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Contratto a termine in agricoltura: i limiti per gli enti

La Corte di Cassazione chiarisce i limiti del contratto a termine in agricoltura per gli enti pubblici non economici, i quali non possono essere considerati imprenditori agricoli. La sentenza stabilisce che la deroga basata sulla stagionalità deve essere interpretata in modo restrittivo, escludendo mansioni continuative come la manutenzione. Viene ribaltata la decisione d’appello, affermando che l’abuso nella reiterazione di tali contratti, anche in questo settore, va sanzionato.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratto a termine in agricoltura: quando è illegittimo?

Il settore agricolo presenta peculiarità che giustificano, in alcuni casi, un ricorso più flessibile a determinate forme contrattuali. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25394/2024, ha tracciato confini precisi, in particolare per quanto riguarda il contratto a termine in agricoltura stipulato da enti pubblici. Questa decisione sottolinea che le deroghe previste non sono un via libera all’abuso e che il concetto di stagionalità va interpretato in modo rigoroso. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Contratti a Termine Reiterati per Oltre un Ventennio

Il caso nasce dalla vicenda di un lavoratore agricolo impiegato dal 1999 da un Ente Pubblico di Sviluppo Agricolo con una serie di contratti a tempo determinato. Le sue mansioni includevano la conduzione di macchine agricole e lavori di officina per la manutenzione dei mezzi. Ritenendo illegittima la continua reiterazione dei contratti, il lavoratore si era rivolto al Tribunale, che gli aveva dato ragione, condannando l’ente al risarcimento del danno.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, la specificità del settore agricolo giustificava una deroga alle norme generali sul lavoro a termine, considerando la stagionalità come una ragione sufficiente, ma non l’unica, per legittimare la successione dei contratti. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto le ragioni del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un’altra sezione della stessa Corte. La decisione si fonda su principi chiari che limitano fortemente l’uso del contratto a termine in agricoltura da parte di specifici soggetti.

Limiti al Contratto a Termine in Agricoltura per Enti Pubblici

Il punto centrale della decisione è la natura giuridica del datore di lavoro. La Cassazione ha ribadito che un Ente Pubblico non Economico, come quello del caso in esame, non può essere qualificato come ‘imprenditore agricolo’ ai sensi dell’art. 2135 del Codice Civile. Di conseguenza, non può beneficiare delle deroghe speciali previste dalla normativa (come l’art. 10, comma 2, del D.Lgs. 368/2001) per le imprese agricole.
Il rapporto di lavoro di questi enti è invece soggetto alla disciplina generale del pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001), che pone limiti più stringenti alla successione di contratti a termine.

Il Concetto Ristretto di Stagionalità

La Corte ha inoltre precisato che il concetto di ‘attività stagionale’ deve essere inteso in senso rigoroso. Non è sufficiente che l’attività dell’ente abbia una generica ciclicità annuale. La stagionalità che giustifica un contratto a termine deve riguardare esigenze temporanee e specifiche, strettamente collegate a una stagione produttiva.

Attività come la custodia, la riparazione e la manutenzione di macchinari, che si protraggono per tutto l’anno per preparare la stagione successiva, non possono essere considerate stagionali. I lavoratori impiegati stabilmente in queste mansioni devono essere assunti con contratto a tempo indeterminato.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si basano su una consolidata giurisprudenza che mira a prevenire l’abuso del contratto a termine, anche in settori con esigenze flessibili come l’agricoltura. I giudici hanno sottolineato che le deroghe alla disciplina generale sono eccezionali e non possono essere interpretate estensivamente. L’ente pubblico, non essendo un’impresa con finalità di lucro, è soggetto a regole diverse che tutelano sia l’interesse pubblico che i diritti del lavoratore. Inoltre, la Corte ha chiarito che l’onere di dimostrare la sussistenza effettiva e concreta delle ragioni di stagionalità grava interamente sul datore di lavoro. Non basta invocare la natura agricola dell’attività, ma è necessario provare che le mansioni specifiche del lavoratore erano limitate a un ciclo stagionale ben definito e non rispondevano a esigenze ordinarie e permanenti dell’ente.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza n. 25394/2024 della Corte di Cassazione rappresenta un importante monito per gli enti pubblici che operano nel settore agricolo. L’uso del contratto a termine in agricoltura è legittimo solo se ancorato a reali e comprovate esigenze stagionali, intese in senso stretto. Le attività continuative e di supporto, anche se funzionali al ciclo agricolo, richiedono l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Questa decisione rafforza le tutele contro la precarizzazione del lavoro, riaffermando che le peculiarità di un settore non possono giustificare deroghe illimitate alla disciplina protettiva dei lavoratori.

Un ente pubblico non economico può essere considerato ‘imprenditore agricolo’ per applicare le deroghe sui contratti a termine?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un ente pubblico non economico non rientra nella definizione di imprenditore agricolo (art. 2135 c.c.) e, pertanto, non può beneficiare delle specifiche deroghe previste per tale settore in materia di contratti a tempo determinato.

L’attività di manutenzione di macchinari agricoli è considerata ‘stagionale’?
No. Secondo la Corte, attività come la manutenzione, la riparazione e la custodia di impianti e macchinari, che proseguono durante tutto l’anno per preparare la stagione produttiva, non hanno carattere stagionale. I lavoratori addetti stabilmente a queste mansioni devono essere assunti a tempo indeterminato.

Su chi ricade l’onere di provare la natura stagionale di un’attività lavorativa?
L’onere di provare che il lavoratore fosse adibito esclusivamente ad attività stagionali o strettamente complementari grava sul datore di lavoro. Questi deve dimostrare in concreto la sussistenza di tali requisiti, che devono risultare anche dalla causale del contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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