Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20938 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20938 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10703-2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
– resistente con mandato –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE – intimata – avverso la sentenza n. 861/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 10/10/2019 R.G.N. 204/2017;
Oggetto
R.G.N.10703/2020
COGNOME
Rep.
Ud 12/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
COGNOME COGNOME impugna la sentenza n. 861/2019 della Corte d’appello di Catania che ha respinto il gravame avverso la pronuncia del Tribunale della medesima sede che, pronunciando sul ricorso avverso avviso di addebito per contributi dovuti alla gestione coltivatori diretti per gli anni dal 2005 al 2011, aveva qualificato come opposizione agli atti esecutivi i motivi attinenti alla regolarità formale del titolo, dichiarandola tardiva, e respinto, nel resto, l’opposizione.
Propone cinque motivi di censura illustrati da memoria.
INPS non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 12 giugno 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
La ricorrente contesta la sentenza sulla base di cinque motivi, così rubricati.
I)’Violazione dell’art. 360 cpc comma 1 n. 3-5 in relazione all’art. 2909 c.c. ed all’art. 324 c.p.c. in relazione al secondo motivo di appello-rilevabilità d’ufficio-giudicato esterno che esclude la qualità di coadiutore della COGNOME COGNOME del signor COGNOME COGNOME come risultante dalla sentenza-non gravata e passata in giudicato come da attestazione rilasciata e comunicata via pec il 14.04.2020 – resa dal Tribunale Lavoro di Catania n. 1631/2016 del 15.4.2016 corretta nell’errore materiale il 21.09.2016, nel procedimento rg n.3342/2010 promosso da NOME COGNOME nei confronti dell’Inps, ed avente ad oggetto l’accertamento della sua qualità di dipendente di NOME COGNOME negli anni 2006-2007-2008, e che quindi
esclude la sua veste di coadiutore di NOME COGNOME negli anni oggetto dell’avviso di addebito impugnato’.
II)’Violazione e falsa applicazione degli artt. 113-116 c.p.c. in relazione all’art. 1 comma 1 d.lgs 99/2004 sotto il profilo di cui all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., laddove, nel rigettare il secondo motivo di appello, la Corte Etnea ha affermato che, essendo la COGNOME RAGIONE_SOCIALE. è tenuta all’iscrizione nella gestione previdenziale dei coltivatori diretti e ciò sull’assunto, erroneo, che la tutela previdenziale dei coltivatori diretti sia stata estesa dalla legge n. 233/90 anche agli imprenditori agricoli che ‘..per la estensione dei terreni…e/o per le giornate agricole di cui necessitano non possono essere inquadrati come coltivatori diretti…inoltre (continua la Corte) l’art. 13 della legge 233/90 nel definire le figure già previste dall’art. 12 della legge 153/2975 prevede il requisito soggettivo consistente nella destinazione alla attività agricola di non meno di due terzi del proprio tempo con un ricavo non inferiore al 75% del proprio reddito.. figura professionale poi modificata dal d.lgs 99/2004 che ha istituito la figura dell’IAP colui che, in possesso di conoscenze e competenze professionali, dedichi all’attività agricola almeno il 50% del proprio reddito da lavoro’.
III)’Violazione dell’art. 116 cpc e dell’art. 2697 c.c. dell’art. 1 comma 1 d.lgs 99/2004 in relazione all’art. 360 comma 1 n.ri 4-5 c.p.c., laddove ha rigettato il terzo motivo di appello sul presupposto che l’iscrizione della ricorrente nei coltivatori diretti – o IAP – sia avvenuta sulla base del prudente apprezzamento che il primo Giudice avrebbe ricavato dalle dichiarazioni che la stessa COGNOME ed i suoi familiari, avrebbero reso agli ispettori dell’Inps nel verbale del 9 maggio 2009. Tale capo di sentenza si impugna, anche sotto il profilo di cui all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c.,laddove ha equiparato le dichiarazioni rese ai
verbalizzanti, al requisito che, invece, l’art. 1, comma 1, del d.lgs.n. 99/2004 attribuisce, in via esclusiva, alle Regioni e pur in difetto, nel caso di specie, di provvedimento della Regione Sicilia che riconosceva tale qualifica in capo alla COGNOME.
IV)’Violazione dell’art. 1 comma 1 del d.lgs 99/2004 e dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 113-116 c.p.c. sotto il profilo di cui all’art. 360 comma 1 n.3-4-5 c.p.c. in relazione al rigetto del IV motivo di appello laddove la Corte Etnea, non ha accolto la censura che obiettava che il verbale ispettivo poteva assumere rilievo probatorio per il periodo in cui era stato redatto (anno 2009) e non per i periodi pregressi e nemmeno per quelli successivi, affermando che nessuna comunicazione di cessazione della posizione previdenziale aveva comunicato la COGNOME e, quindi, che era incontroverso che l’attività era continuata, in tal modo addossando alla ricorrente l’onere di fornire la prova negativa di tale circostanza’.
V)’Vizio di motivazione in relazione al rigetto del II motivo di gravame ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 in relazione all’art. 132 cpc-difetto assoluto di motivazione-assenza motivazione alcuna’.
Emerge dalla lettura della parte in fatto della pronuncia che l’avviso di addebito scaturiva dall’iscrizione nella gestione CD/CM sia dell’opponente che dei familiari coadiutori, non identificati in sentenza ma i cui nominativi vengono indicati nel ricorso in cassazione, ove sono riassunti il ricorso di primo grado e l’atto di appello.
Quanto alla iscrizione della ricorrente, la Corte ha così motivato: la legge n. 233/1990 ha esteso la tutela previdenziale dei coltivatori diretti agli imprenditori agricoli, quindi dal 1 luglio 1990 è stata riconosciuta la figura di Imprenditore Agricolo a
Titolo Principale (IATP); poi il d.lgs. n. 99/2004 ha istituto la figura di Imprenditore Agricolo Professionale (IAP) estendendo l’applicabilità anche ai soci di società agricole, essendo IAP colui che, in possesso di conoscenze e competenze professionali, dedichi all’attività agricola di impresa direttamente o in qualità di socio almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro; conseguentemente, l’appellante, quale titolare di impresa agricola che si dedica abitualmente ed esclusivamente a tale attività imprenditoriale, è tenuta all’iscrizione alla gestione previdenziale dei coltivatori diretti anche se lavora nel magazzino e non nei terreni.
Quanto ai coadiutori la Corte ha motivato: il Tribunale non ha attribuito valore fide facente al verbale ispettivo del 9 maggio 2009 né alle dichiarazioni rese agli ispettori ma ha formato il suo libero convincimento «pienamente condiviso dal collegio, sulla base dell’istruttoria svolta. Il Tribunale ha invero legittimamente tenuto conto delle dichiarazioni rese dalla stessa COGNOME e dai suoi familiari nell’immediatezza dei fatti, attribuendovi il valore di argomento di prova, di carattere univoco e convergente, non smentiti dalle versioni fornite dai testi offerti dalla parte opponente, ritenute non credibili, con conseguente trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per il reato di falsa testimonianza. Nessuna censura l’appellante ha svolto in merito alla ritenuta falsità delle deposizioni dei testi escussi in giudizio né al valore di argomenti di prova accordato alle dichiarazioni rese da essa appellante e dai suoi familiari agli ispettori, contravvenendo in tal modo all’onere di specificità imposto dall’art. 342 cod. proc. civ. laddove si è limitata ad invocare un preteso obbligo del giudice di ‘credere’ sic et simpliciter ai testi, recisamente escluso dall’art. 116 cod. proc. civ.».
Il primo motivo è inammissibile.
Nel ricorso è trascritta la sentenza che costituirebbe giudicato esterno; la stessa, però, non risulta prodotta, non essendo neppure inserita nell’elenco dei documenti che il ricorrente ha comunicato di depositare quali allegati al ricorso (elenco recante il timbro di pervenuto all’Ufficio Protocollo in data 29 aprile 2020), con la conseguenza che difetta, anche, l’attestazione del passaggio in giudicato.
Inoltre, dal testo della pronuncia riportato nel ricorso di legittimità non si evince che il rapporto di lavoro subordinato che INPS aveva disconosciuto e che era stato oggetto di decisione favorevole all’allora ricorrente – familiare di NOME COGNOME – fosse quello di cui oggi si discute.
Infatti, la sentenza trascritta fa generico riferimento al ‘disconoscimento – comunicatogli dall’INPS in data 26 maggio 2009 – del rapporto di lavoro intercorso nel 2006 con la società convenuta’ (poi corretto in ‘negli anni 2004,2005,2006, 2007 e 2008’), quindi parla di un rapporto di lavoro con ‘una società’, tale evidentemente non essendo la odierna ricorrente, e di un provvedimento amministrativo comunicato all’interessato il 26 maggio 2009.
Nell’odierno ricorso, a pagina 14, è riportato il provvedimento INPS che, in quella vertenza, era stato impugnato e che, si legge, diversamente da quanto indicato nella sentenza invocata come giudicato, aveva ad oggetto il disconoscimento ‘delle prestazioni in agricoltura ai fini della tutela previdenziale per gli anni dal 2006 al 2008’ che sarebbe stato datato 31 agosto 2009 e notificato il 5 settembre 2009, quindi in date diverse da quella riportata nella pronuncia.
E’ infondato il secondo motivo, cui si correla anche parte del primo, laddove si afferma che, in base all’art. 1 del d.lgs. n. 99/2004, esclusivamente le Regioni possono accertare la sussistenza dei requisiti per l’iscrizione tra gli IAP e, quindi, nella specie, tale accertamento non sussisteva, difettando il provvedimento regionale che, solo, avrebbe potuto riconoscere la qualifica in capo alla COGNOME.
Il chiaro tenore letterale dell’art.1 invocato porta a conclusioni opposte.
La norma, infatti, dopo aver disposto che ‘Le regioni accertano ad ogni effetto il possesso dei requisiti di cui al comma 1’ precisa che ‘è fatta salva la facoltà dell’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) di svolgere, ai fini previdenziali, le verifiche ritenute necessarie ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 476’.
A sua volta l’art. 6 del d.P.R. n. 476/2001 stabilisce che ‘L’I.N.P.S., effettuate le opportune verifiche, dispone anche d’ufficio l’iscrizione, la variazione o la cancellazione dagli elenchi, e ne dà tempestiva comunicazione agli interessati’.
Il combinato disposto delle due norme rende evidente l’inconsistenza della censura.
Alla luce della motivazione come sopra riportata, sono, di conseguenza, infondati anche il terzo, quarto e quinto motivo, avendo la sentenza valorizzato le dichiarazioni rese agli ispettori dalla COGNOME e dai familiari, ritenendo che le circostanze fattuali da esse risultanti fossero idonee a dimostrare la fondatezza della pretesa impositiva. Il contenuto di tali dichiarazioni, costituente prova liberamente valutabile dai giudice (Cass. n. 17702 del 07/09/2015), non è neppure contestato in questa sede.
In ordine al quarto motivo va aggiunto che la censura obietta che il verbale ispettivo (che riguarda il periodo dal 1° gennaio 2006 al 30 aprile 2009) non avrebbe potuto avere rilievo probatorio se non per l’anno in cui era stato redatto – non, quindi, per il periodo pregresso né per gli anni successivi – ed insiste sul fatto che non può costituire prova della qualifica di IAP in capo alla COGNOME poiché tale prova poteva essere fornita solo attraverso la produzione dell’atto regionale.
Fermo quanto sopra detto in merito a quest’ultimo profilo, la Corte non ha fondato la propria decisione sul verbale ma ha correttamente affermato che, anche a prescindere dal fatto che nessuna norma stabilisce che i verbali ispettivi abbiano efficacia limitata all’annualità in cui si svolge l’accertamento, una volta che si accerta essere sussistenti i presupposti per l’iscrizione di un soggetto in una determinata gestione, spetta all’interessato allegare, dedurre e provare che detti presupposti sono venuti meno.
Viceversa, nella specie, ciò non è accaduto. Va considerato che l’esistenza dei requisiti per l’iscrizione è stata desunta: a) dalle dichiarazioni sia della COGNOME che dei familiari; b) dal fatto che la COGNOME, pacificamente titolare dell’impresa agricola, si era difesa limitandosi a sostenere di non essere tenuta ad iscriversi in quanto impegnata non direttamente nel lavoro nei campi bensì nel magazzino (tanto che il secondo motivo di appello verteva proprio su questo aspetto) e non aveva addotto altre ragioni; c) dal fatto che era pacifico che l’impresa agricola aveva proseguito l’attività anche negli anni 2010 e 2011, senza che fossero state allegate modifiche alla gestione.
In ordine al quinto motivo, poi, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv., con modif., dalla l. n. 134/2012,
non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/2022 ex multis ).
Nella specie, il vizio lamentato non sussiste poiché la motivazione è chiara, non è contraddittoria né apparente, avendo la Corte esplicitato in modo inequivocabile le ragioni della decisione.
Pertanto, il ricorso va rigettato ma alla reiezione non fa seguito condanna alle spese, in assenza di attività difensiva da parte dell’Istituto.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 giugno