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Contratti stagionali: CCNL può ampliare le ipotesi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7727/2024, ha stabilito la legittimità di una successione di contratti a termine oltre il limite di 36 mesi, poiché l’attività lavorativa rientrava tra i contratti stagionali definiti dal CCNL di settore. La Corte ha confermato che la contrattazione collettiva ha il potere di individuare ulteriori attività stagionali rispetto a quelle già previste dal d.P.R. 1525/1963, respingendo il ricorso del lavoratore che ne chiedeva la conversione in rapporto a tempo indeterminato.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti stagionali: la Cassazione conferma il potere del CCNL di ampliarne la definizione

L’ordinanza n. 7727/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: i limiti e le deroghe applicabili ai contratti stagionali. La Suprema Corte ha chiarito che la contrattazione collettiva nazionale (CCNL) può legittimamente individuare attività stagionali ulteriori rispetto a quelle elencate in via generale dalla legge, escludendole così dal limite massimo di durata di 36 mesi previsto per la successione di contratti a termine. Questa decisione consolida il ruolo delle parti sociali nella definizione delle specificità dei settori produttivi.

I fatti di causa

Un lavoratore, impiegato per quasi vent’anni presso un Consorzio di Bonifica attraverso una serie di contratti a tempo determinato, ha citato in giudizio il datore di lavoro. Egli sosteneva l’illegittimità della successione di contratti, chiedendone la conversione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente ricostruzione di carriera e risarcimento del danno.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente le sue richieste, riconoscendo l’illegittimità dei contratti e condannando il Consorzio a un risarcimento. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo la tesi del Consorzio secondo cui le mansioni svolte dal lavoratore (manutenzione opere e impianti di distribuzione irrigua) rientravano nelle attività stagionali come definite dall’articolo 128 del CCNL di settore. Il caso è quindi giunto all’attenzione della Corte di Cassazione su ricorso del lavoratore.

La questione giuridica sui contratti stagionali

Il nucleo della controversia riguardava l’interpretazione dell’art. 5, comma 4-ter, del D.Lgs. 368/2001. Questa norma prevede una deroga al limite dei 36 mesi per i contratti a termine successivi, applicabile alle attività stagionali definite dal d.P.R. n. 1525/1963 e “a quelle che saranno individuate dai contratti collettivi nazionali”.

Il ricorrente sosteneva che il CCNL potesse solo specificare ulteriori attività intrinsecamente stagionali, ma non creare ex novo categorie di lavoro stagionale diverse da quelle previste dalla legge. In sostanza, la contrattazione collettiva non poteva trasformare un’attività non stagionale in stagionale. La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere sulla portata di questa delega conferita dalla legge alle parti sociali.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno affermato che la decisione della Corte d’Appello era conforme alla legge. L’art. 5, comma 4-ter del D.Lgs. 368/2001 conferisce espressamente alle parti collettive la facoltà di individuare altri lavori stagionali per i quali è possibile l’assunzione a termine ripetuta senza il limite di trentasei mesi.

Analizzando l’art. 128 del CCNL dei Consorzi di Bonifica, la Corte ha osservato che tale norma definisce come “operai avventizi stagionali” quelli addetti a lavori di manutenzione ed esercizio delle opere e degli impianti consorziali (come taglio erbe, irrigazione, riordino scoline). Secondo la Cassazione, questa definizione contrattuale è un’espansione legittima e non meramente riproduttiva delle attività già elencate nel d.P.R. 1525/1963.

La Corte ha sottolineato che l’intenzione delle parti collettive era chiara: intervenire, come consentito dalla legge, per individuare attività stagionali ulteriori ma simili a quelle già previste, come la “manutenzione ed esercizio delle opere e degli impianti consorziali” e l'”irrigazione”. Queste attività, per loro natura, non sono continuative e sono plausibilmente definibili come stagionali perché legate a cicli climatici e necessità operative periodiche. Pertanto, la previsione del CCNL è stata ritenuta idonea a dare corpo alla delega legislativa, rendendo legittima la successione dei contratti stipulati con il lavoratore.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito che i contratti collettivi nazionali hanno il potere di ampliare il novero dei contratti stagionali, a condizione che le attività individuate siano riconducibili a una logica di stagionalità e non siano palesemente continuative. La sentenza ribadisce l’importanza della contrattazione collettiva come fonte normativa in grado di adattare la disciplina generale del lavoro alle esigenze specifiche dei singoli settori, fornendo così certezza giuridica sia ai datori di lavoro che ai lavoratori.

Un contratto collettivo (CCNL) può definire nuove attività stagionali oltre a quelle previste dalla legge?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’art. 5, comma 4-ter, del D.Lgs. 368/2001 delega espressamente alla contrattazione collettiva nazionale la facoltà di individuare ulteriori attività stagionali, per le quali non si applica il limite massimo di 36 mesi per i contratti a termine.

Qual era l’attività svolta dal lavoratore nel caso specifico?
Il lavoratore era qualificato come “operaio qualificato addetto alla manutenzione delle opere ed all’esercizio degli impianti di distribuzione irrigua”, mansioni che il CCNL dei Consorzi di Bonifica classificava esplicitamente come lavori stagionali.

Perché la successione dei contratti a termine del lavoratore è stata considerata legittima?
È stata considerata legittima perché le sue mansioni rientravano nella definizione di attività stagionale prevista dall’art. 128 del CCNL applicabile. Di conseguenza, il rapporto di lavoro era escluso dall’applicazione del limite legale di durata complessiva di 36 mesi per i contratti a tempo determinato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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