Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9695 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9695 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15102-2024 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME
– intimato – avverso la sentenza n. 693/2023 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/01/2024 R.G.N. 401/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Contributo solidarietà
R.G.N. 15102/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 13/02/2025
CC
RILEVATO CHE
La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti impugna la sentenza n. 693/2023 della Corte d’appello di Venezia che ha respinto il gravame avverso la pronuncia del Tribunale di Vicenza che aveva accertato l’illegittimità delle tratt enute operate sulla pensione di NOME COGNOME a titolo di contributo di solidarietà e condannato la Cassa a restituirgli gli importi prelevati a tale titolo nei limiti della prescrizione decennale.
Propone quattro motivi di ricorso, illustrati da memoria.
NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva in questa sede.
A seguito di richiesta di decisione depositata dalla Cassa nei confronti della proposta di definizione accelerata del presente giudizio, è stata fissata l’odierna adunanza camerale, nella quale il collegio ha riservato il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
La Cassa propone quattro motivi di ricorso, tutti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ..
I)Violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 509/1994, dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, anche come modificato dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006 ed autenticamente interpretato dall’art. 1, comma 488, della l egge n. 147/2013, dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011, conv. nella legge n. 214/2011, degli artt. 2, 3 e 23 Cost., anche in relazione e combinato disposto alle delibere della Cassa nn. 4/2008, 3/2013 e 10/2017, emanate anche in virtù dell’art. 22 del Regolamento di Disciplina del Regime
Previdenziale approvato con D.M. 14.07.2004, nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., laddove la sentenza impugnata ha ritenuto illegittimo il contributo di solidarietà applicato sulla pensione del dott. COGNOME
II)In subordine, violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 24, lett. b), del D.L. n. 201/2011 ove la sentenza non ha ritenuto applicabile il contributo di solidarietà ivi previsto per il biennio 2012-2013.
III)Sempre in subordine, violazione o falsa applicazione dell’art. 19, comma 3, della legge n. 21/1986, dell’art. 2948, n. 4, cod. civ., dell’art. 47bis del d.p.r. n. 639/1947 nonché degli artt. 3 e 38 Cost., ove la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezi one di prescrizione quinquennale.
IV)Ancora in subordine, violazione o falsa applicazione dell’art. 16, comma 6, della legge n. 412/1991 nonché degli artt. 1224 cod. civ. e 2033 cod. civ. laddove la sentenza impugnata fa decorrere gli interessi dalla data dei singoli prelievi.
Deve preliminarmente osservarsi che, secondo le SSUU di questa Corte (n. 9611/2024), «nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione
con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa».
Tanto premesso, si osserva.
Il primo motivo, che tende a dimostrare la legittimità del contributo imposto dalla Cassa ricorrente, risulta manifestamente infondato alla stregua dell’oramai consolidato orientamento di questa Corte che ha offerto esaustiva risposta a tutti gli argomenti addotti a sostegno del ricorso, in controversie del tutto sovrapponibili a quella odierna, anche in rapporto alle previsioni del d.l. n. 201 del 2011, essendosi chiarito che gli enti previdenziali privatizzati (come, nella specie, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti) non possono adottare, sia pure in funzione dell’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione, atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del pro rata e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost., la cui imposizione è riservata al legislatore.
Cassazione n. 603/2019, ex multis , ha poi rilevato che «appare utile, al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, richiamare, altresì, la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dalla L. n. 147 del 2013, art.
1, comma 486, ha affermato che si è in presenza di un “prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)”; ed è, dunque, la mancata copertura della previsione di legge, richiesta dall’art. 23 Cost., che rende illegittima la previsione della ritenuta per cui è causa; sulla base delle considerazioni che precedono deve concludersi nel senso che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità, per le Casse, di emanare un contributo di solidarietà in quanto, come si è detto, esso, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un “criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore».
Detto orientamento, iniziato con Cass. n. 25212/2009 e proseguito con, ex multis , Cass. n. 31875/2018, n. 32595/2018, n. 423/2019, n. 603/2019, n. 982/2019, n. 16814/2019, n. 28054/2020, n. 6301/2022, n. 6897/2022, n. 18565/2022; n. 18566/2022; n. 18570/2022; n. 29382/2022; n. 29535/2022; n. 29523/2022; n. 9886/2023, n. 9893/2023, n. 9914/2023, n. 10047/2023, n. 12122/2023, n. 6170/2024, n. 7489/2024, n. 24403/2024, n. 24605/2024, n. 24667/2024 è consolidato e va confermato.
Neppure ha pregio la doglianza di cui al secondo motivo.
In sostanza la Cassa afferma che, laddove ritenuto illegittimo il contributo di solidarietà introdotto con le delibere per cui è causa, allora spetterebbe per gli anni 2012 e 2013 quanto meno il contributo di cui all’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011 , conv. nella legge n. 214/2011, come modificato dal d.l. n. 216/2011, in forza del quale: ‘In considerazione dell’esigenza
di assicurare l’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, gli enti e le forme gestorie di cui ai predetti decreti adottano, nell’esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 30 settembre 2012, misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni. Le delibere in materia sono sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti secondo le disposizioni di cui ai predetti decreti; essi si esprimono in modo definitivo entro trenta giorni dalla ricezione di tali delibere.
Decorso il termine del 30 settembre 2012 senza l’adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza dal 1° gennaio 2012:
le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo sull’applicazione del pro-rata agli iscritti alle relative gestioni; b) un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell’1 per cento’.
La Corte veneziana ha così motivato il rigetto: «il Collegio ritiene dirimente rilevare che il motivo, per come formulato, è infondato in quanto nella fattispecie sub iudice si controverte in ordine alla (il)legittimità del contributo di solidarietà introdotto in via regolamentare dalla Cassa (peraltro di diversa entità) e la disposizione di legge richiamata non introduce nessun automatismo nell’applicazione del contributo ex lege laddove i regolamenti della Cass asiano in tutto i in parte illegittimi. In ogni caso la Cassa non ha allegato e provato i presupposti di applicazione del predetto contributo di solidarietà ex lege dell’1% per il 2012/2013.
Difetta, innanzitutto, il presupposto normativo dell”inerzia’, alla data del 30 settembre 2012, della Cassa nell’adozione di misure volte ad assicurare ‘l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni’ : la Cassa doveva allegare in modo specifico e provare che entro il termine del 30 settembre 2012 non ha adottato provvedimenti volti ad assicurare l’equilibrio in un arco temporale di cinquanta anni, ovvero che è intervenuto il parere negativo dei Ministeri vigilanti. Onere che non ha assolto.
Né al predetto presupposto normativo risulta equiparabile l’emanazione di un regolamento illegittimo in punto previsione, per via regolamentare, del contributo di solidarietà (non configurandosi, per ciò solo, una situazione di ‘inerzia’), questione affrontata dal primo giudice con statuizione sulla quale la Cassa (in violazione dell’art. 434 cpc) non ha formulato uno specifico motivo di appello.
Inoltre, la Cassa avrebbe dovuto allegare e provare una situazione di non equilibrio nell’orizzonte temporale di riferimento previsto dalla legge del 2011 ai fini dell’applicazione, quale misura sussidiaria, del contributo ex lege di cui si discorre: onere, del pari, non assolto.
In tale prospettiva, l’illegittimità del regolamento della Cassa nella parte in cui introduce il contributo di solidarietà non implica, per ciò solo (in difetto di specifiche allegazioni e prove da parte della Cassa), che non sussista la situazione di non equilibrio nell’arco temporale di riferimento normativo.
Infine, ad abundantiam , il Collegio rileva che il citato art. 24 è disposizione non ‘ autoapplicativa ‘ ma che necessita di emissione di un atto in tal senso da parte dell’Ente, presupposto che nella fattispecie non è stato allegato e provato».
La Cassa contesta le rationes decidendi .
Premesso che, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza, o inammissibilità, delle censure mosse ad una delle ‘ rationes decidendi ‘ rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493; in senso analogo già Cass. Sez. Un., sent. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2012, n. 2108), resiste in particolare alle censure il percorso argomentativo della sentenza impugnata laddove motiva il rigetto della domanda valorizzando l’omessa allegazione degli elementi costitutivi della fattispecie di legge. Deve convenirsi con l’affermazione per cui l’inapplicabilità del contributo dell’1% di cui all’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011 discende dal fatto che al presupposto normativo della mancata adozione da parte delle Casse privatizzate di delibere funz ionali a garantire l’equilibrio di gestione entro una data prefissata non è equiparabile l’emanazione di un regolamento poi ritenuto illegittimo in punto previsione, per via regolamentare, del contributo di solidarietà, non configurandosi, per ciò solo, un a situazione di ‘inerzia’.
La norma de qua introduce un contributo di solidarietà dell’1%, limitatamente agli anni 2012 e 2013, ancorandolo a due presupposti alternativi, specificatamente identificati nella mancata adozione da parte delle Casse, entro il 30 settembre 2012, di misure volte ad assic urare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche oppure
nell’emissione di parere negativo da parte dei Ministeri vigilanti sulle delibere eventualmente adottate (entro trenta giorni dalla loro ricezione).
Come già osservato da questa Corte ( ex multis Cass. n. 24651/2024, n. 24403/2024), il dato letterale non lascia spazio alla lettura proposta dalla Cassa, che vorrebbe equiparare all’inerzia degli Enti nell’intervenire ex ante sul rapporto entrate/spesa l’ipotesi in cui detti interventi siano stati effettuati ma i relativi provvedimenti siano stati ex post dichiarati illegittimi, poiché, in tal caso, non si può configurare una situazione di ‘inattività’ degli Enti stessi, nei termini richiesti dal legislatore.
Del resto, l’inerzia è condizione che la stessa Cassa ha espressamente escluso sin dalle fasi di merito nonché con la proposizione del presente ricorso, avendo resistito, prima, ed agito, poi, proprio sul presupposto di aver adottato -con l’introduzione d ella riforma strutturale del sistema previdenziale mediante il passaggio al sistema contributivo e con l’imposizione del contributo di solidarietà in via regolamentare -misure necessarie per la salvaguardia dell’equilibrio di bilancio a lungo termine, dirette ad assicurare la sostenibilità finanziaria del regime previdenziale dei propri iscritti (attraverso il Regolamento di disciplina e le delibere attuative).
La sentenza impugnata non incorre neppure nei vizi denunciati con la terza doglianza, che prospetta l’applicabilità della prescrizione quinquennale.
Va nuovamente richiamato l’orientamento di legittimità consolidato sul punto.
Come evidenziato fin da Cass. n. 31527/2022, in cui si controverteva di un caso analogo al presente, la prescrizione
quinquennale prevista dall’art.2948, n. 4, cod. civ. così come dall’art.129 del R. D. L. n. 1827 del 1935 richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico (cioè con o senza applicazione del contributo di solidarietà), il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c.
Né vale in contrario richiamare l’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, secondo cui ‘si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’art.24 l. n.88/89, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni.’
Questa Corte ha affermato che tale norma riguarda l’ipotesi di riliquidazione della pensione, mentre il caso di specie concerne l’indebita trattenuta derivante dall’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata ( ex plurimis , Cass. n. 4604/2023).
Questo indirizzo si è consolidato ( ex multis, Cass. n. 31641/2022, n. 31642/22, n.449/2023, n.688/2023, Cass. n. 4263/2023, n. 4314/2023, n. 4349/2023, n. 4362/2023, n. 4604/2023, n. 6170/2024) ed è condiviso dal Collegio.
Dato il differente ambito applicativo dell’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, non ha ragion d’essere alcuna questione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art.3 Cost.
È infine infondato anche l’ultimo motivo, relativo alla decisione sulla decorrenza degli interessi maturati sulle somme trattenute.
Sul punto si richiama, ex multis, Cass. n. 36560/2022: «Cass. n.31642 del 2022 ha confermato il principio secondo il quale al pensionato, per effetto dell’accoglimento della domanda, competono gli interessi legali dalla data di maturazione del diritto (coincidente con i prelievi effettuati dalla Cassa) fino al momento dell’effettivo pagamento, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte che, con riguardo agli accessori, afferma che i crediti previdenziali hanno natura unitaria; gli accessori costituiscono componenti essenziali di un’unica prestazione nel senso che il credito “maggiorato di tali elementi, rappresenta, nel tempo, l’originario credito nel suo reale valore man mano aggiornato” (Cass. n. 12023 del 2003; conf. Cass. n. 18558 del 2014; Cass. n. 2563 del 2016). La Corte ha, peraltro, già esaminato analoghe fattispecie (v. Cass. nn. 16813 e 16814 del 2019) e richiamato, a fondamento della correttezza del decisum dei giudici di merito, anche un più recente arresto delle sezioni unite (Cass., sez. un., n. 6928 del 2018) le quali, occupandosi di prestazioni di natura previdenziale, per quel che qui rileva, hanno nuovamente ribadito che “(…) Dalla affermata natura previdenziale (del credito) (…) deriva (…) che agli accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria (…) consegue che gli interessi devono essere calcolati sul capitale rivalutato con scadenza periodica, dal momento dell’inadempimento al soddisfacimento del credito (…)» (cosi Cass. n. 36560/2022;
idem n. 35986/2022, n. 36000/2022, n. 36002/2022, n. 687/2023, n. 3687/2023, n. 3990/2023; n. 12122/2023).
Le ulteriori argomentazioni svolte in seno alla memoria depositata dalla Cassa in vista della presente adunanza non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati nei precedenti casi in cui questa Corte si è pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ..
Alla inammissibilità non fa seguito condanna alle spese, stante l’assenza di attività difensiva da parte dell’intimato.
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., contenendo l’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite: «In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380 bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, c.p.c. in favore della cassa delle ammende – nel caso in cui egli abbia formulato istanza di decisione (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380 bis c.p.c.) e la Corte abbia definito il giudizio in conformità alla proposta – deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso
tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori» (Cass. S.U. n. 27195/2023 e n. 27433/2023, Cass. n.27947/2023).
Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in € 2500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, attesa la declaratoria di inammissibilità del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente a pagare € 2500,00 in favore della Cassa delle Ammende;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, attesa la declaratoria di inammissibilità del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 13 febbraio