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Contributi minimi professionisti: obbligo anche senza reddito

Un ente previdenziale di categoria ha impugnato una sentenza che esonerava un professionista dal versamento dei contributi minimi a causa della sua attività sporadica. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la semplice iscrizione all’albo professionale è sufficiente a generare l’obbligo di versare i contributi minimi professionisti, a prescindere dalla continuità dell’attività o dalla produzione di un reddito.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contributi Minimi Professionisti: Iscrizione all’Albo Obbliga al Versamento

L’obbligo di versare i contributi minimi professionisti alla propria cassa di previdenza sorge con la semplice iscrizione all’albo, anche se l’attività è svolta in modo occasionale e senza produrre reddito. Questo è il principio consolidato ribadito dalla Corte di Cassazione con una recente ordinanza, che riforma una decisione di merito e chiarisce la portata delle normative post-privatizzazione degli enti previdenziali di categoria.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dall’opposizione di un geometra a una cartella di pagamento con cui la sua Cassa di Previdenza di categoria gli richiedeva i contributi previdenziali per il triennio 2010-2012. Il professionista sosteneva di non dover versare tali somme in quanto la sua attività era stata meramente sporadica (limitata a pochi atti professionali in due anni su tre) e non abituale. Inoltre, risultava iscritto a un’altra forma di previdenza obbligatoria (INPS).

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione al geometra. In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto che l’esercizio occasionale della professione e la contemporanea iscrizione all’INPS non integrassero il requisito dell’abitualità, considerato necessario per far scattare l’obbligo contributivo. Di conseguenza, aveva respinto l’appello della Cassa.

L’obbligo dei contributi minimi professionisti secondo la Cassazione

L’Ente previdenziale ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali: la violazione delle norme che regolano l’iscrizione e la contribuzione alla Cassa e l’errata applicazione della normativa che, secondo la Corte di merito, richiederebbe un esercizio continuativo della professione per l’insorgere dell’obbligo.

La Corte di Cassazione ha accolto entrambi i motivi, ritenendoli fondati e strettamente connessi, e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ribadito un principio di diritto ormai consolidato nella sua giurisprudenza. Ai fini dell’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa di previdenza di categoria e del conseguente pagamento della contribuzione minima, la condizione necessaria e sufficiente è l’iscrizione all’albo professionale.

Secondo gli Ermellini, sono del tutto irrilevanti:

1. La natura occasionale o sporadica dell’esercizio della professione.
2. La mancata produzione di un reddito professionale.

La Corte ha spiegato che la normativa successiva alla privatizzazione delle casse professionali (in particolare il D.Lgs. 509/1994 e la L. 335/1995) ha concesso a questi enti un’autonomia gestionale e normativa finalizzata a garantirne l’equilibrio finanziario a lungo termine. In questo contesto, le casse hanno la facoltà di stabilire, attraverso i propri statuti e regolamenti, una presunzione di esercizio dell’attività per tutti gli iscritti all’albo. Tale presunzione fa scattare l’obbligo del versamento di un contributo minimo solidaristico, essenziale per la sostenibilità del sistema.

La stessa iscrizione ad altra gestione previdenziale (come l’INPS) non è di per sé una causa di esclusione dall’obbligo contributivo verso la cassa di categoria, in virtù del principio di universalizzazione delle tutele previdenziali. Per ogni attività lavorativa o professionale deve corrispondere una specifica copertura assicurativa.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza l’autonomia degli enti previdenziali privatizzati e conferma un orientamento giurisprudenziale rigoroso: l’iscrizione all’albo professionale comporta automaticamente l’iscrizione alla relativa Cassa e l’obbligo di versare i contributi minimi professionisti. Questa ordinanza serve da monito per tutti i professionisti iscritti a un albo: la scelta di mantenere l’iscrizione, anche a fronte di un’attività lavorativa ridotta o inesistente, comporta oneri contributivi soggettivi minimi che non possono essere elusi. La cancellazione dall’albo rimane l’unica via per sottrarsi a tale obbligo, qualora non si intenda esercitare la professione.

L’iscrizione all’albo professionale obbliga a versare i contributi minimi anche se non si esercita la professione con continuità?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la sola iscrizione all’albo professionale è condizione sufficiente per far sorgere l’obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza e il conseguente pagamento dei contributi minimi.

Se un professionista ha un’attività sporadica e non produce reddito, deve comunque pagare i contributi minimi professionisti?
Sì. La Corte ha stabilito che la natura occasionale dell’esercizio della professione e la mancata produzione di reddito sono irrilevanti ai fini dell’obbligo di versare la contribuzione minima.

L’iscrizione a un’altra forma di previdenza obbligatoria (come l’INPS) esonera dal pagamento dei contributi alla cassa di categoria?
No, la mera iscrizione ad un’altra gestione previdenziale non è di per sé ostativa all’insorgere degli obblighi contributivi nei confronti della cassa di previdenza di categoria, in base al principio di universalizzazione delle tutele.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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