Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23340 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23340 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16532-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 743/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 27/12/2019 R.G.N. 336/2019;
Oggetto
Gestione commerciantisocio
R.G.N. 16532/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 12/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Salerno, in accoglimento del gravame proposto da COGNOME NOME sulla sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione proposta avverso avviso di addebito emesso da INPS per contributi relativi alla gestione commercianti inerenti ad attività espletata in due società (NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e NOME RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE negli anni 2008, 2009 e 2010, ha ritenuto non provato l’accertamento tributario presupposto e, di conseguenza, ingiustificata la richiesta di contributi contenu ta nell’avviso di addebito.
La Corte territoriale, premesso che in primo grado l’opposizione era stata respinta poiché la contribuzione richiesta da INPS atteneva al ricalcolo dei contributi effettuato sulla base dei redditi accertati dall’Agenzia delle Entrate coinvolgendo la verifi ca dei redditi dichiarati dall’COGNOME in qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE e che il diritto dell’INPS era sorto a seguito dell’accertamento del reddito d’impresa compiuto dall’Agenzia delle Entrate, ha accolto l’appello del contribuente poiché l’INPS non ave va provato la sussistenza dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate quale presupposto della richiesta di contribuzione a percentuale, mentre l’appellante aveva prodotto in giudizio certificazione dell’Agenzia delle Entrate attestante la regolarità fisca le alla data di presentazione dell’istanza (‘non risultano carichi pendenti’) ed ulteriore documentazione attestante l’inesistenza di un accertamento fiscale a carico dell’COGNOME, della s.r.l. e della s.n.c., con relative attestazioni che dal 2007 in poi nessuna delle due società aveva avuto accertamenti che
avessero prodotto variazioni dei redditi dichiarati. Non essendo provato, quindi, l’accertamento tributario presupposto, non si riteneva giustificata la richiesta di contributi contenuta nell’avviso di addebito, e la Corte annullava l’avviso impugnato.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’INPS affidandosi a due motivi, illustrati da memorie, a cui il contribuente resiste con controricorso.
La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 12/6/2025.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo di ricorso l’Istituto deduce, ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 c.p.c. e art. 24 Cost, per essere stata ritenuta non dovuta la contribuzione sulla base di un fatto che non costituisce presupposto della pretesa. Il ricorrente evidenzia che la richiesta di un ulteriore importo di contributi a percentuale non discende, invero, dall’accertamento di maggior reddito, ma da un controllo dell’INPS circa le risultanze della dichiarazione dei redditi ritualmente presentata, da cui era emerso che la base imponibile sulla quale era stato calcolato l’importo dei contributi versati era costituita soltanto dagli utili conseguiti da una delle società di cui era socio (la RAGIONE_SOCIALE per cui era iscritto alla gestione commercianti) mentre avrebbe dovuto comprendere pure quelli conseguiti quale socio accomandante regolarmente dichiarati al fisco (quale amministratore della società di persone non era iscritto ad alcuna forma di assicurazione obbligatoria); invero, i contributi a percentuale sono calcolati su tutti i redditi prodotti dall’assicurato, non solo quelli di socio di RAGIONE_SOCIALE, come riportato in memoria difensiva di
secondo grado. Sicché non assume alcun rilievo la circostanza che vi sia stato o meno un accertamento tributario. La questione da decidere era un’altra e cioè se dovevano essere assoggettati a contribuzione a percentuale anche gli utili percepiti dal lavoratore autonomo, quale socio accomandante, regolarmente dichiarati. La domanda non era stata correttamente qualificata, e la pretesa dell’istituto era s tata esclusa sulla base di documenti irrilevanti.
Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 L.n.613/66, art. 1 L.n.1397/60 come mod. da art. 1 co.203 L.n.662/96, e art. 2 L.n.1397/60, art. 3-bis d.l. n.384/92 come mod. da l.n.438/92 art. 1 L.n.233/1990, art. 3 co. 6 d.P.R. n.917/86, per essere stato ritenuto che in caso di lavoratore autonomo iscritto alla gestione commercianti, ai fini del calcolo dei contributi a percentuale non vadano computati gli utili derivanti dalla contemporanea partecipazione a società di persone.
Nelle memorie illustrative depositate in prossimità di udienza l’INPS rimarca che il thema decidendum non afferiva all’accertamento del maggior reddito accertato da Agenzia delle Entrate bensì al calcolo della base imponibile per i contributi ‘a percentuale’ ivi inclusi gli utili conseguiti come socio di RAGIONE_SOCIALE e rileva che i due redditi sono cumulabili (art. 3-bis d.l. n.384/92, e art. 6 co.3 d.P.R. n.917/86) come affermato dalla Corte Cost. sulla totalità dei redditi d’impresa ( sent. n. 354/2001 e Cass. 19156/2022 e 25867/2023).
Nel controricorso il contribuente evidenzia che nella memoria difensiva di primo grado l’INPS aveva riferito che l’Agenzia delle
Entrate aveva accertato la non congruità del reddito dichiarato, procedendo a variazione e comunicando a INPS per a deguamento ai fini contributivi. Eccepisce l’inammissibilità del ricorso teso a rivalutare i fatti storici con critica del ragionamento decisorio, ed a sollecitare un accertamento di merito con revisione delle risultanze probatorie; la mancanza di specificità; e contesta che la C orte d’appello abbia reso una diversa qualificazione della domanda avendo deciso, invece, su diversi elementi costitutivi della pretesa. Egualmente sarebbe infondato e inammissibile il secondo motivo, con violazione del ne bis in idem perché sui motivi di primo grado non v’ era stata censura in appello , e nel ricorso l’INPS introduce aspetti mai valutati o decisi prima. Nel merito dell’attività svolta, la società di persone si era limitata a locare immobili di proprietà ed a percepire canone di locazione, non rientrando nel settore terziario quale attività commerciale di scambio di prestazioni o servizi , per la quale ricorre l’ obbligo di iscrizione.
5. Il ricorso è fondato.
La questione oggetto di controversia riguarda la posizione del lavoratore autonomo che, iscritto alla gestione previdenziale in quanto svolga un’attività lavorativa per la quale sussistano i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, debba parametrare o meno il proprio obbligo contributivo a tutti i redditi percepiti nell’anno di riferimento, tenendo conto anche di quelli da partecipazione a società di persone nella quale egli non svolga attività lavorativa.
Questa Corte ha già dato un assetto sistematico per il diverso profilo inerente alla partecipazione a società di capitali con la sentenza n. 21540 del 2019 con snodi argomentativi che, per
avere preso in considerazione proprio il diverso profilo, ora all’esame, della partecipazione a società di persone, sono condivisi e vanno, dunque, richiamati integralmente. Sul piano normativo, l’art. 3-bis del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992 n. 438, ha previsto che « A decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’art. 1, L. 2 agosto 1990, n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi sì riferiscono », in tal modo superando la previgente disciplina contenuta nell’art. 1 della legge n.233 cit., che prevedeva a decorrere dal 1990 l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti iscritti alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori, in misura pari al 12% del reddito annuo derivante dalla attività di impresa che dà titolo all’iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno precedente.
Ed invece, con la nuova disposizione rileva “la totalità” dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF, non parlandosi più della sola attività che dà titolo all’iscrizione alla gestione ex art. 1 legge n. 233 cit. La differente formulazione normativa realizza un ampliamento della base imponibile contributiva, sicché, al fine di individuare quale sia il reddito d’impresa rilevante ai fini contributivi occorre fare riferimento alle norme fiscali di cui al Testo Unico delle imposte sui redditi, in cui all ‘art. 55 distingue fra redditi d ‘ impresa e redditi da capitale: i primi derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale, i secondi comprendono gli utili da partecipazione alle società soggette ad IRES (cfr. sent. 25867/23).
9. I redditi di capitale non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS, giacché il sistema contributivo prevede che la tutela previdenziale spetti ai lavoratori, non a coloro che si limitino ad investire i propri capitali a scopo di utile. Come rammentato da Cass. n.25732/2023, per quanto d ‘ interesse in questa sede, è stato affermato che: ‘ 21. Diversamente, per i soci di società di persone opera il principio della trasparenza fiscale, in forza del quale i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi d’impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi (art. 6 comma 3 del testo post riforma del 2004 del D.P.R. n. 917 del 2016). 22. Ed è proprio il diverso regime dettato per le società di persone da cui deriva il principio, già affermato da questa Corte nella sentenza n. 29779 del 2017, e al quale va data continuità, secondo il quale ai fini della determinazione dei contributi dovuti dagli artigiani ed esercenti attività commerciali, vanno computati anche i redditi percepiti in qualità di socio accomandante, seppure diversi dal reddito che trova causa nel rapporto di lavoro oggetto della posizione previdenziale ‘ . Parimenti, anche la Corte Costituzionale, con sent. n. 354/2001, ha distinto la posizione dei soci (non lavoratori) delle società di capitali e quelli delle società di persone, ritenendo non fondata, in riferimento all’art. 3 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3-bis d.l. 19/9/1992 n. 384, conv., con modif., in legge 14/11/1992 n.438, il quale, sottoponendo a contribuzione INPS i redditi denunciati ai fini IRPEF dal socio accomandante di società in accomandita semplice, introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra socio accomandante di società in
accomandita semplice e socio di società di capitali. Ha infatti rimarcato, il Giudice delle leggi, che ‘ nell’ambito delle società in accomandita semplice (e in quelle in nome collettivo) assume preminente rilievo, diversamente dalle società di capitali, l’elemento personale, in virtù di un collegamento inteso non come semplice apporto di ciascuno al capitale sociale, bensì quale legame tra più persone, in vista dello svolgimento di un’attività produttiva riferibile, nei risultati, a tutti coloro che hanno posto in essere il vincolo sociale, ivi compreso il socio accomandante; né la scelta del legislatore può ritenersi affetta da irragionevolezza, in quanto all’onere contributivo si correla un vantaggio in termini di prestazioni previdenziali ai sensi dell’art. 5 legge n. 233 cit., in base al quale la misura dei trattamenti è rapportata al reddito annuo d’impresa ‘ .
Tutto ciò posto, è evidente che l’individuazione dei redditi di impresa è rilevante quale parametro della base contributiva, e che il riferimento all’accertamento della Agenzia delle Entrate rileva non per la determinazione del maggior reddito, ma per l’ampliamento della base di calcolo richiesta dall’art. 3 -bis d.l. 19/9/1992, n.384. Nella totalità dei redditi di impresa valutabili ai fini della determinazione della base contributiva in esame non può, quindi, non tenersi conto anche del reddito eventualmente conseguito come socio di società di persone, in cui è prevalente l’apporto della prestazione personale nell’attività commerciale.
L’inesistenza di un accertamento fiscale a carico di COGNOME NOME – persona fisica – e delle società di cui è socio amministratore (NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, e NOME di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE) non è dirimente per escludere la fondatezza dell’accertamento contributivo perché non risulta che la pretesa dell’istituto si fondi su un maggior reddito
accertato ma che si sia limitata alla corretta individuazione delle risultanze emerse dalla dichiarazione dei redditi ritualmente presentata. Ed anzi, nella stessa sentenza impugnata si dà atto che ‘ dal 2007 in poi nessuna delle due società ha avuto accertamenti che abbiano prodotto variazioni dei redditi dichiarati ‘, il che avrebbe consentito una verifica valutativa in fatto della corretta inclusione dei redditi di impresa nella base imponibile ai fini contributivi. Tale ulteriore sviluppo è mancato, né è a dirsi che i dedotti motivi di ricorso abbiano inteso trasferire in sede di legittimità una rivalutazione probatoria, che è invece mancata in fase di merito, essendo stato spostato l’argomento critico favorevole al contribuente su un aspetto non dirimente . Anche l’ulteriore profilo di merito che il controricorrente ha inteso introdurre nelle memorie illustrative di udienza (la natura commerciale dell’attività di locazione svolta) non ha costituito oggetto di approfondimenti e considerazioni emergenti nella impugnata sentenza.
La sentenza impugnata che non si è conformata ai principi dianzi illustrati va cassata, con rinvio alla Corte di merito anche per le spese della presente fase.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso , cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del presente grado, alla Corte d’appello di Salerno, sezione lavoro, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2025.