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Contributi coadiutore: obblighi del titolare d’impresa

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11208/2025, ha stabilito che il titolare di un’impresa artigiana è obbligato a versare i contributi previdenziali per il coadiutore familiare calcolandoli sulla totalità dei redditi d’impresa percepiti da quest’ultimo, inclusi quelli derivanti dalla partecipazione a società di persone. La Corte ha rigettato i motivi di incostituzionalità, ma ha cassato la sentenza per omessa pronuncia su un’altra questione, rinviando il caso alla Corte d’Appello.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contributi coadiutore: la base di calcolo si estende a tutti i redditi d’impresa

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale per molti artigiani e commercianti: la corretta determinazione della base imponibile per il versamento dei contributi coadiutore. La questione verteva sulla responsabilità del titolare d’impresa di pagare i contributi non solo sul reddito che il collaboratore familiare percepisce dall’impresa stessa, ma sulla totalità dei redditi d’impresa del coadiutore, anche se provenienti da altre fonti. La Suprema Corte ha fornito un chiarimento fondamentale, confermando un’interpretazione estensiva della normativa vigente.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dall’opposizione di una titolare di impresa artigiana a una richiesta di pagamento di contributi da parte dell’INPS. L’Istituto previdenziale pretendeva il versamento dei contributi per una collaboratrice familiare, calcolandoli non solo sul reddito prodotto nell’impresa artigiana, ma anche su quello percepito dalla stessa collaboratrice in qualità di socia accomandante di una società in accomandita semplice.

La Corte d’Appello aveva dato ragione all’INPS, riformando la decisione di primo grado e stabilendo che l’obbligo contributivo del titolare si estendeva a tutti i redditi d’impresa del coadiutore. La titolare ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sollevando dubbi sulla corretta applicazione della legge e sulla sua costituzionalità.

Analisi dei contributi coadiutore e la normativa

Il ricorso si basava su tre motivi principali. I primi due, esaminati congiuntamente, contestavano la violazione della legge n. 233/1990 e del D.L. n. 384/1992, oltre a presunti profili di incostituzionalità (artt. 3, 38 e 53 Cost.). La ricorrente sosteneva che non fosse giusto porre a suo carico l’onere per redditi generati altrove, dei quali non poteva avere conoscenza e da cui non traeva alcun beneficio.

Il terzo motivo, invece, denunciava un vizio procedurale: l’omessa pronuncia da parte della Corte d’Appello sulla domanda di inapplicabilità del regime sanzionatorio per l’evasione contributiva.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha rigettato i primi due motivi, ritenendoli infondati. I giudici hanno chiarito che l’art. 3-bis del D.L. n. 384/1992 ha esplicitamente ampliato la base imponibile contributiva. Se la legge originaria (n. 233/1990) faceva riferimento al reddito derivante dall’attività che dava titolo all’iscrizione alla gestione previdenziale, la modifica del 1992 ha esteso l’obbligo alla “totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF”.

Questo significa che l’obbligo di versamento in capo al titolare dell’impresa, sebbene con diritto di rivalsa, si estende a tutti i redditi d’impresa percepiti dal coadiutore, compresi quelli derivanti dalla sua qualità di socio in altre società di persone. La Corte ha inoltre precisato che i dubbi di costituzionalità sono già stati superati in passato, in quanto la norma persegue un fine di solidarietà sociale e di garanzia previdenziale per il lavoratore. La Corte ha invece accolto il terzo motivo. Ha riscontrato che la Corte d’Appello aveva effettivamente omesso di pronunciarsi sulla specifica domanda relativa all’applicazione o meno delle sanzioni per evasione, violando così il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.).

Conclusioni

In conclusione, la sentenza impugnata è stata cassata, ma solo in relazione al motivo accolto. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello di Ancona, che dovrà pronunciarsi sulla questione dell’applicabilità del regime sanzionatorio per l’evasione.

Dal punto di vista sostanziale, tuttavia, il principio affermato è chiaro: il titolare di un’impresa è responsabile per il versamento dei contributi coadiutore calcolati sulla totalità dei redditi d’impresa del collaboratore. Questo impone ai titolari di impresa un’attenta verifica della posizione reddituale complessiva dei propri collaboratori familiari per evitare di incorrere in omissioni e sanzioni, fermo restando il loro diritto di rivalersi sul coadiutore per la quota versata.

Su quale reddito il titolare di un’impresa deve calcolare i contributi per un coadiutore familiare?
Il titolare deve calcolare e versare i contributi sulla totalità dei redditi d’impresa percepiti dal coadiutore e dichiarati ai fini IRPEF, inclusi quelli derivanti dalla partecipazione ad altre società, e non solo sul reddito prodotto nell’impresa del titolare.

È costituzionale l’obbligo per il titolare di pagare contributi su redditi del coadiutore esterni alla sua impresa?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, questa disciplina ha già superato il vaglio di costituzionalità. L’obbligo, seppur gravoso per il titolare (che ha comunque diritto di rivalsa), è giustificato da finalità di solidarietà e garanzia di una copertura previdenziale completa per il collaboratore.

Cosa accade se un giudice d’appello omette di decidere su una delle domande proposte nel ricorso?
L’omissione di pronuncia costituisce un vizio della sentenza. La parte interessata può impugnare la decisione davanti alla Corte di Cassazione, la quale, se accoglie il motivo, cassa la sentenza e rinvia la causa al giudice precedente affinché si pronunci sulla domanda omessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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