ed abbia superato l’ obbligo di rispetto del pro-rata (come previsto dall’originario art. 3 co .12 L. 335/95) per le variazioni del trattamento pensionistico non vigendone l’intangibilità, stante anche la norma di interpretazione autentica entrata in vigore nel 2013 circa la validità ed efficacia dei provvedimenti emanati prima del 2007; asserisce la ricorrente che attraverso norma regolamentare è consentito introdurre provvedimenti impositivi, per l’autonomia negoziale in virtù della quale la Cassa può derogare al quantum del trattamento pensionistico, e per il carattere straordinario del contributo di solidarietà, in grado di evitare il fallimento del sistema previdenziale privatizzato nel rispetto del principio di ragionevolezza per la sua limitata incidenza nel tempo ed in percentuale gradata in ragione degli importi pensionistici più elevati; peraltro la legittimità del contributo di solidarietà, che esula dal sistema del pro rata e garantisce finalità di gradualità ed equità intergenerazionale, sarebbe confermata dalla previsione del prelievo obbligatorio nella misura dell’1% previsto ex art. 24 co. 24 del d.l. 201/11 e
dalla pronuncia della Corte Costituzionale n.173/2016 rispetto alla riserva relativa di legge.
In subordine, come secondo motivo di ricorso, lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 co.1 n. 4 c.p.c, e la violazione e falsa applicazione , in relazione all’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., dell’ art. 24 co.24, d.l. 201/2011, nella parte in cui in sentenza non è stato ritenuto legittimo il contributo di solidarietà previsto dalle predette delibere n.4/2008, 3/2013, 10/2017 e nella parte in cui non è stata pronunciata la legittimità del contributo di solidarietà previsto dalla predetta normativa dell’art. 24 co.24 a partire dall’anno 2011 in poi.
Ancora in subordine, al terzo motivo di ricorso la Cassa lamenta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c., dell’art. 24 co.24 lett. B) del d.l. 201/2011 nella parte in cui in sentenza non è stato ritenuto applicabile almeno nel biennio 2012-2013 il contributo di solidarietà ivi previsto.
Nel quarto motivo di ricorso la Cassa lamenta la violazione dell’art. 19 co.3 L.21/1986 ed art t. 2948 n.4 e 2943 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha respinto l’eccezione di prescrizione quinquennale, nonché dell’art. 47 -bis DPR 639/70 modificativa del termine di durata decennale della prescrizione dei ratei arretrati dei trattamenti pensionistici, laddove doveva essere dichiarata la prescrizione per il periodo antecedente all’ultimo quinquennio dalla notifica del ricorso introduttivo di giudizio (del 18/11/2019) valevole come atto interruttivo.
Con il quinto motivo deduce, ancora in subordine, la violazione, in relazione all’art. 360 co. 1 n.4 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c., ovvero la violazione dell’art. 2946 c.c. in relazione all’art. 360
co.1 n.3 c.p.c., avendo la sentenza omesso di pronunciare sulla applicabilità della prescrizione decennale per l’epoca anteriore al 18/11/2009.
Con il sesto ed ultimo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., degli artt. 16 co.6 L.412/91 nonché degli artt. 1224 e 2033 c.c., per non avere la sentenza impugnata disposto la decorrenza degli interessi dalla domanda e non dal pagamento dei ratei, non trovando applicazione le conseguenze della mala fede dell’accipiens ex art. 2033 c.c.
Le argomentazioni difensive, ribadite nella memoria illustrativa depositata in prossimità dell’adunanza cameral e, sono confutate dalla parte privata che, nel suo controricorso, invoca una pronuncia di inammissibilità ai sensi dell’art. 360 -bis c.p.c. in quanto la sentenza di appello, nel confermare il primo grado, ha reso una pronuncia conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità rispetto al quale il ricorso per cassazione in esame non offre elementi nuovi fra quanti già esaminati in plurimi precedenti di questa Corte. Inoltre, evidenzia che le casse previdenziali private non possono derogare al principio del pro-rata vigendo un numerus clausus nei poteri regolamentari dell’ente, normativa già positivamente sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale sulla tematica del contributo di solidarietà quale rimedio temporaneo straordinario inidoneo ad assicurare un equilibrio di lungo termine, e non può essere disatteso il legittimo affidamento del privato all’intangibilità del tratta mento pensionistico; ancora, l’art. 24 non è disposizione autoapplicativa ma richiede l’emissione di un atto deliberativo non allegato; e infine va
confermata la decennalità del termine di prescrizione ed il principio di legalità.
I motivi sono infondati. I primi due, inerenti alla legittimità del contributo di solidarietà, sono trattati congiuntamente.
Tutte le questioni sollevate dal ricorrente hanno trovato soluzione in precedenti pronunce di questa Corte, alle quali si intende dare piena continuità; già nell’imminenza della entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1 co.488 della L. 147 del 2013 le Sezioni Unite (sent.17742/15), investite della questione di massima di particolare importanza su fattispecie analoga in materia di fissazione di un massimale pensionabile introdotto dal Comitato dei delegati Cassa Ragionieri e Periti Commerciali, avevano affermato l’operatività attenuata del principio del pro rata a seguito della modifica dell’art. 3 co.12 L.335/95 ad opera dell’art.1 co.763 della L.296/06, distinguendo tra vecchia e nuova formulazione, e l’irrilevanza di quest’ultima per i pensionati che avevano maturato il diritto in epoca antecedente alla riforma del 2006, fornendo anche precise argomentazioni sul tema della non applicazione della prescrizione quinquennale ex art.2948 n.4 cod.civ. non versando in un caso di credito pagabile, ossia messo a disposizione del creditore che deve essere posto in condizione di poterlo riscuotere, e non bastando la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare; in particolare, al punto n.18 della citata sentenza si distingue tra professionisti destinatari di trattamenti pensionistici maturati prima della riforma (vi rientra il caso in esame), ai quali si applica in modo rigoroso il principio del pro rata seguendo la formulazione originaria dell’art. 3 co.12 della L . n.335/1995, e pensionati in epoca successiva al 2007 per i quali non è più
rispettato in modo assoluto il principio del pro rata dovendosi tener conto dei criteri di gradualità ed equità fra generazioni, secondo il contenuto chiarificatore dell’art. 1 co. 488 della L. 147/2013 e secondo i canoni legittimanti l’intervento interpretativo del legislatore desumibili dalla Costituzione e dalla Convenzione EDU. In sostanza, resta fermo il principio della riserva di legge nella adozione di atti e provvedimenti dell’organo deliberativo dell’ente privatizzato i quali, sebbene non siano più vincolati dal tipo di atti previsti dall’originario art. 3 co.12 e dalla stretta osservanza del criterio del pro rata, non possono derogare a norme primarie.
3.1 – A ciò si aggiunga che pienamente aderente è il caso esaminato nella sentenza Cass. del 10/12/2018 n.31875 sulla illegittimità del contributo di solidarietà adottato dalla CNPADC, sia pure in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità di gestione, mediante atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri determinativi del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta su di esso, ritenendo che siano atti incompatibili con il rispetto del principio del “pro rata” e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel “genus” delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore. La pronuncia ha affrontato i temi della privatizzazione degli enti professionali previdenziali, dell’autonomia gestionale delle casse e della non incompatibilità del potere regolamentare con il sistema delle fonti, precisando che il D.Lgs. 509/94 non ha attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse il carattere di regolamenti di delegificazione di cui alla L.400/88, per cui non è loro consentito di sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali o di derogare a fonti di livello primario; ivi si richiama anche il tema dell’equilibrio di
bilancio delle gestioni previdenziali in un termine non inferiore a quindici anni, del rispetto del principio del pro rata e dei tipi di provvedimento adottabili (variazione di aliquote contributive e riparametrazione dei coefficienti di rendimento) dopo le modifiche introdotte dalla L.296/06, con la precisazione che esula dal novero dei provvedimenti (cd. numerus clausus) ed è incompatibile con il rispetto del principio del pro rata qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati, come quello dell’art. 22 del Regolamento di disciplina della CNPADC, che «introduca a prescindere dal ‘criterio di determinazione del trattamento pensionistico’ – la previsione di una trattenuta a titolo di ‘contributo di solidarietà’ sui trattamenti di pensioni già quantificati ed attribuiti», ossia «esula qualsiasi provvedimento che -lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazio ni dell’art. 3 comma 12, L.n.335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge- imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura»; la medesima pronuncia ha affrontato il tema della interpretazione autentica fornita dall’art. 1 co. 488 della L. 147/2013, nel senso della legittimità degli atti adottati prima della entrata in vigore della L.296/2006 a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine «mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo», ed anche il tema della non incidenza della sentenza della Corte Costituzionale n.173/2016 «sulle conclusioni qui assunte»
trattandosi comunque di un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
3.2- Ancora, altri precedenti di questa Corte hanno affermato: la mancata copertura della previsione di legge, richiesta dall’art. 23 Cost., che «rende illegittima la previsione della ritenuta per cui è causa» (Cass. 12122/2023), l’estraneità del contribut o di solidarietà ai criteri determinativi del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata (Cass. n.603/2019), la carenza di base legale ad impedire la legittimità del contributo di solidarietà introdotto per norma regolamentare ed il limite alla autonomia negoziale rappresentato dalla riserva di legge delineata dall’art. 23 Cost. con l’affermazione che «l’autonomia non è legibus soluta» (Cass. n.9914/2023), ed anche il significato dello jus supervenie ns di cui all’art. 1 co.763 della L.296/2006 non indica la legittimità di atti o provvedimenti riduttivi delle prestazioni già erogate «sol perché già adottati» ma ne garantisce la «perdurante efficacia anche alla luce delle modificazioni intervenute, sempre che gli stessi siano stati assunti nel rispetto della legge» (Cass. n. 19711/2017).
3.3Ulteriori considerazioni in tema di ragionevolezza, proporzionalità e sostenibilità del contributo non possono prescindere dalla inderogabile riserva di legge di matrice costituzionale e dalla finalità di equilibrio di bilancio a lungo termine che, per disposizioni normative succedutesi nel tempo, deve essere assicurata per un termine lungo, ampliato dai 15 anni previsti ex art. 3 comma 12 L.335/95 ai 30 anni previsti dall’art. 1 co. 736 della L.296/06, fino ai 50 anni previsti dall’art. 24 D.L. 201/2011; ma il contributo applicato dalla Cassa, prorogato per periodi quinquennali consecutivi, si configura
come una prestazione autonoma, non già come correttivo del trattamento pensionistico. Si precisa che il richiamo espresso nei primi due motivi di ricorso a quest’ultima disposizione normativa per sostenere la legittimità del contributo imposto almeno nel l imite dell’1% su due annualità (2012 e 2013) non è pertinente al fine di giustificarne ragionevolezza e sostenibilità poiché trattasi di un istituto diverso da quello di fonte regolamentare, per natura, funzione, soggetti emittenti (il contributo minimo di cui all’art. 24 comma 24 lett. B, del D.L. 201/2011, invero, ha fonte legislativa, carattere eccezionale e di limitata attuazione biennale, non è adeguato a fasce di reddito ma è applicato in percentuale fissa sul reddito percepito, e presuppone una condi zione di inerzia dell’ente previdenziale privato e non già l’attivazione procedimentale di una regolamentazione rivelatasi giudizialmente illegittima).
Neppure è fondato il terzo motivo: non è infatti autonomamente applicato il prelievo ex art.24 d.l. 201/2011 in assenza di una specifica determinazione dell’ente , ricognitiva di una propria incolpevole inerzia. E sulla non equiparabilità della situazione di illegittimità giudiziale della contribuzione imposta dalla Cassa con l’inattività nella adozione di una legittima forma contributiva al fine di riequilibrio di bilancio, si vedano anche, di recente, le pronunce n.20701/2024 e n.24400/2024, a cui si intende dare continuità.
Anche il quarto e quinto motivo di ricorso sono infondati. Questa Corte (Cass. 31527/22), in un caso analogo al presente, dove si discuteva di somme trattenute sui ratei di pensione in base al contributo di solidarietà applicato dalla CNPADC, ha affermato che la prescrizione quinquennale prevista dall’art.2948, n. 4, c.c. -così com e dall’art.129 del R.D.L. n.
1827 del 1935- richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico (cioè con o senza applicazione del contributo di solidarietà), il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ. Si richiama anche la pronuncia Cass. n.41320/2021 sulla mancanza dei criteri di liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, laddove la differenza di importo pensionistico, decurtata e non riscossa, ne esclude il carattere di importo ‘pagabile’. Trattasi di un indirizzo consolidato (cfr. Cass. n.449/23, e n.688/23) e condiviso dal collegio.
Né vale in contrario richiamare l’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, secondo cui «Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’art.24 l. n.88/89, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni». La norma riguarda l’ipotesi di riliquidazione della pensione, non già l’indebita trattenuta per l’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata (Cass. 4604/23). Invero, dalla fattispecie di credito consequenziale all’indebita ritenuta differisce l’ipotesi in cui i ratei arretrati -ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo dirittosi prescrivono in cinque anni (si rammenti Cass. n.31527/2022: «La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle
somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale»). La norma si riferisce, inoltre, alle prestazioni della gestione dell’art. 24 L.88/89 (gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti) dettata in tema di ristrutturazione degli istituti INPS e INAIL; dato il differente ambito applicativo, non si pone, dunque, a mente dell’art. 3 Cost., alcun problema di eventuale disparità di trattamento fra pensionati INPS e pensionati di Casse professionali privatizzate, vertendosi in ipotesi di trattenute operate in virtù di diverso titolo contributivo.
6. Sul quarto e quinto motivo di ricorso, premesso che l’impugnata sentenza non ha condiviso l’argomento della decorrenza degli interessi dalla domanda (a cui si riferisce l’ipotesi dell’art. 16 L.412/91 valorizzando l’aspetto sanzionatorio dell’inefficiente azione amministrativa) devesi escludere la centralità della doglianza rispetto al tardivo od omesso adempimento di una prestazione previdenziale, vertendosi, nel caso di specie, in una indebita decurtazione in virtù di illegittima imposizione contributiva; gli interessi legali, come previsto dall’art. 429 comma terzo, c.p.c., competono dalla maturazione del diritto, decorrenti dal giorno in cui la prestazione (rateo) non è stata interamente erogata e non già dal momento della domanda (amministrativa o giudiziale) con la quale si invochi l’unitario trattamento della prestazione alla cui erogazione il pensionato ha già conseguito la titolarità. La pronuncia impugnata è conforme al diritto, in linea con quanto già affermato da questa Corte (ord. 12122/2023), secondo la quale «al pensionato, infatti, per effetto dell’accoglimento della domanda, competono gli interessi legali dalla data di maturazione del diritto (coincidente con i prelievi effettuati dalla Cassa) fino al momento dell’effettivo pagamento, in base ad un
consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte (da ultimo confermato da Cass. 13642 del 2022) che, con riguardo agli accessori, afferma che i crediti previdenziali hanno natura unitaria; gli accessori costituiscono componenti essenziali di un’unica prestazione nel senso che il credito maggiorato di tali elementi, rappresenta, nel tempo, l’originario credito nel suo reale valore man mano aggiornato (Cass. n. 12023 del 2003; conf. Cass. n. 18558 del 2014; Cass. n. 2563 del 2016)» ivi richiamando fattispeci e analoghe già esaminate e l’arresto delle Sezioni Unite (n. 6928/2018) con il quale si è ribadito che dalla affermata natura previdenziale (del credito) deriva che agli accessori non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria, e ne consegue che «gli interessi devono essere calcolati sul capitale rivalutato con scadenza periodica, dal momento dell’inadempimento al soddisfacimento del credito» (nello stesso senso, Cass. 35113/2022 e 4362/2023).
La soluzione cui si perviene si pone in continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale, non essendovi spazio per una sua rimeditazione. Numerose altre pronunce sono state emesse dalla Corte, aderenti alla soluzione prospettata, e non emergono ragioni per discostarsene (cfr. ex multis ord. Cass. n.6170/2024, n.24404/2024, n.24023/24, n.24021/24).
Conclusivamente il ricorso va respinto con condanna alle spese secondo soccombenza, liquidate in ragione del valore indeterminato di lite. Sussistono, infine, i presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale del 29