Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23491 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23491 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16245-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 298/2022 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/04/2022 R.G.N. 600/2019;
Oggetto
R.G.N.16245/2022
COGNOME
Rep.
Ud 11/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
INPS impugna sulla base di un unico motivo la sentenza n. 298/2022 della Corte d’appello di Catanzaro che ha riformato la pronuncia del Tribunale di Crotone che aveva respinto il ricorso di NOME COGNOME volto ad ottenere la condanna dell’INPS a computare , ai fini della determinazione dell’importo della pensione di anzianità liquidatagli il 15 aprile 2014, anche i contributi versati al Fondo integrativo di cui all’art. 7 legge n. 1084/1971, quanto meno sino al 31 dicembre 2011, e ad erogare le differenze corrispondentemente dovutegli.
Resiste NOME COGNOME con controricorso, illustrato da memoria.
Chiamata la causa all’adunanza camerale dell’11 giugno 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
INPS censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 16, n. 3, della legge n. 1084/1971 come sostituito dal comma 10 dell’art. 1 della legge n.61/1987 ed interpretato autenticamente dalla legge n. 559/1988.
La Corte territoriale ha motivato come segue.
-Il ricorrente aveva lavorato per la RAGIONE_SOCIALE che aveva versato, sin dal 1980, i contributi al fondo integrativo di cui all’art. 7 l. 1084/1971, versamenti che lo RAGIONE_SOCIALE aveva continuato a titolo volontario a seguito di espressa
autorizzazione dell’INPS, dal 1 ottobre 2007; dal 2008 al 2013 era stato collocato in mobilità continuando i versamenti; il 3 marzo 2014 aveva fatto domanda di pensione di anzianità con salvaguardia ex legge n. 214/2011; l’INPS l’aveva liquidata senza considerare la contribuzione integrativa; il 12 febbraio 2015 egli aveva chiesto la pensione complessiva che riteneva dovuta e INPS aveva comunicato l’impossibilità di procedere a causa dell’interruzione del versamento al Fondo prima della maturazione del diri tto, perché l’interruzione dei versamenti era da intendersi come manifestazione di volontà di non avvalersi della facoltà di godere del trattamento integrativo.
-L’art. 16 della legge n. 1084/1971 modificato dalla legge n. 61/1987, stabilisce che ‘Gli iscritti che cessino dal prestare servizio alle dipendenze di aziende private del gas hanno diritto alla pensione complessiva di cui alla presente legge quando: 1) abbiano compiuto il sessantesimo anno di età e possano far valere almeno quindici anni di contribuzione al fondo; 2) siano riconosciuti invalidi secondo le norme in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, a qualunque età, dopo almeno cinque anni di contribuzione o, dopo qualunque periodo, se l’invalidità sia dovuta ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, sempre che la domanda di pensione sia presentata entro sei mesi dalla cessazione dal servizio; 3) non abbiano compiuto il sessantesimo anno di età, ma cessino dal servizio ed abbiano diritto alla pensione di anzianità secondo le norme vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria’.
-L’art.1 della legge n. 559/1988 lo ha interpretato autenticamente, stabilendo che il numero 3 ‘si interpreta nel senso che la disposizione si applica agli iscritti che cessino dal servizio, pur non avendo compiuto il sessantesimo anno di età,
ma possano far valere almeno 15 anni di contribuzione al fondo ed abbiano diritto alla pensione di anzianità secondo le norme vigenti sull’assicurazione generale obbligatoria”.
-La domanda va, quindi, accolta, posto che lo COGNOME, al 31 dicembre 2011 vantava già 31 anni di contribuzione al Fondo, anche a non voler tenere conto dei contributi versati oltre il termine perentorio di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 184/1997 ed es sendo pacifico che aveva diritto alla pensione di anzianità di cui alla cd prima salvaguardia ex art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011 convertito nella legge n. 214/2011, ‘per come peraltro espressamente risultante dalla comunicazione di liquidazione del trattamento pensionistico del 30.3.2015’.
Il motivo è strutturato quale violazione dell’art. 16 della legge n. 1084/1971 come sostituito nel 1987 ed autenticamente interpretato nel 1988: di fatto INPS sostiene che al 31 dicembre 2011 lo COGNOME aveva cessato il rapporto di lavoro (secondo il dictum dell’art. 16) e non era pacifico che a quella data avesse maturato il diritto alla pensione di anzianità secondo le norme
vigenti sull’AGO, con la conseguenza che sarebbe stato violato il disposto del n. 3 dell’art. citato.
Il motivo è inammissibile: INPS sostiene che al 31.12.2011, data considerata come cessazione del rapporto di lavoro, lo COGNOME non aveva maturato i requisiti di età e di contribuzione di cui all’art. 16 cit. ma non si confronta appieno con il decisum e non esplicita perché il ricorrente non avesse diritto alla pensione di anzianità secondo le norme vigenti sull’Ago.
La Corte ha preso le mosse dalla premessa che, dal 2008 al 2013, il ricorrente era stato collocato in mobilità cd lunga e, per tutto il periodo, aveva continuato i versamenti al Fondo integrativo, sebbene ormai gestito dall’AG O.
Infatti, a seguito delle operazioni di separazione societaria imposte dalla legge, i versamenti erano continuati ex art. 38, comma 5, della legge n. 289/2002, in forza del quale ‘ I lavoratori iscritti al Fondo integrativo dell’assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti, a favore del personale dipendente dalle aziende private del gas di cui alla legge 6 dicembre 1971, n. 1084, e successive modificazioni, che, per effetto delle operazioni di separazione societaria in conseguenza degli obblighi derivanti dal decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, ovvero per la messa in mobilità a seguito di ristrutturazione aziendale, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro con le predette aziende non abbiano maturato il diritto alle prestazioni pensionistiche del Fondo stesso, hanno facoltà, in presenza di contestuale contribuzione figurativa, volontaria od obbligatoria, nell’assicurazione generale obbligatoria, di proseguire volontariamente il versamento dei contributi previdenziali nel Fondo, fino al conseguimento dei requisiti per le predette prestazioni, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e comunque senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato ‘ .
NOME COGNOME aveva così maturato in totale 31 anni e 11 mesi di versamenti: vi era però un ‘vuoto’ di tre mesi, per il ‘mancato versamento del bollettino del primo trimestre 2012, da addebitare esclusivamente alla banca, cui aveva delegato i pagamenti’.
In sede amministrativa INPS aveva motivato il provvedimento di reiezione proprio facendo leva sulla interruzione dei versamenti al fondo, interruzione che, secondo l’Istituto, doveva essere intesa come manifestazione di volontà di non avvalersi della facoltà di godere del trattamento integrativo.
Sulla base di tale pacifica premessa e riportate le norme regolatrici, la Corte ha cristallizzato al 31 dicembre 2011 i versamenti al Fondo che considera rilevanti al fine del quantum del diritto, ribadendo, però, che detti versamenti non sono terminati a quella data ma sono, invece, proseguiti sino al 2013, con l’interruzione di un solo trimestre.
Tanto che, afferma consequenzialmente e correttamente, non sussisteva ‘alcuna intellegibile ragione per cui l’interruzione dei versamenti al fondo integrativo in epoca anteriore alla maturazione del diritto al collocamento in quiescenza dovesse essere intesa quale rinuncia alla facoltà di avvalersi dei contributi integrativi’.
Tale parte motiva, non interessata dal motivo di censura, è conforme ai principi più volte espressi da questa Corte, come, ex multis , Cass. n. 26055/2023, n. 3575/2022, n. 29398/2022, per cui «la perentorietà del termine per effettuare i versamenti non incide sulla facoltà di proseguire volontariamente i versamenti per il periodo successivo, fino al momento della
maturazione della pensione, incidendo al più solo sul versamento del trimestre in questione», aggiungendo, soprattutto che, contrariamente all’assunto dell’Istituto, «la prestazione integrativa resta condizionata solo al completamento dei versamenti per il periodo minimo complessivo richiesto» (indiscutibilmente sussistente nel caso di specie).
Pertanto, prosegue la Corte, utilizzando anche solo i contributi versati al Fondo alla data del 31 dicembre 2011, il sig. COGNOME vantava ben 31 anni di versamenti.
Era inoltre presupposto ‘pacifico e non contestato’ che avesse diritto alla pensione di anzianità di cui alla cd prima salvaguardia ex art. 24, comma 14, del d.l. n. 201/2011 convertito nella legge n. 214/2011, circostanza che i Giudici territoriali hanno ricavato altresì dall’apprezzamento della documentazione in atti, scrivendo, infatti, che ciò era ‘espressamente risultante dalla comunicazione di liquidazione del trattamento pensionistico del 30.3.2015’ di tal chè il 15 aprile 2014 l’Ufficio INPS di Crotone aveva comunicato la liquidazione della pensione con i requisiti agevolati previsti per i lavoratori salvaguardati (pag. 4 sent.).
Di conseguenza, la Corte ha accolto la domanda, precisando che ciò avveniva ‘con riferimento a tutti i contributi versati al fondo integrativo fino alla data suindicata’.
Con tale motivazione la censura dell’Istituto non si confronta appieno perché, a fronte delle complessive argomentazioni sopra riportate, si limita all’affermazione generica che, ‘alla data di cessazione del rapporto di lavoro (31.12.2011)’ (che, si è visto, non essere tale), lo COGNOME non aveva maturato il diritto alla pensione di anzianità.
Il ricorso è, pertanto, inammissibile, con condanna alle spese secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 3000,00 per compensi, € 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, attesa la declaratoria di illegittimità del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 giugno