Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7727 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7727 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24359-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA RAGIONE_SOCIALE CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 47/2022 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 07/04/2022 R.G.N. 68/2021;
R.G.N. 24359/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/12/2023
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Cagliari accoglieva l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale della medesima sede che, in accoglimento per quanto di ragione del ricorso proposto da COGNOME NOME, aveva dichiarato l’illegittimità dei contratti di RAGIONE_SOCIALE a termine oggetto di causa, condannando detto RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del lavoratore, a titolo di risarcitorio, di una somma pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con rivalutazione monetaria e interessi legali dalla data della sentenza fino al saldo; pertanto, detta Corte, in riforma integrale di detta sentenza, rigettava tutte le domande del lavoratore.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che il ricorrente aveva lavorato alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE convenuto, con qualifica di ‘operaio qualificato addetto alla manutenzione delle opere ed all’esercizio degli impianti di distribuz ione irrigua del Campidano di Cagliari’, in forza di una pluralità di contratti di RAGIONE_SOCIALE a tempo determinato e delle correlative proroghe nei periodi in dettaglio indicati compresi tra il 26.6.1995 e il 14.9.2013 e premetteva, altresì, le ragioni poste a fondamento del suo ricorso, con il quale aveva chiesto al Tribunale l’accertamento della nullità del termine apposto ai contratti di RAGIONE_SOCIALE e la loro conversione in un unico rapporto di RAGIONE_SOCIALE a tempo indeterminato, oltre alla ricostruzione di carriera e la condanna del convenuto al
pagamento delle differenze retributive conseguenti risarcimento del danno.
2.1. Quindi, dopo aver respinto il primo motivo d’appello del RAGIONE_SOCIALE, a mezzo del quale esso aveva riproposto la sua eccezione di decadenza ex art. 32 L. n. 183/2010, già ritenuta infondata dal primo giudice, accoglieva, invece, il secondo motivo d’appello circa la stagionalità dell’attività.
2.2. Più in particolare, specificate le attività cui era stato normalmente adibito il lavoratore, come desunte dai diversi contratti stipulati, considerava che il Tribunale aveva escluso correttamente che tale attività rientri nell’elenco di cui al d.P.R. n. 1525/1963, in cui l’unica voce che può attagliarsi all’attività dei consorzi di RAGIONE_SOCIALE è la n. 13, ‘Taglio delle erbe palustri, diserbo dei canali, riordinamento delle scoline delle opere consortili di RAGIONE_SOCIALE‘, attività diversa quindi dal RAGIONE_SOCIALE svo lto dal ricorrente.
2.3. Riteneva, invece, meritevole di approfondimento il punto in cui lo stesso Tribunale aveva escluso .
Considerava, infatti, . Argomentava, quindi, che detta definizione contrattuale di RAGIONE_SOCIALE stagionale fosse ampliativa e non meramente riproduttiva della previsione di cui al d.P.R. n. 1525/1963, e concludeva ‘che le mansioni attribuite all’ap pellato nel corso dei vari contratti stipulati rientrino in linea generale tra quelle previste dall’art. 128 CCNL e, perciò, rientrino nella tipologia dei contratti stagionali che l’art. 5, comma 4 ter D.L.gs. 368 -2001 sottrae all’applicazione del comma 4 bis, che lo precede’.
2.4. Inoltre, andando in contrario avviso rispetto a quanto considerato dal primo giudice, e valutando i singoli contratti stipulati, riteneva che tutti quelli stipulati con riferimento al periodo da marzo a dicembre erano stati legittimamente stipulati pe r l’esercizio di attività stagionali e che, nella peggiore delle ipotesi, solo quelli nel periodo da dicembre a marzo non lo fossero, sicché il superamento del limite dei 36 mesi andrebbe valutato solo conteggiando la loro durata, con la conclusione che pacificamente non era stato superato, viste l’esiguità del loro numero e la ridotta durata.
Secondo la Corte distrettuale, allo stesso risultato si doveva giungere anche per altra via, considerando anzitutto che la stagionalità, come correttamente rilevato dall’appellante, non poteva essere stabilita con riferimento ad un rigido arco temporale, ma doveva tener conto della variabilità dell’andamento delle precipitazioni atmosferiche nell’isola, notoriamente caratterizzato dall’incostanza e dal
verificarsi di lunghi periodi siccitosi anche nei mesi invernali. E di tanto, secondo la Corte, esisteva anche un riscontro a livello contrattuale, poiché l’art. 143 C.C.N.L., sui trasferimenti degli operai avventizi, richiede all’uopo testualmente, un ‘pr eavviso di mesi sei’: ciò che presuppone una ‘stagione’ di durata particolarmente lunga. Inoltre, neppure la durata dei contratti stipulati tra le parti sembrava di ostacolo alla riconduzione degli stessi al RAGIONE_SOCIALE stagionale; né il fatto che taluni contratti siano stati relativi a prestazioni svolte nel mese di dicembre o, comunque, nel periodo ‘invernale’ non poteva far presumere una carenza di stagionalità nell’attività.
In definitiva, per la Corte si doveva ritenere operante la deroga prevista dal comma 4 ter dell’art. 5 d.lgs. n. 368/2001, e non si applicava l’art. 5, comma 4 bis, dello stesso decreto, il che portava alla riforma dell’impugnata sentenza con l’accoglimento dell’appello del RAGIONE_SOCIALE ed il conseguente rigetto della domanda del ricorrente.
Avverso tale decisione, COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi di ricorso.
Il RAGIONE_SOCIALE intimato ha resistito con controricorso.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con il primo motivo, in via principale, il ricorrente denuncia la ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4-ter del d.lgs. 368/2001, laddove interpretato nel senso di consentire l’individuazione, attraverso la contrattazione collettiva, di i potesi di ‘attività stagionali’ diverse da quelle tassativamente specificate dal d.P.R. 1525/1963 e ss.mm.ii’.
1.1. Secondo il ricorrente, la formulazione letterale dell’art. 5, comma 4 -ter, d.lgs. 368/2001, non sarebbe del tutto perspicua, non essendo in particolare chiaro se il dimostrativo ‘quelle’, che nel periodo designa attività diverse da quelle, sicuramente stagionali, indicate dal d.P.R. 1525/1963, debba intendersi riferito soltanto ad ulteriori attività stagionali, ovvero ad altre attività diverse da quelle stagionali. Per il ricorrente, la Corte di merito aveva accreditato la prima ipotesi interpretativa, e cioè che l’ora cit. comma 4 -ter dell’art. 5 aveva abilitato le parti collettive ad individuare attività stagionali ulteriori rispetto a quelle indicate nel cit. d.P.R. 1525/1963. Al contrario, secondo il ricorrente, la facoltà di individuare altre attiv ità esentate dall’applicazione del comma 4-bis mediante la contrattazione collettiva si poteva esercitare con riferimento ad attività diverse da quelle stagionali, come indicate tassativamente nel ridetto d.P.R.
Con il secondo motivo, in via subordinata, denuncia la ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 128 del CCNL per i dipendenti del RAGIONE_SOCIALE del 25 marzo 2010 in relazione all’art. 5, comma 4 -ter del d.lgs. 368/2001, laddove attribuisce a tale norma il significato di individuare attività stagionali diverse da quelle specificate dal n. 13 del d.P.R. 1525/1963′. Secondo il ricorrente, in sintesi, la Corte territoriale, nell’interpretare la cit. norma collettiva, erroneamente avrebbe fatto capo, peraltro implicitamente, al canone ermeneutico di cui all’art. 1365 c.c. in tema di ‘Indicazioni esemplificative’, e, piuttosto, avrebbe dovuto far applicazione del canone di cui all’art. 1364 c.c., nonché di quello di cui al l’art. 1362, comma primo, c.c. con riferimento alla ‘comune intenzione delle parti’.
4. Il primo motivo è infondato.
L’art. 5, comma 4 -ter, d.lgs. n. 368/2001 (comma aggiunto dall’art. 1, comma 40, lettera b), L. 24.12.2007, n. 247), recita: ‘Le disposizioni di cui al comma 4 -bis non trovano applicazione nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifiche ed integrazioni, nonché di quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle RAGIONE_SOCIALE voro RAGIONE_SOCIALE più rappresentative’.
Ebbene, questa Corte di legittimità, di recente, più volte ha già affermato che detta norma effettivamente anzitutto autorizza le fonti collettive nazionali più rappresentative ad individuare le attività stagionali rispetto alle quali opera la deroga al divieto di superamento del limite massimo di trentasei mesi di durata cumulativa dei contratti a termine di cui all’art. 5, comma 4 bis, d.lgs. n. 368/2001, ponendo, però, in luce i limiti di tale delega alle parti collettive, come si vedrà meglio infra (v. Cass., sez. lav., 15.11.2023, n. 31755; id. n. 9243/2023; n. 9212/2023; n. 5065/2023; n. 5064/2023).
Del resto, il comma 4-ter in questione deroga esplicitamente a tutte le disposizioni di cui all’immediatamente precedente comma 4-bis dello stesso art. 5 d.lgs. n. 368/2001 (comma parimenti e contestualmente inserito in detto articolo dall’art. 1, comma 40, lettera b), L. n. 247/2007, e poi successivamente modificato).
E il comma 4 bis si apre con un (secondo) inciso che fa ‘salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendali con le RAGIONE_SOCIALE
sindacali RAGIONE_SOCIALE più rappresentative sul piano nazionale’, sicché già in base a tali fonti collettive, anche non nazionali, è consentito superare il limite dei 36 mesi ivi sancito.
Per conseguenza, sarebbe privo di senso logico-normativo plausibile riconnettere agli ‘avvisi comuni’ e ai ‘contratti collettivi nazionali stipulati dalle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE più rappresentative’, di cui alla seconda ipotesi prevista dal comma 4-ter, il potere di individuare attività non ‘stagionali’, ma in grado, una volta così individuate, di consentire la deroga all’applicazione delle disposizioni di cui al precedente comma 2-bis.
E ciò in una duplice prospettiva. Da un lato, come già notato, il comma 4-bis consentiva ai contratti collettivi di qualsiasi livello il superamento del limite complessivo di 36 mesi, indipendentemente dalle attività che vengano in considerazione nei pluri mi contratti a termine. Dall’altro lato, ritenere attribuito sia pure solo ad avvisi e contratti collettivi di rango nazionale il potere di individuare liberamente e senza freni attività non stagionali in grado di sottrarre i relativi contratti di RAGIONE_SOCIALE a termine, con eventuali proroghe e rinnovi, al ridetto limite complessivo di 36 mesi, significherebbe attribuire alla norma di cui al comma 4-ter una portata, non limitatamente derogatoria in rapporto a una stagionalità di attività, ben tipizzata a livello legale o contrattual-RAGIONE_SOCIALE, ma praticamente antinomica, in parte qua , rispetto alla previsione di cui al comma precedente.
Devesi, perciò, confermare che il comma 4-ter abbia inteso soltanto attribuire alle fonti collettive ivi indicate la facoltà di individuare attività sempre stagionali, ma ulteriori rispetto a quelle ‘definite dal decreto del Presidente della
Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifiche e integrazioni’, salvo quanto si preciserà appresso nell’esaminare il secondo motivo di ricorso.
La decisione della Corte di merito, perciò, è conforme a legge nel punto in cui ha affermato che il comma 4 ter dell’art. 5 d.lgs. n. 368/2001 dà alle parti collettive la possibilità di individuare altri lavori stagionali per i quali è possibile l’assun zione a termine ripetuta senza il limite di trentasei mesi.
Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
L’interpretazione dell’art. 128 del CCNL per i dipendenti dai consorzi di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in data 25.3.2010, fornita dalla Corte territoriale, è infatti condivisibile.
Tale articolo è quello di apertura del Titolo V di detto CCNL, che riguarda la ‘disciplina del rapporto di RAGIONE_SOCIALE degli operai avventizi’, e, sotto la rubrica ‘Classificazione degli operai’, recita:
‘ Gli operai avventizi stagionali sono quelli addetti ai lavori stagionali di manutenzione delle opere e degli impianti consorziali (taglio delle erbe, sia acquatiche che di sponda, diserbo e spurgo dei canali, irrigazione, riordino delle scoline, ecc.) nonché gli operai avventizi addetti alla esecuzione delle opere eseguite in amministrazione diretta.
Gli operai di cui al precedente comma sono classificati nelle aree e profili professionali di cui all’art. 2 ed in conformità ai criteri sanciti dallo stesso art. 2.
I predetti operai sono assunti con rapporto di RAGIONE_SOCIALE a tempo determinato ai sensi e con le norme di cui al D.Lgs.
2001, n. 368, ed all’art. 23, 1° comma, della legge 28 febbraio 1987, n. 56 ‘.
Nota preliminarmente il Collegio che tale articolo si colloca in un CCNL dell’anno 2010, quando già da tempo era vigente l’art. 5 d.lgs. n. 368/2001, con le aggiunte dei commi, per quanto qui interessa, inseritivi dall’art. 1, comma 40, lett. b), l. n. 247/2007; inoltre, fa esplicito riferimento alle ‘norme di cui al’ d.lgs. n. 368/2001 senza eccezioni, ai fini dell’assunzione degli operai avventizi stagionali.
E tali dati obiettivi depongono nel senso della consapevolezza in capo alle parti collettive del novellato quadro normativo e quindi della loro rilevante facoltà, in precedenza non prevista, di individuare, in base ad esso, attività stagionali ulteriori e diverse da quelle da tempo delineate dal d.P.R. n. 1525/1963, ai fini della successione di più contratti a termine.
Tornando, allora, al testo dell’art. 128 del CCNL, come pur rilevato dalla Corte territoriale, nel comma primo dello stesso si riscontra una parziale e quindi non integrale corrispondenza con le attività stagionali ex n. 13 d.P.R. n. 1525/1963, dove so no contemplate quali ‘attività a carattere stagionale’, riferibili ai RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE: ‘Taglio delle erbe palustri, diserbo dei canali, riordinamento scoline delle opere consortili di RAGIONE_SOCIALE‘.
In particolare, la Corte ha evidenziato che .
E tali rilievi sono indubbiamente aderenti alla lettera del primo comma dell’art. 128 in esame.
Osserva in aggiunta questo Collegio, e sempre sul terreno del ‘senso letterale delle parole’ ex art. 1362, comma primo, c.c., che tale primo comma, pur non menzionando il d.P.R. n. 1525/1963, utilizza l’aggettivo ‘stagionali’ per due volte: una prima v olta per gli ‘operai avventizi’ (compresi quelli ‘addetti alla esecuzione delle opere eseguite in amministrazione diretta’) ed una seconda volta per i ‘lavori’; il che mette in luce l’intenzione delle parti collettive dello specifico settore, ma a livello nazionale, di effettivamente intervenire a riguardo per individuare, come all’epoca consentito dall’art. 5, comma 4 ter, d.lgs. n. 368/2001, ‘attività stagionali’ ulteriori, ma consimili, rispetto a quelle già delineate al n. 13 dell’ora cit. d.P.R.
Tutto ciò rilevato, occorre adesso considerare che gli stessi precedenti di questa Corte sopra già richiamati hanno enunciato il principio di diritto, secondo il quale, in tema di successione di contratti di RAGIONE_SOCIALE a tempo determinato, la deroga -ex art. 5, comma 4-ter, del d.lgs. n. 368 del 2001 -al divieto di superamento del limite massimo di trentasei mesi di durata cumulativa dei contratti, riguardante attività stagionali, ossia preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione), presuppone, ai fini della sua operatività, che la contrattazione collettiva, in attuazione della delega conferita dalla citata disposizione normativa, elenchi specificamente le predette
attività (così in particolare la già cit. Cass., sez. lav., 17.2.2023, n. 5064, e le altre in senso conforme pure sopra richiamate, alle cui motivazioni si rimanda anche ex art. 118 disp. att. c.p.c.).
Ebbene, ritiene il Collegio che la precipua previsione collettiva ora in esame, diversamente da quelle (del tutto diverse e di settore differente) che venivano in considerazione nelle fattispecie di cui si sono occupate le richiamate decisioni, debba invece reputarsi idonea a dar corpo alla delega alla contrattazione collettiva operata dalla disposizione avente forza di legge.
In particolare, secondo quanto già considerato, l’art. 128 del CCNL di settore nel suo contenuto, quando parla di ‘lavori stagionali’, in termini parzialmente difformi o di aggiunta in confronto alle ipotesi contemplate dal n. 13 di tale d.P.R., lo fa in r elazione ad attività quali ‘manutenzione ed esercizio delle opere e degli impianti consorziali’ e ‘irrigazione’, ossia, attività che non possono reputarsi per loro natura continuative e che, piuttosto, proprio perché simili ed accostate a quelle già normativamente previste, plausibilmente sono definite ‘stagionali’.
Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del