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Contratto a progetto: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello che riqualificava due contratti a progetto in contratti di lavoro subordinato. La sentenza sottolinea che la natura del rapporto di lavoro si determina in base alle concrete modalità di svolgimento della prestazione e non alla qualificazione formale data dalle parti. La presenza di indici quali l’osservanza di un orario fisso, la supervisione costante e l’utilizzo di strumenti aziendali ha portato a riconoscere la sussistenza della subordinazione, con conseguente condanna delle società datrici di lavoro al pagamento delle differenze retributive e al ripristino dei rapporti.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratto a progetto: quando la sostanza prevale sulla forma

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nel diritto del lavoro: per distinguere un contratto a progetto da un rapporto di lavoro subordinato, non conta il nome dato al contratto, ma le concrete modalità con cui la prestazione viene eseguita. La pronuncia in esame ha confermato la riqualificazione di due contratti di collaborazione in veri e propri rapporti di lavoro dipendente, offrendo importanti spunti di riflessione per lavoratori e aziende.

I Fatti del Caso

Due lavoratrici erano state assunte da una società di servizi con un contratto a progetto per svolgere attività di recupero crediti. Successivamente, una delle due è passata a un’altra società, mantenendo lo stesso tipo di contratto. Le lavoratrici, ritenendo che il loro rapporto avesse in realtà le caratteristiche del lavoro dipendente, si sono rivolte al giudice per chiederne la riqualificazione.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha dato loro ragione. Attraverso le testimonianze, è emerso che le lavoratrici erano tenute a rispettare un orario di lavoro fisso, a giustificare ritardi e assenze, a utilizzare gli strumenti forniti dall’azienda e a sottostare a una costante supervisione da parte dei responsabili. Questi ultimi fornivano elenchi di persone da contattare e istruzioni dettagliate su come procedere, esercitando un penetrante controllo sull’attività svolta.

La Decisione della Corte di Cassazione

Le due società hanno impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando diverse obiezioni, sia di natura procedurale che di merito. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato entrambi i ricorsi, confermando in toto la decisione dei giudici di secondo grado. La Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente valutato le prove e applicato i principi giuridici in materia, concludendo che il rapporto di lavoro, nei fatti, era caratterizzato dalla subordinazione.

Le motivazioni della sentenza sul contratto a progetto

Il cuore della decisione risiede nell’analisi degli elementi che distinguono il lavoro autonomo da quello subordinato. La Cassazione ha chiarito che, al di là del progetto formalmente indicato nel contratto (recupero crediti per grandi aziende), l’attività quotidiana delle lavoratrici era eterodiretta dal datore di lavoro.

I giudici hanno dato peso ai seguenti indici di subordinazione:

* Obbligo di orario: Le lavoratrici dovevano osservare un orario di lavoro specifico indicato dalla società.
* Controllo e supervisione: I responsabili aziendali supervisionavano costantemente l’operato, controllando l’attività e fornendo istruzioni precise.
* Utilizzo di strumenti aziendali: Le mansioni venivano espletate utilizzando postazioni e strumenti di proprietà dell’azienda.
Eterodirezione: Le lavoratrici non avevano autonomia nella gestione della propria attività, ma seguivano le direttive impartite, che includevano anche compiti non previsti dal contratto, come la gestione delle telefonate in entrata (attività inbound*).

La Corte ha inoltre specificato che la valutazione sulla sussistenza della subordinazione è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e non può essere riesaminato in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione, in questo caso non riscontrati. È stato quindi confermato che quando la prestazione lavorativa si inserisce stabilmente nell’organizzazione aziendale e il lavoratore è soggetto al potere direttivo del datore, il rapporto deve essere qualificato come subordinato, a prescindere dal nomen iuris utilizzato nel contratto a progetto.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

Questa sentenza riafferma con forza il principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Non è sufficiente redigere un contratto a progetto per eludere le tutele previste per il lavoro subordinato. I datori di lavoro devono prestare la massima attenzione a garantire che le collaborazioni autonome siano genuine, lasciando al lavoratore una reale autonomia organizzativa e gestionale. In caso contrario, il rischio è quello di subire un’azione giudiziaria con conseguente condanna alla riqualificazione del rapporto, al pagamento di cospicue differenze retributive e contributive, e al ripristino del rapporto di lavoro.

Quando un contratto a progetto può essere considerato lavoro subordinato?
Un contratto a progetto viene considerato lavoro subordinato quando, al di là della qualificazione formale, le concrete modalità di svolgimento della prestazione rivelano l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro.

Quali sono gli indici della subordinazione in un rapporto di lavoro?
Secondo la sentenza, gli indici principali sono l’obbligo di osservare un orario di lavoro, la necessità di giustificare ritardi e assenze, l’utilizzo di strumenti aziendali, la costante supervisione da parte di superiori, la ricezione di istruzioni dettagliate e l’inserimento stabile del lavoratore nell’organizzazione aziendale.

La qualificazione formale del contratto è sufficiente per escludere la subordinazione?
No, la qualificazione formale data dalle parti al contratto (ad esempio, ‘contratto a progetto’) non è sufficiente. Ciò che conta è la realtà effettiva del rapporto di lavoro e le modalità con cui la prestazione viene concretamente eseguita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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