Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21490 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21490 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20870/2019 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3595/2018 depositata il 28/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 3100/2015 il Giudice del Lavoro di Roma rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME, con il quale il ricorrente, premesso di aver lavorato alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE in forza di una serie di contratti a progetto, chiedeva dichiararne l’illegittimità lamentando: la genericità dei progetti dedotti nei singoli contratti, in palese violazione dell’art. 61 d.lgs. 276 del 2003; la corrispondenza dei progetti con l’oggetto sociale della datrice di lavoro; di aver svolto mansioni diverse da quelle previste nei singoli contratti sottoscritti; la nullità originaria dell’oggetto a causa dell’impossibile raggiungimento dell’obiettivo prefigurato. Sulla base delle deduzioni così articolate il ricorrente chiedeva al giudice l’accertamento della violazione delle disposizioni di cui agli artt. 61 e 69 del d.lgs. 276/2003 e, per l’effetto, l’applicazione della sanzione della conversione automatica in rapporto di lavoro subordinato. Chiedeva, altresì, il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno ex art. 32 l. n. 183 del 2010 o, in subordine, il riconoscimento di una maggiorazione retributiva, corrispondente alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi di categoria applicati ai lavoratori che svolgono mansioni analoghe a quelle del collaboratore a progetto.
La Corte d’appello di Roma, Sez. Lavoro, con sentenza n.3595/2018, pubblicata il 28.12.2018, rigettava l’appello proposto da NOMECOGNOME, confermando così la sentenza di primo grado, e condannava l’appellante alla refusione delle spese del grado d’appello. La Corte territoriale, con la sentenza qui impugnata, condividendo pienamente le argomentazioni della sentenza di primo grado, ha affermato la legittimità formale dei
contratti di collaborazione a progetto intercorsi tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e la conseguenziale impossibilità di operare la conversione prevista dal legislatore in conseguenza alla violazione dei dettami di cui all’art. 61, comma 1 del D.lgs. n. 276/03, ritenendo, quanto al progetto dedotto nell’ultimo contratto del 31.12.12, che esso risultasse conforme al dettato legislativo consentendo di individuare nella sottoscrizione, nell’arco temporale che va dal 02.05.12 al 31.12.13, di un numero di contratti di mandato non inferiore a 900, quel risultato finale richiesto dalla norma. Relativamente al motivo di appello con il quale il lavoratore aveva sostenuto di aver svolto le medesime attività di quelle svolte dai lavoratori dipendenti della Società, la sentenza impugnata ha rilevato, come già la pronuncia di primo grado, la genericità e carenza di specificità delle argomentazioni sulle quali il lavoratore ha inteso sviluppare la propria posizione. La medesima sentenza ha rigettato la domanda di risarcimento del danno ex art. 32 della l. n. 183 del 2010 ‘stante la mancata impugnazione della cessazione del rapporto lavorativo’.
Avverso la decisione di secondo grado propone ricorso per cassazione NOMECOGNOME affidato a sei motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 61 e 62 d.lgs 276/2003 per errata interpretazione delle suddette norme nella parte in cui nella sentenza si afferma che ‘ il progetto dedotto nell’ultimo contratto del 31.12.12 soddisfa i requisiti previsti dalla normativa citata, in quanto è senz’altro rintracciabile un obiettivo finale cui l’attività del collaboratore avrebbe dovuto tendere ‘, avendo la Corte ritenuto, come il giudice di primo grado, che la nozione di progetto coincida con quella di risultato,
contrariamente a quanto desumibile dal tenore letterale e sistematico della disposizione. Deduce che, ove il giudice di merito avesse correttamente applicato la norma avrebbe accolto il ricorso atteso che il contratto di lavoro a progetto stipulato con la Ria RAGIONE_SOCIALE non rispetta i requisiti formali prescritti.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 n. 5, c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio avendo la Corte distrettuale completamente omesso di esaminare se il ricorrente è stato utilizzato per soddisfare esigenze stabili di manodopera, così come da lui allegato sia con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado che con l’atto d’appello. Evidenzia la rilevanza dell’omissione dal momento che il mancato accertamento della temporaneità o meno delle esigenze produttive sottese alla sottoscrizione dei contratti di collaborazione ha impedito ai giudici di merito di pronunciarsi su un profilo di illegittimità denunciato dal ricorrente, che se esaminato avrebbe potuto condurre all’accoglimento del ricorso.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 n. 3, violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere la Corte d’Appello deciso la controversia senza fondarsi su fatti non contestati dalla controparte, posto che il ricorrente ha allegato – con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (pag 13-14) e ribadito in atto di appello (pag. 15-16) – di essere stato stabilmente inserito nell’organizzazione aziendale della RAGIONE_SOCIALE e che le sue prestazioni hanno soddisfatto esigenze di manodopera di carattere stabile. In particolare, il ricorrente deduce di aver allegato sin dall’atto introduttivo in primo grado che ‘ l’incarico conferito al ricorrente rappresenta l’unica attività della società che, a tal fine, si avvale di lavoratori dipendenti ed a progetto ‘. Deduce che a fronte delle sue specifiche allegazioni la società con la memoria difensiva non ne ha contestato la corrispondenza al vero essendosi limitata ad eccepirne la genericità e l’inidoneità a dimostrare la sussistenza di
un rapporto di lavoro subordinato. Lamenta che il giudice di secondo grado, in modo del tutto contraddittorio, ha affermato ” che lo stabile inserimento nell’organizzazione aziendale invocato dal lavoratore, peraltro non dimostrato se non attraverso sommarie allegazioni, cosi come la dichiarazione di aver svolto le medesime mansioni di quelle dei lavoratori dipendenti, sono elementi che, singolarmente considerati, non possono essere considerati rilevatori della natura subordinata del rapporto in questione ” (pag. 6, punto 19, della sentenza impugnata), nonostante tali allegazioni costituissero i fatti costitutivi della pretesa finalizzata ad ottenere il pagamento di quanto dovuto ai sensi dell’art. 63 d.lgs. n. 276 del 2003 e che non presuppone l’accertamento della natura subordinata dei rapporti, ma, al contrario, la genuinità delle collaborazioni a progetto. Deduce che, contraddittoriamente, il giudice non aveva tenuto conto che, ove anche fossero stati considerati validi i contratti, andava applicato necessariamente l’art. 63 d.lgs. n. 276 del 2003 con conseguente accoglimento della domanda proposta dal lavoratore, anche in via generica e senza procedere alla CTU.
4. Con il quarto motivo il COGNOME deduce : sub A) ex art. 360 n. 5 vizio di motivazione e contraddittorietà su un punto decisivo della controversia per avere la Corte d’Appello rigettato la richiesta, reiterata con l’atto di appello, di ammettere la prova orale con riferimento alla circostanza che l’attività del lavoratore fosse svolta con modalità analoghe a quelle svolte dai lavoratori dipendenti motivando che ” le argomentazioni sulle quali il lavoratore ha inteso sviluppare la propria posizione risultano essere del tutto generiche e prive di riferimenti puntuali che avrebbero potuto essere seriamente valutati dal Giudicante ” (pag. 5 della sentenza impugnata) e che ‘ in ogni caso, anche qualora detta circostanza fosse stata valutata ed accertata, sarebbe comunque stata insufficiente a qualificare il rapporto di lavoro intercorso in termini
di subordinazione ‘. Lamenta l’illogicità della suddetta motivazione essendo la Corte pervenuta a conclusioni che si fondano su domande del lavoratore (l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro) inesistenti perché mai proposte e non sulla domanda effettivamente proposta di accertamento dell’illegittimità dei contratti a progetto sottoscritti; sub B) ex art. 360 n. 4 violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. errata qualificazione della domanda proposta e mancata assunzione della prova richiesta con riferimento alla circostanza che l’attività del lavoratore fosse svolta con modalità analoghe a quelle svolte dai lavoratori dipendenti. Lamenta che in conseguenza della descritta erronea qualificazione della domanda, in violazione dell’art. 112 c.p.c., la Corte distrettuale ha rigettato la prova testimoniale rivolta invece alla prova dei fatti costituitivi della domanda proposta in via principale ex art. 69 del dlgs 276/2003, così violando anche l’art. 116 c.p.c. 5. Con il quinto ex art. 360 n. 4 deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 115, 116, 421 c.p.c. e 63 d.lgs. n. 276/2003 in relazione alla domanda, svolta in via subordinata, ex art. 63 del d.lgs. n.276 del 2003, con la quale il COGNOME chiedeva, per l’ipotesi di accertata validità dei contratti a progetto, ” dichiarare il diritto del ricorrente al pagamento della differenza tra quanto avrebbe dovuto percepire in ragione dei minimi previsti dal ccnl indicato nel ricorso introduttivo e quanto ha in effetti ricevuto in base allo svolgimento del rapporto, nella misura che sarà indicata a seguito di C.T.U. “. Evidenziava di aver allegato: il compenso percepito, il numero di contratti che ha concluso mensilmente, la disposizione del contratto di lavoro sottoscritto sulla base del quale calcolare la parte variabile del corrispettivo ed il contratto collettivo nazionale applicabile (cfr. pagg. 5-6 del ricorso in appello contenuto nel fascicolo di parte di secondo grado) e che, alla luce di tali allegazioni, il giudice del merito avrebbe dovuto disporre una
CTU contabile per verificare se il collaboratore è stato correttamente compensato per il lavoro svolto.
Con il sesto motivo ex art. 360 n. 3 il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della l. n. 183/2010 nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che ” stante la mancata impugnazione della cessazione del rapporto lavorativo, non può trovare accoglimento la domanda volta all’ottenimento della pronuncia di condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 1 comma 13 della l. n. 92/2012 ‘. Premesso che la norma applicabile non è quella erroneamente richiamata in sentenza ma il comma 5 dell’art. 32 della l. n. 183 del 2010, si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto erroneamente che la suddetta disposizione fosse invocabile solo in presenza di una impugnazione di un atto di recesso.
Con controricorso la RAGIONE_SOCIALE deduce l’infondatezza ed inammissibilità del ricorso evidenziando l’incompletezza della ricostruzione dei fatti di causa ivi contenuta e riproducendo testualmente ‘le parti salienti della motivazione di primo grado’.
Il primo motivo è infondato.
8.1 Sul punto va premesso che, in base alla definizione legale del contratto a progetto fornita dall’art. 61 del d.lgs. n. 276/2003 nel testo originario, ratione temporis applicabile, (poi sostituito dall’art. 1 comma 23 lett. a) della l. n. 92 del 2012, modificato dall’art. 24 bis comma 7 del d.l. n. 83 del 2012 conv. in l. n. 134 del 2012 ed ancora dall’art. 7 comma 2 lett. c) del d.l. n. 76 del 2013 conv. in l. n. 99 del 2013 ed infine abrogato dall’art.52 del d.lgs. 81 del 2015 di attuazione del c.d. Jobs Act) per la configurazione della fattispecie, oltre alla presenza di tutti i caratteri della già nota figura delle collaborazioni continuative e coordinate, è necessaria la riconducibilità dell’attività ” a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato,
nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa ‘. Questa Corte, con riferimento al medesimo testo della disposizione, ha chiarito (Cass. n. 24739 del 2017, Cass. n. 10135 del 26.4.2018) che la nozione di “specifico progetto”, quale deriva dall’esegesi normativa, deve ritenersi consistere – tenuto conto delle precisazioni introdotte nell’art. 61 cit. dalla l. n. 92 del 2012 – in un’attività produttiva chiaramente descritta ed identificata e funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato finale, cui partecipa con la sua prestazione il collaboratore, precisando tuttavia che la norma non richiede che il progetto specifico debba inerire ad una attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa (cfr., in tali termini, Cass. 16.11.2018 n. 29640), tuttavia è necessaria la riconducibilità dell’attività ” a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa “; il risultato diventa così un fattore chiave che giustifica l’autonomia gestionale del progetto o del programma di lavoro, sia nei tempi sia nelle modalità di realizzazione, e ciò perché l’interesse del creditore è relativo al perfezionamento del risultato convenuto che, pur non necessariamente identificandosi in uno specifico opus, deve in ogni caso assumere una sua precisa connotazione, differenziandosi dalla mera disponibilità, da parte del committente, di una prestazione di lavoro eterodiretta, tipica del rapporto di lavoro subordinato (così Sez. L, Ordinanza n. 5418 del 2019). Conseguentemente, al committente viene richiesto di esplicitare ex ante , in forma scritta (su cui cfr. Cass. 19 aprile 2016, n. 7716), l’obiettivo che il contratto si prefigge di
raggiungere ed il risultato della prestazione richiesta al collaboratore, che deve essere necessariamente rivolta a quell’obiettivo; non viene, invece, richiesto che il progetto abbia ad oggetto un’attività altamente specialistica o di particolare contenuto professionale, e tanto meno che sia unica e irripetibile.
8.2. Il progetto concordato non può comunque consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni, a carico del lavoratore, coincidenti con l’ordinaria attività aziendale (Cass. n. 17636 del 06/09/2016), in quanto i termini in questione non possono che essere intesi – pena il sostanziale svuotamento della portata della norma – come volti ad enucleare il contenuto della collaborazione in un quid distinto dalla mera messa a disposizione di energie lavorative nell’attuazione delle ordinarie attività aziendali. Si è, altresì, affermato che l’assenza del progetto di cui all’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, che rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie, ricorre sia quando manchi la prova della pattuizione di alcun progetto, sia allorché il progetto, effettivamente pattuito, risulti privo delle sue caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia (cfr Sez. L, Ordinanza n. 11778 del 2019 e Cass. n. 8142 del 29/03/2017).
8.3. Ciò posto, la sentenza impugnata non ha disconosciuto la necessità della individuazione di uno specifico progetto ai sensi dell’art. 61 del d.lgs 276 del 2003 (e, quindi, non è incorsa nella denunciata violazione di tale disposizione), ma ha ritenuto che i contratti di collaborazione a progetto stipulati dalle parti individuassero in maniera sufficientemente specifica il progetto affidato al collaboratore. Né, come erroneamente afferma il ricorrente, la Corte distrettuale ha ritenuto che il progetto si identificasse con il risultato, avendo al contrario individuato sia la specifica attività affidata al lavoratore ( incarico di individuare persone fisiche potenzialmente desiderose di concludere contratti di
mandato attraverso i quali la società svolge attività di money remittance transfert, comunicandone i relativi dati alla Società stessa ), che il risultato cui la medesima tende ( sottoscrizione di contratti di mandato su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento alle regioni Marche e Abruzzo in numero non inferiore a 900 ). La verifica di corrispondenza del singolo contratto al modello legale di cui all’art. 61 ed ai requisiti di forma di cui all’art. 62 d.lgs. n. 276/2003 è stata, dunque, correttamente effettuata. Per il resto la censura, pur formalmente denunciando un error in iudicando, contesta in sostanza l’apprezzamento di merito offerto dalla Corte territoriale circa il grado di specificità del progetto (cfr. Cass. n. 35277 del 2021), insindacabile in questa sede.
Il secondo motivo è inammissibile per plurime ragioni.
9.1. In primo luogo, si configura una ipotesi di cd. ‘ doppia conforme ‘ -avendo la Corte di Appello rigettato il gravame proposto dall’odierno ricorrente per le stesse ragioni già indicate dal giudice di primo grado a sostegno della decisione impugnata -sicché è preclusa, ai sensi dell’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., la possibilità di proporre, in sede di legittimità, la censura di omesso esame di fatti decisivi. In proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; Cass. 28/02/2023, n. 5947). Nel caso di specie, il ricorrente, non ha nemmeno dedotto che le ragioni poste a base della decisione d’appello siano altre e diverse rispetto a quelle che hanno fondato la decisione di primo grado, né tale diversità risulta dalla lettura della sentenza impugnata, dalla quale
al contrario emerge la piena condivisione delle motivazioni svolte dal Tribunale.
9.2. Il motivo è, poi, inammissibile anche perché l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate. (Cfr. Cass. n. 2268 del 26/01/2022 (Rv. 663758 – 01); Cass. n. 13024 del 26/04/2022 (Rv. 664615 01)). E’, infatti, palese che non è inquadrabile nel surrichiamato paradigma la censura concernente la valutazione, in tesi omessa, dell’utilizzazione (o meno) del ricorrente per soddisfare esigenze stabili di manodopera. 10. In ordine al terzo motivo occorre premettere che ‘ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica e dare poi conto del contenuto di tale atto, in modo di consentire a questa Corte di vagliare la decisività della censura. (Cass. n. 24062/2017).
10.1. Nel caso di specie, il ricorrente, in primo luogo, non ha ben chiarito quale sia la circostanza non contestata, avendo inizialmente dedotto che fosse quella del suo stabile inserimento nell’organizzazione della resistente al fine di soddisfare esigenze di manodopera di carattere stabile, salvo poi, dedurre che tale circostanza era stata allegata con la seguente affermazione, contenuta in ricorso, ‘ l’incarico conferito al ricorrente rappresenta
l’unica attività della società che, a tal fine, si avvale di lavoratori dipendenti ed a progetto ‘. Ove, poi, si volesse ritenere che le circostanze fattuali non contestate siano quelle riportate a pag. 16 dell’odierno ricorso, relative al contenuto della prestazione svolta dal ricorrente, esse in alcun modo potrebbero ritenersi decisive nel senso voluto, non emergendo dalle stesse alcuna relazione con l’organizzazione e l’attività aziendale. Inoltre, con riferimento alla condotta di non contestazione della Ria, il ricorrente si è limitato ad affermare che la non contestazione, ovvero ammissione, sarebbe avvenuta con la memoria di costituzione in primo grado ma non ha specificatamente indicato come, all’interno di tale atto, si sia perfezionata la fattispecie processuale della non contestazione, ripercorrendone i passaggi rilevanti. Pur deducendo, infatti, che la società resistente non avrebbe contestato la circostanza sopra testualmente richiamata, nel riportare le difese svolte dalla società convenuta (pag. 5 del ricorso) riferisce che questa ‘ ha preso posizione sull’eccepita coincidenza del progetto con l’oggetto sociale ed ha contestato che il ricorrente svolgesse attività analoghe a quelle dei propri dipendenti ‘.
10.2. In secondo luogo, la censura, per come svolta, investe un elemento valutativo riservato al giudice del merito, atteso che, nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (cfr., fra le altre, Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019 (Rv. 655681 – 01).
Quanto al motivo n. 4, può, in via preliminare escludersene l’inammissibilità in relazione al rilievo che esso è articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, posto che la sua formulazione permette di cogliere le doglianze prospettate e ne consente l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo
si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati.
11.1. Ciò posto, la prima parte del motivo svolta ai sensi dell’art. 360 n. 5 è, in ogni caso, inammissibile perché, come già esposto in relazione al motivo n. 2, nell’ipotesi di “doppia conforme”, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile, ai sensi dell’art. 348 – ter, ultimo comma, c.p.c., se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.
11.2. Quanto alla seconda parte del quarto motivo – ove si lamenta ex art. 360 n. 4 c.p.c. la violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. esso è in parte inammissibile ed in parte infondato. Premesso, infatti, che non è ravvisabile alcun vizio attinente all’individuazione del petitum , sotto il profilo della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (cfr. Cass. n. 30770 del 06/11/2023 (Rv. 669718 01), posto che la Corte d’appello ha chiaramente individuato la domanda del COGNOME come rivolta alla declaratoria di illegittimità dei contratti a progetto e conseguente domanda di conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, domanda che ha esaminato e motivatamente (per quanto supra sub. Punto 8.3) rigettato, il motivo è inammissibile, poiché con esso il ricorrente si duole di una valutazione rimessa al giudice del merito, quale è quella di irrilevanza della prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza peraltro neppure allegare le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere la prova testimoniale, né adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto. Il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è, infatti, censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi
l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che non illustri la decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione (Cass. n. 30810/2023), trascrivendo i capitoli di prova e indicando i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare (Cass. n. 9748 del 23/04/2010 (Rv. 612575 – 01); Cass. Sez. 6 – L n. 8204 del 04/04/2018 (Rv. 647571 – 01).
Il quinto motivo di ricorso è, del pari, inammissibile.
12.1. Quanto alla asserita violazione dell’art. 112 c.p.c., il motivo è inammissibile non avendo il ricorrente né riprodotto, almeno nei punti essenziali, né allegato al ricorso, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6 e 369, comma 2, n. 4, il suo atto di appello, al fine di consentire alla Corte di valutare – nel rispetto del principio di specificità sub specie di autosufficienza – l’eventuale sussistenza del vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato. E’ bensì vero, infatti, che la Corte di cassazione, chiamata ad accertare un error in procedendo è giudice anche del fatto, ed ha, pertanto, il potere di accedere agli atti di causa. E tuttavia, tale potere-dovere della Corte presuppone pur sempre l’ammissibilità della relativa censura, il che comporta che gli atti dai quali dovrebbe desumersi l’ error in procedendo , oltre che indicati, siano anche riprodotti (nelle parti essenziali), nel rispetto del principio di autosufficienza, ai sensi delle disposizioni succitate (cfr., ex plurimis, Cass. 1170/2004; 8575/2005; 16245/2005). Affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate
puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività. (Cass. n. 5344 del 04/03/2013 (Rv. 625408 – 01); Cass. n. 16102 del 02/08/2016 (Rv. 641581 – 01). In relazione al giudizio di appello occorre, più specificamente, che il ricorrente non solo deduca di aver ritualmente impugnato la sentenza di primo grado in relazione alla domanda il cui esame sarebbe stato, in tesi, omesso, ma -per il principio di autosufficienza – indichi elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso proposito, non essendo tale vizio rilevabile ” ex officio ” (Cfr. Cass. n. 7499 del 15/03/2019 (Rv. 653628 – 01). 12.2. Nel caso di specie il COGNOME si limita a dedurre di aver richiesto in via subordinata, che ” qualora il Giudice del Lavoro dovesse dichiarare valido il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, dichiarare il diritto del ricorrente al pagamento della differenza tra quanto avrebbe dovuto percepire in ragione dei minimi previsti dal ccnl indicato nel ricorso introduttivo e quanto ha in effetti ricevuto in base allo svolgimento del rapporto, nella misura che sarà indicata a seguito di C.T.U. ” – senza precisare ove ha svolto tale domanda, se il giudice di primo grado la ha esaminata e se l’eventuale pronuncia negativa è stata fatta oggetto di motivo di appello sul quale la Corte distrettuale abbia omesso di pronunciarsi ed a richiamare le ‘pagg. 5 -6 del ricorso in appello contenuto nel fascicolo di parte di secondo grado’ ove sarebbe stata svolta, in termini imprecisati, l’allegazione di circostanze rilevanti ai fini dell’accoglimento della domanda (compenso percepito, il numero di contratti che ha concluso mensilmente, la disposizione del contratto di lavoro sottoscritto
sula base del quale calcolare la parte variabile del corrispettivo ed il contratto collettivo nazionale applicabile).
12.3. Occorre, peraltro, rilevare che tale carenza di specificità non è integrabile dalla mera lettura del provvedimento impugnato atteso che la Corte d’appello nella parte relativa alla sommaria esposizione dei fatti si limita a riportare che ‘ il ricorrente domandava, altresì, il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno ex art. 32 l. n. 183 del 2010 o, in subordine, il riconoscimento di una maggiorazione retributiva, corrispondente alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi di categoria applicati ai lavoratori che svolgono mansioni analoghe a quelle del collaboratore a progetto ‘ e, relativamente ai motivi di appello, che con il gravame ‘ il lavoratore ha sostanzialmente riproposto tutte le istanze già sollevate nel corso del precedente giudizio e disattese dal Tribunale ‘.
12.4. Il motivo è, altresì, inammissibile perché il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (ratione temporis vigente) (cfr. Cass. Sez. L. n. 25281 del 25/08/2023 (Rv. 669071 – 01)
12.5. Per quanto attiene alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. deve precisarsi che il principio del libero convincimento, posto a fondamento delle suddette norme, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice di merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1 , n. 4, c.p.c., bensì un
errore di fatto che va censurato nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021 (Rv. 662803 – 01)
13. In relazione al sesto motivo deve farsi applicazione del disposto dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c., in ragione della funzione nomofilattica affidata alla Suprema Corte dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, della Costituzione. Essendo in discussione la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della l. n. 183 del 2010, non rileva la dedotta erroneità della motivazione, perché, come si desume dal citato art. 384 c.p.c., quando viene sottoposto a sindacato il giudizio di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato soltanto alla plausibilità della giustificazione, sicché, il giudizio di diritto può risultare incensurabile anche se mal giustificato perché la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione ma solo a correzione quando il dispositivo sia conforme al diritto (cfr. ex multis, Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 20719 del 13/08/2018 (Rv. 650017 -01).
13.1. Nel caso di specie, la motivazione posta dalla Corte d’appello a base del rigetto della domanda ex art. 32 l. n. 183 del 2010 risulta erronea atteso che ‘il regime indennitario istituito dall’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, si applica anche al contratto di collaborazione a progetto illegittimo, quale fattispecie in cui ricorrono le condizioni della natura a tempo determinato del contratto di lavoro e della presenza di un fenomeno di conversione (in tal senso si vd. Sez. L., n. 24100 del 26/09/2019 (Rv. 655066 01), tuttavia, il regime decadenziale di cui all’art. 32, comma 3, lett. b) della l. n. 183 del 2010, si applica al solo caso di “recesso del committente” e non è estensibile alle ipotesi, quale quella in esame, in cui manchi del tutto un atto che il lavoratore abbia
interesse a contestare o confutare (così Cass. Sez. L, n. 32254 del 10/12/2019 (Rv. 656007 – 01).
13.2. Il dispositivo di rigetto della domanda, tuttavia, è corretto. Come evidenziato, infatti, presupposto indefettibile della spettanza della misura indennitaria è che si applichi il meccanismo sanzionatorio della ‘conversione’ del contratto di lavoro a progetto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 69 del d.lgs. n. 276/2003, cosa che, nel caso di specie, è stata esclusa.
Il ricorso, in conclusione, va rigettato.
Il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a
quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione