LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Contributi INPS: reddito da S.a.s. va incluso?

La Corte di Cassazione ha stabilito che un commerciante deve versare i contributi INPS sulla totalità dei suoi redditi d’impresa, includendo anche quelli derivanti dalla partecipazione a una società di persone in cui non svolge attività lavorativa. La Corte ha chiarito che la richiesta dell’INPS non necessita di un preventivo accertamento fiscale, ma si basa sulla corretta applicazione della legge sulla base imponibile contributiva. La decisione riforma la sentenza d’appello che aveva erroneamente annullato la richiesta di contributi per mancanza di prova di un accertamento fiscale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contributi INPS: anche il reddito da socio accomandante rientra nel calcolo

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale per imprenditori e professionisti iscritti alla gestione commercianti: la base per il calcolo dei contributi INPS deve includere la totalità dei redditi d’impresa, compresi quelli derivanti da partecipazioni in società di persone, anche se in queste non si svolge un’attività lavorativa diretta. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un imprenditore, iscritto alla gestione commercianti INPS per la sua attività in una s.r.l., si vedeva recapitare un avviso di addebito da parte dell’Istituto Previdenziale. La richiesta riguardava maggiori contributi per gli anni 2008, 2009 e 2010, calcolati non solo sul reddito della s.r.l., ma anche su quello percepito come socio accomandante di una s.a.s.

L’imprenditore si opponeva, sostenendo l’illegittimità della pretesa. La Corte d’Appello gli dava ragione, annullando l’avviso di addebito. La motivazione dei giudici di secondo grado si fondava su un presupposto: l’INPS non aveva provato l’esistenza di un accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate che giustificasse un maggior reddito. Anzi, il contribuente aveva prodotto certificazioni che attestavano la sua regolarità fiscale.

L’Istituto Previdenziale, ritenendo errata la decisione, ricorreva in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’INPS, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo giudizio. Il ragionamento della Cassazione smonta pezzo per pezzo la decisione dei giudici di merito, chiarendo la corretta interpretazione delle norme.

L’errore della Corte d’Appello: il falso problema dell’accertamento fiscale

Il punto centrale della decisione è che la Corte d’Appello ha commesso un errore di diritto. Ha confuso la richiesta di contributi basata su un maggior reddito accertato (che non era il caso in questione) con una richiesta basata sulla corretta individuazione della base imponibile sui redditi già dichiarati dal contribuente.

L’INPS non contestava la veridicità della dichiarazione dei redditi, ma sosteneva che, ai fini previdenziali, si dovessero sommare tutti i redditi d’impresa percepiti, inclusi quelli della s.a.s. Pertanto, l’esistenza o meno di un accertamento fiscale era del tutto irrilevante per la soluzione della controversia.

La base imponibile per i contributi INPS commercianti

La Cassazione ha ribadito che, a partire dal 1993, la normativa (art. 3-bis del d.l. 384/1992) ha ampliato la base imponibile per i contributi di artigiani e commercianti. Non si fa più riferimento al solo reddito derivante dall’attività che ha dato origine all’iscrizione, ma alla “totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF”.

Questo significa che, per determinare l’importo corretto dei contributi, è necessario fare riferimento alle norme fiscali (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Queste norme, in base al principio di trasparenza fiscale, considerano reddito d’impresa anche gli utili derivanti dalla partecipazione in società di persone (come s.n.c. e s.a.s.), attribuendoli direttamente ai soci.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la sua decisione su un solido impianto normativo e giurisprudenziale. La legge impone di considerare la totalità dei redditi d’impresa, e il reddito di una società di persone è qualificato come reddito d’impresa per i soci, a prescindere dal fatto che vi lavorino o meno. Questo si differenzia nettamente dai redditi di capitale, come i dividendi da società di capitali (es. S.p.A. o s.r.l.), che non concorrono alla formazione della base imponibile contributiva perché rappresentano un mero investimento di capitale.

La Corte Costituzionale (sent. n. 354/2001) aveva già chiarito che questa differenza di trattamento tra soci di società di persone e soci di società di capitali non è irragionevole. Nelle società di persone, l’elemento personale e il legame tra i soci sono prevalenti, e il reddito prodotto è considerato il risultato dell’attività collettiva, a cui si correla un vantaggio in termini di prestazioni previdenziali future.

Di conseguenza, la pretesa dell’INPS non si basava su un reddito non dichiarato, ma sulla corretta applicazione della legge ai redditi dichiarati, includendo nella base di calcolo anche gli utili della s.a.s.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione è un monito importante per tutti gli imprenditori che partecipano a più società. La base imponibile per i contributi INPS non è limitata al reddito dell’attività principale, ma si estende a tutti i redditi qualificabili come d’impresa ai fini fiscali. In particolare, gli utili derivanti da società di persone (s.n.c., s.a.s.) devono essere sempre inclusi nel calcolo, anche se il socio è un semplice accomandante non lavoratore. È quindi fondamentale una corretta pianificazione fiscale e previdenziale per evitare spiacevoli sorprese e contenziosi con l’Istituto.

Un socio di s.r.l. iscritto alla gestione commercianti deve pagare i contributi INPS anche sui redditi derivanti dalla partecipazione come socio accomandante in una s.a.s.?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la base imponibile contributiva è costituita dalla “totalità dei redditi d’impresa” denunciati ai fini IRPEF. Questo include anche gli utili derivanti dalla partecipazione in società di persone, come una s.a.s., anche se il socio non svolge attività lavorativa in tale società.

È necessario un accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate perché l’INPS possa richiedere maggiori contributi basati sulla totalità dei redditi d’impresa?
No. La sentenza chiarisce che la richiesta dell’INPS non si fonda su un maggior reddito accertato dal Fisco, ma sulla corretta individuazione della base imponibile sulla base dei redditi già dichiarati dal contribuente. L’esistenza di un accertamento fiscale è quindi irrilevante a tal fine.

Qual è la differenza, ai fini contributivi, tra i redditi da partecipazione in società di persone e quelli da società di capitali?
I redditi derivanti dalla partecipazione in società di persone (come s.n.c. o s.a.s.) sono considerati redditi d’impresa e concorrono a formare la base imponibile per i contributi INPS. Al contrario, i redditi da partecipazione in società di capitali (es. dividendi di una s.r.l.) sono qualificati come redditi di capitale e non sono inclusi nella base imponibile contributiva, poiché considerati frutto di un investimento e non di un’attività lavorativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati