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Contributi istruttori sportivi: quando sono dovuti?

Una società sportiva dilettantistica ha contestato la richiesta di versamento dei contributi per i propri istruttori, sostenendo di averne diritto all’esenzione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la semplice iscrizione al registro del CONI non è sufficiente a garantire l’esonero. La Corte ha chiarito che l’onere di dimostrare la natura effettivamente dilettantistica e non commerciale dell’attività ricade sulla società stessa. In assenza di tale prova, l’obbligo di versare i contributi istruttori sportivi rimane valido.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contributi Istruttori Sportivi: La Cassazione chiarisce quando l’esenzione non si applica

Il regime fiscale e previdenziale per le associazioni e società sportive dilettantistiche (ASD e SSD) rappresenta un tema di grande attualità, specialmente per quanto riguarda i contributi istruttori sportivi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’iscrizione al registro del CONI, da sola, non è sufficiente a garantire l’esenzione dal versamento dei contributi previdenziali per i collaboratori. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Società Sportiva e la Richiesta di Contributi

Una Società Sportiva Dilettantistica (SSD) si è opposta a degli avvisi di addebito emessi da un ente previdenziale, con cui le veniva richiesto il pagamento dei contributi per le prestazioni lavorative svolte dagli istruttori del suo centro sportivo. La SSD sosteneva che tali attività, essendo di natura dilettantistica, dovessero beneficiare del regime di esenzione previsto dalla legge.

Mentre il tribunale di primo grado aveva dato ragione alla società, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, accogliendo le ragioni dell’ente previdenziale. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha dovuto pronunciarsi sulla corretta interpretazione dei requisiti per l’accesso al regime agevolato.

La Decisione della Corte di Cassazione e i contributi istruttori sportivi

La Suprema Corte ha respinto il ricorso della società sportiva, confermando la decisione della Corte d’Appello. La sentenza stabilisce che l’obbligo contributivo sussiste, in quanto la società non è riuscita a fornire la prova della natura genuinamente dilettantistica della propria attività e delle prestazioni rese dai suoi istruttori.

Le Motivazioni: Iscrizione al CONI non basta

Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui i giudici hanno chiarito i limiti dell’esenzione contributiva. L’analisi della Corte si è concentrata su due aspetti cruciali: la natura dell’attività svolta dalla società e l’onere della prova.

Il Principio: Oltre la Forma, la Sostanza

La Corte ha sottolineato che l’iscrizione al registro del CONI o l’affiliazione a federazioni sportive nazionali costituisce un requisito formale necessario, ma non sufficiente, per beneficiare delle agevolazioni. La legge richiede una verifica sostanziale dell’effettiva natura “dilettantistica” e non lucrativa del soggetto che eroga i compensi. Non è possibile invocare un’esenzione automatica basandosi solo su un riconoscimento formale. L’attività deve essere concretamente svolta senza fini di lucro e in conformità con quanto dichiarato nello statuto.

L’Onere della Prova sui contributi istruttori sportivi

Un altro punto fondamentale chiarito dalla Cassazione riguarda l’onere probatorio. È la società o l’associazione che invoca l’esenzione a dover dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti previsti dalla legge. Non spetta all’ente previdenziale provare la natura commerciale dell’attività, ma al contribuente dimostrare la sua natura dilettantistica. Nel caso di specie, la società non ha fornito prove adeguate a sostegno della sua tesi.

Attività Commerciale vs. Dilettantistica

La Corte territoriale, con una decisione confermata dalla Cassazione, ha ritenuto che l’attività della società avesse carattere prettamente commerciale. Questa conclusione si è basata su diversi elementi emersi durante gli accertamenti ispettivi:
* Le prestazioni degli istruttori erano svolte in via sistematica e continuativa.
* Per alcuni istruttori, i compensi ricevuti rappresentavano la loro unica fonte di reddito.
* I clienti del centro sportivo non partecipavano a gare o manifestazioni agonistiche, ma usufruivano di servizi (corsi di nuoto, fitness, etc.) a fini puramente commerciali.

Questi fattori hanno portato i giudici a qualificare il rapporto di lavoro come professionale e l’attività della società come imprenditoriale, escludendo così l’applicabilità del regime di favore per i contributi istruttori sportivi.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per ASD e SSD

Questa ordinanza della Cassazione rappresenta un monito importante per tutto il mondo dello sport dilettantistico. Le ASD e le SSD non possono fare affidamento unicamente sulla loro qualifica formale per sentirsi al riparo da contestazioni di natura fiscale e previdenziale. È indispensabile che l’intera gestione operativa sia concretamente e dimostrabilmente improntata ai principi del non profit e del dilettantismo. Le società devono essere in grado di provare, in caso di controllo, che la loro attività non maschera finalità commerciali e che i rapporti con i collaboratori rientrano effettivamente nei canoni previsti per le prestazioni sportive dilettantistiche.

L’iscrizione di una società sportiva al registro del CONI è sufficiente per ottenere l’esenzione dal versamento dei contributi per i propri istruttori?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’iscrizione al registro del CONI o l’affiliazione a federazioni sportive non è una condizione sufficiente. È necessaria una verifica sostanziale per accertare che l’attività svolta sia effettivamente dilettantistica e senza scopo di lucro.

A chi spetta l’onere di provare che l’attività è dilettantistica e ha diritto all’esenzione contributiva?
L’onere della prova ricade sulla società o associazione sportiva che invoca l’esenzione. Deve essere essa a dimostrare di possedere i requisiti sostanziali (e non solo formali) previsti dalla legge, come lo svolgimento effettivo di attività senza fine di lucro.

Quali elementi possono far qualificare l’attività di una società sportiva come commerciale, escludendola dall’esenzione?
Elementi come la prestazione di servizi svolta in modo sistematico e continuativo, il fatto che i compensi costituiscano la principale fonte di reddito per gli istruttori e l’assenza di una finalità agonistica per i clienti possono indicare una natura commerciale dell’attività, facendo venir meno il diritto all’esenzione dai contributi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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