Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 624 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 624 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26828-2018 proposto da:
COGNOME quale titolare dell’omonima ditta individuale e COGNOME NOME, domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti –
Oggetto
R.G.N. 26828/2018
COGNOME
Rep.
Ud. 30/11/2023
CC
avverso la sentenza n. 675/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 05/07/2018 R.G.N. 482/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza del 5.7.2018 n. 675, la Corte d’appello di Firenze accoglieva il gravame, proposto dall’Inps, avverso la sentenza del Tribunale di Grosseto che aveva accolto l’opposizione di COGNOME NOME e COGNOME NOME avverso l’avviso di addebito notificato dall’Istituto previdenziale dell’importo di € 7.684,61, per omesso versamento dei contributi a percentuale relativi ai redditi di partecipazione alla società RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, maturati da COGNOME NOME, figlia coadiuvante di COGNOME NOME, e socia accomandante della predetta società, distinta da quella del padre, artigiano titolare di tipografia, presso cui, come detto, COGNOME NOME era coadiuvante.
Il tribunale riteneva che COGNOME NOME non fosse tenuto a inserire nella base imponibile anche i redditi percepiti dalla figlia COGNOME NOME, per la partecipazione all’attività della compagine RAGIONE_SOCIALE alla quale egli era estraneo.
La Corte d’appello, a ccogliendo i l gravame dell’Inps, ha ritenuto che ai sensi dell’art. 3 -bis del D.L. n. 384/92, conv. in legge n. 438/92, a decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’art. 1 della legge n. 233/90 (artigiani ed esercenti attività commerciali) fosse rapportato alla totalità dei redditi d’impr esa denunciati ai fini Irpef, prodotti nello stesso anno di riferimento dei contributi.
Per la Corte di merito, alla stregua della legge n. 438 cit ., il contributo IVS dovuto da artigiani e commercianti andava calcolato sulla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef, come del resto chiarito dalla circolare Inps n. 102 del 12 giugno 2003.
Avverso tale sentenza, COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono per cassazione, sulla base di quattro motivi, mentre l’Inps resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2 della legge 463/59, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché la Corte d’appello non aveva tenuto conto che, ai sensi della predetta norma, sussiste l’obbligo di contribuzione, per il familiare imprenditore artigiano, a condizione, tuttavia, che il coadiutore non sia titolare o contitolare di impresa già tenuta al versamento dei contributi.
Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 1173 c.c. e dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., con riferimento all’inesistenza, nella specie, di qualsivoglia obbligazione solidale: in buona sostanza, il COGNOME NOME ha ritenuto di non essere legittimato passivo per la richiesta d ‘ imposizione contributiva, in quanto non era tenuto al pagamento in solido della contribuzione previdenziale a percentuale, riferita a Cinquemani Cristina per i redditi maturati da
quest’ultima in ragione della partecipazione ad altra società.
Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 2313 comma 1, 2320, 2697 cc. e degli artt. 1 e 5 della legge n. 233/90, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 o n. 5 c.p.c., perché, erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto che i redditi prodotti da COGNOME NOME, quale socia accomandante della società RAGIONE_SOCIALE, fossero soggetti a contribuzione, quando, invece, si trattava di redditi da capitale e non di redditi derivanti da prestazione, anche solo di fatto, di attività lavorativa (che, peraltro, avrebbe dovuto essere provata dall’Inps ).
Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti deducono il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 116 c.p.c., per omessa valutazione della consulenza tecnica svolta in primo grado e/o conseguentemente per mancata applicazione dell’art. 1176 e 1256 c.c., in relazio ne all’art. 360 primo comma n. 3 e/o n. 5 c.p.c.
Il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, che possono essere oggetto di esame congiunto, sono infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘Il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale in quanto svolgente un’attività lavorativa per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, deve includere nella base imponibile sulla quale calcolare i contributi la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale, vale a dire quelli che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale (art. 55 del d.P.R. n. 917 del 1986); ne consegue che vanno computati i redditi dichiarati dal
coniuge di titolare di impresa individuale prodotti sia in qualità di collaboratore familiare, sia quale socio accomandatario di RAGIONE_SOCIALE svolgente esclusiva attività di gestione di cespiti immobiliari’ (Cass. nn. 18892/23; v., fra le altre, Cass. n.25732/23) .
Nella specie, pertanto, COGNOME NOME, quale sostituto d’imposta, avrebbe dovuto versare, salvo rivalsa, la contribuzione per la figlia coadiuvante anche per i redditi da capitale percepiti da quest’ultima , quale socia accomandante di altra società in accomandita semplice, e ciò perché era tenuto a versare la contribuzione rapportata alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef, prodotti nello stesso anno a cui i contributi si riferivano.
Pertanto, ai sensi degli artt. 3 bis del d.l. n. 384 del 1992, conv. con modif. in l. n. 438 del 1992, e dell’art. 6, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, l’unico obbligato al pagamento della contribuzione previdenziale dovuta è il titolare dell’impresa ar tigiana, mentre nei rapporti interni fra questi e i propri familiari coadiuvanti, opera il diritto di rivalsa del primo sui secondi.
La base imponibile, sulla quale calcolare i contributi, ricomprende, dunque, la totalità dei redditi d’impresa prodotti, ivi compresi i redditi da capitale conseguiti dalla socia accomandante.
Il quarto motivo è inammissibile perché censura la valutazione di elementi istruttori, questione di competenza esclusiva del giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, se non in ristretti limiti, non ricorrenti nella specie (Cass. n. 27000/16).
Il motivo è, altresì, inammissibile perché non si confronta con l’effettiva statuizione della Corte del merito , che non attiene al più o meno corretto calcolo dell’importo contributivo da esigere dal Cinquemani, ma al fatto che occorreva tener conto, nella base imponibile reddituale, da cui scaturiva l’importo contributivo esigibile, anche di quanto richiesto con l ‘avviso di addebito , connesso al reddito derivante dalla partecipazione societaria.
In conclusione, il ricorso è da rigettare.
Atteso il recente formarsi della giurisprudenza di legittimità sul punto, le spese si compensano.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del