Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20573 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20573 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1369/2023 R.G. proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE DI MESSINA rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME PATERNÒ, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio legale COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME elettivamente domiciliato presso la casella di posta
Oggetto:
Oggetto:
art.
15
octies
d.lgs. n. 502 del 1992 –
Rapporti
veterinari
con
convenzione
elettronica del predetto professionista come risultante dai Registri di Giustizia;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 537/2022 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 29/06/2022 R.G.N. 256/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/05/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME veterinario, c on ricorso depositato il 26 agosto 2020 ha proposto appello contro la sentenza n. 491/2020 del 12 maggio 2020, con la quale il Tribunale di Messina aveva rigettato la sua domanda volta al riconoscimento della natura parasubordinata dei contratti a tempo determinato stipulati, senza soluzione di continuità, a decorrere dal 20 agosto 2002 e fino al 31 dicembre 2009 (essendo stato successivamente stabilizzato mediante trasformazione dei rapporti in contratto ambulatoriale a tempo indeterminato) con l’Azienda sanitaria provinciale di Messina (da ora, ASP Messina), per lo svolgimento di attività libero professionale di collaborazione a progetto, quale veterinario convenzionato, nonché le ulteriori sue domande di risarcimento del danno e di riconoscimento dell’adeguamento del compenso ai sensi dell’A.C.N. del 23 marzo 2005, con condanna al pagamento delle dovute differenze retributive.
L’appellante ha esposto che:
-aveva lavorato alle dipendenze dell’ASP Messina dal 2002 al 2009 in base a plurimi e illegittimi contratti di diritto privato stipulati ai sensi dell’art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992, in esito a selezione pubblica indetta con delibera n. 3370 del 19 giugno 2002, rendendo, di fatto, prestazioni riconducibili ai livelli assistenziali LEA e ‘in sostituzione dell’attività ordinaria’;
-aveva interesse all’applicazione, per il detto lasso di tempo, del trattamento economiconormativo previsto dall’A.C.N. del 23 marzo 2005, in considerazione della norma transitoria n. 4 del medesimo A.C.N.;
in particolare, aveva stipulato il primo contratto di diritto privato a tempo determinato in qualità di medico veterinario ai sensi del citato art. 15 octies , per espletare il progetto denominato ‘sistema di sorveglianza della BSE, di profilassi della Blue Tongue e di eradicazione della BR, TBC e LEB’, poi prorogato sino al 2004;
aveva concluso un ulteriore contratto il 14 febbraio 2005 per assolvere ad un altro progetto dal titolo ‘Sistema di reti di sorveglianza epidemiologica delle malattie infettive e infestive degli animali domestici, della tutela igienico-sanitaria degli alimenti di origine animale in tutta la filiera e dell’igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche’;
-aveva prestato la sua attività in favore dell’ASP Messina sino al 31 dicembre 2009, in virtù delle proroghe intervenute nel frattempo;
-infine, con delibera n. 115 dell’11 gennaio 2010, il rapporto in essere era stato trasformato in contratto a tempo indeterminato in regime convenzionato ai sensi dell’A.C.N. del 29 luglio 2009;
-aveva convenuto in giudizio la ASP per far dichiarare l’illegittimità del termine apposto ai contratti a tempo determinato con la stessa stipulati, senza soluzione di continuità, intervenuti prima della stabilizzazione, per lo svolgimento di attività libero professionale di collaborazione a progetto, quale medico veterinario convenzionato;
-aveva, pertanto, avanzato domanda risarcitoria, nonché domanda volta al riconoscimento dell’adeguamento del compenso ai sensi del A.C.N. del 23 marzo 2005, con condanna dell’ASP al pagamento delle differenze retributive, anche rispetto al lavoro straordinario prestato e all’indennità per ferie non godute;
-il Tribunale di Messina aveva disatteso tale prospettazione ritenendo che, nella specie, ricorressero gli elementi differenziali della prestazione autonoma ex artt. 2222 ss. cod. civ. rispetto alla collaborazione coordinata e continuativa e che, quindi, non fosse applicabile il menzionato A.C.N.
Si è costituita l’ASP Messina che ha chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza n. 537/2022, ha accolto il gravame in parte, dichiarando l’illegittimità delle forme contrattuali utilizzate dall’Azienda Sanitaria, riconoscendo il diritto dell’appellante all’applicazione dell’ACN del 23 marzo 2005 con condanna dell’azienda al pagamento in suo favore della somma di euro 164.650,65, rigettando la richiesta di risarcimento del danno e di riconoscimento delle ore prestate in eccesso; ha compensato per metà le spese del primo e secondo grado e condannato l’Azienda al pagamento della residua quota.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che:
-erano illegittimi i contratti stipulati dall’Amministrazione, poiché dissimulanti un rapporto sostanziale di convenzionamento e non riferibili ad uno ‘specifico progetto’, ma finalizzati all’assolvimento di servizi strettamente connessi alle attività ordinarie dell’Amministrazione per la realizzazione dei livelli essenziali di assistenza in materia di sanità animale, al fine di colmare le carenze strutturali della dotazione interna;
-detti contratti erano stati stipulati ai sensi dell’art. 15 octies del d.lgs. n. 502/1992 come modificato dall’art. 13 del d.lgs. n. 299/1999 nonché ai sensi dell’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 e dunque per l’attuazione di progetti specifici, non per lo svolgimento dell’attività ordinaria e per assolvere ad esigenze non fronteggiabili con il personale in servizio;
-nello specifico gli stessi erano stati intesi ad utilizzare professionalità per lo svolgimento dell’attività ordinaria;
-non era neppure soddisfatto il requisito della temporaneità o eccezionalità delle esigenze a base dei contratti e le attività di profilassi e di siero sorveglianza nei confronti della ‘ Blue Tongue ‘ inizialmente previste per otto mesi si erano trasformate in obiettivi sanitari primari e duraturi nel tempo, snaturando quella contingenza di cui all’iniziale progetto;
-il rapporto, tenendo conto delle modalità di svolgimento dello stesso (autonomia, rispetto dell’orario, accessi esterni, potere conformativo, sottoposizione a valutazione, e verifica) non poteva essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato (mancando in particolare alcun potere disciplinare ovvero vincolo di natura personale) ma come rapporto di lavoro autonomo ex art. 2222 cod. civ.;
-lo stesso si era piuttosto atteggiato come collaborazione coordinata e continuativa, ricorrendo congiuntamente i requisiti della continuità, coordinazione e della natura prevalentemente personale delle prestazioni e decretando la sua assimilabilità, anche ai fini economici, ai rapporti convenzionati ai sensi dell’art. 2 nonies L. 138/2004 e della norma transitoria di cui all’art. 4 A.C.N. 2005.
Ha, pertanto, riconosciuto il diritto dell’appellante all’applicazione di tutte le clausole normative ed economiche dell’A.C.N. del 23 marzo 2005, richiamando la norma transitoria di cui all’art. 4 per l’ipotesi di rapporti convenzionali non conformi e condannato la ASP al superiore riconoscimento e al pagamento delle differenze retributive (quantificate in euro 164.650,65).
Non ha accolto invece la domanda risarcitoria poiché avanzata in modo generico, senza riferimento al concreto danno subito.
L’ASP Messina ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME si è difeso con controricorso.
5 . Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente si osserva che la questione oggetto di causa ha già formato oggetto di plurimi precedenti di questa Corte (Cass. nn. 3266, 3267, 3268 del 9 febbraio 2025; Cass. nn. 4104, 4105, 4106, 4108, 4109, 4112 del 17 febbraio 2025) le cui conclusioni il Collegio condivide.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 15 octies , d.lgs. n. 502/1992, dell’art. 7, d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 61, d.lgs. n. 276/2001 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.).
Sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente sovrapposto la nozione di attività ordinaria impiegata dal legislatore con riguardo ai contratti conclusi ai sensi dell’art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992 a quella di ‘finalità istituzionali dell’Amministrazione’.
Inoltre, contesta che il giudice di appello avrebbe male applicato la legge nella parte della sentenza ove aveva esteso ‘le coordinate’ del contratto di lavoro a progetto ex d.lgs. n. 276 del 2003 al contratto privato previsto dal d.lgs. n. 502 del 1992, in quanto il d.lgs. del 1992 avrebbe posto come unico limite all’assunzione di liberi professionisti con contratti di lavoro privati da parte della P.A. il divieto di assumere medici per svolgere attività ordinaria integralmente sganciata dalla realizzazione di un progetto specifico messo in campo dalla medesima P.A.
Ad avviso della ricorrente la Corte d’appello di Messina non avrebbe potuto richiamare il d.lgs. n. 276 del 2003 e, comunque, non avrebbe potuto reputare illegittimi due contratti stipulati con il controricorrente perché sussumibili nei compiti ordinari/istituzionali della P.A.
La normativa, infatti, avrebbe permesso di concludere i contratti in esame con riferimento alle situazioni nelle quali veniva in questione un
ambito la cui copertura non poteva essere garantita dalla P.A. con le figure professionali al suo interno.
D’altronde, la giurisprudenza avrebbe interpretato il d.lgs. n. 276 del 2003 nel senso che esso non richiedeva che il progetto specifico inerisse a un’attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto a quella ordinaria e complessiva dell’impresa, ma solo che questa fosse riconducibile a uno o più progetti specifici o fasi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore.
La doglianza è inammissibile.
Si premette che il controricorrente aveva stipulato il 20 agosto 2002 con l’ASP Messina un contratto di diritto privato a tempo determinato ai sensi dell’art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992, in qualità di medico veterinario, per l’espletamento del progetto denominato ‘Sistema di sorveglianza della BSE, di profilassi della Blue Tongue e di eradicazione della BR, TBC e LEB’.
Tale contratto era stato prorogato sino al 2004.
In seguito, il lavoratore aveva concluso un ulteriore contratto a termine il 14 febbraio 2005 per l’assolvimento di un altro progetto finalizzato intitolato ‘Sistema di reti di sorveglianza epidemiologica delle malattie infettive e infestive degli animali domestici, della tutela igienico-sanitaria degli alimenti di origine animale in tutta la filiera e dell’igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche’, prorogato più volte fino al 31 dicembre 2009.
Infine, tale rapporto era stato stabilizzato per mezzo di un contratto a tempo indeterminato in regime convenzionato.
Come risulta dalla sentenza impugnata, il controricorrente, introducendo il giudizio di primo grado, aveva chiesto, per quanto interessa la trattazione del presente motivo, il ‘riconoscimento della natura parasubordinata dei contratti a tempo determinato stipulati, senza soluzione di continuità, a decorrere dal 20 agosto 2002 e fino al
31 dicembre 2009 (essendo stato successivamente stabilizzato mediante trasformazione dei contratti in contratto ambulatoriale a tempo indeterminato), con l’ASP, per lo svolgimento di attività libero professionale di collaborazione a progetto quale veterinario convenzionato’, affermando che, almeno per il periodo dal 2004 al 2010, vi sarebbe stato, da parte dell’ASP Messina, un ‘uso illegittimo delle forme contrattuali’, ‘in quanto non conformi alle previsioni di cui all’art. 15 octies del d.lgs. n. 502/92 ed all’art. 36 comma 1 bis del d.lgs. n. 165/2001’.
L’art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992, nel testo che qui rileva, dispone che:
« Per l’attuazione di progetti finalizzati, non sostitutivi dell’attività ordinaria, le aziende unità sanitarie locali e le aziende ospedaliere possono, nei limiti delle risorse di cui all’articolo 1, comma 34 -bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, a tal fine disponibili, assumere con contratti di diritto privato a tempo determinato soggetti in possesso, di diploma di laurea ovvero di diploma universitario, di diploma di scuola secondaria di secondo grado o di titolo di abilitazione professionale, nonché di abilitazione all’esercizio della professione, ove prevista ».
Si tratta di disposizione che è comunemente letta alla luce dell’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001.
In base al menzionato art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo in vigore sino all’11 agosto 2006, « Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione ».
Dal 12 agosto 2006 sino al 31 dicembre 2007, il citato art. 7, comma 6, ha previsto, invece, che, « Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di
natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di provata competenza, in presenza dei seguenti presupposti:
l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati;
l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione ».
Nel periodo successivo e fino alla stabilizzazione del controricorrente, avvenuta nel 2010, il disposto dell’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 non ha subito modifiche che possano rilevare nella presente sede.
Dalla normativa riportata si evince che i contratti dei quali si tratta devono avere degli oggetti ben specifici e possono essere stipulati solo per esigenze cui la P.A. non può fare fronte con personale in servizio.
La loro durata deve essere limitata e gli esperti interessati devono essere dotati di competenze elevate.
La logica del sistema è di consentire alle Amministrazioni di procurarsi dei medici qualificati con dei contratti a termine per affrontare specifiche problematiche non ordinarie che non possono essere subite risolte con i mezzi attualmente a disposizione.
Ciò chiarisce come l’ASP Messina erri nell’affermare che i contratti di cui all’art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992 avrebbero potuto essere liberamente stipulati purché ricollegati a un progetto.
Questo è solo uno dei requisiti imposti dalla normativa, ma non possono essere assenti anche gli altri, come il collegamento con le finalità istituzionali della P.A., la particolare qualificazione degli assunti
e la temporaneità degli incarichi, da ricollegare alla straordinarietà e contingenza della situazione che doveva essere affrontata e che non consentiva di adeguare immediatamente le dotazioni dell’Amministrazione con personale a tempo indeterminato o convenzionato.
Infatti, la Corte territoriale ha accolto correttamente l’appello dando rilievo alla circostanza che l’ASP Messina aveva utilizzato le forme contrattuali in esame per ‘colmare carenze strutturali della dotazione interna’ e, quindi, ‘non per una ragione legata ad un’esigenza contingente’.
Dalla lettura della motivazione si ricava, poi, che la Corte d’appello di Messina non ha assolutamente sovrapposto la nozione di attività ordinaria impiegata dal legislatore con riguardo ai contratti conclusi ai sensi dell’art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992 a quella di ‘finalità istituzionali dell’Amministrazione’ e non ha esteso ‘le coordinate’ del contratto di lavoro a progetto ex d.lgs. n. 276 del 2003 al contratto privato previsto dal d.lgs. n. 502 del 1992, essendosi limitata più semplicemente a menzionare, a titolo di esempio, la giurisprudenza in tema di contratti a progetto formatasi nella vigenza del d.lgs. n. 276 del 2003 che, nella specie, non è stata, però, direttamente applicata.
In definitiva, parte ricorrente si confonde nel sostenere che la semplice esistenza di un progetto renderebbe legittimi i contratti conclusi ai sensi dell’art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992, a prescindere dalla natura contingente e transitoria della problematica da affrontare quando, al contrario, è la non ordinarietà di tale problematica che può giustificare la predisposizione di un progetto e la stipula dei contratti de quibus .
La giurisprudenza si è già espressa sostanzialmente in questo senso, nella misura in cui ha affermato (Cass., Sez. L, n. 37752 del 23 dicembre 2022) che, in tema di dirigenza medica, la facoltà di rinnovo dei contratti a tempo determinato stipulati per l’attribuzione di incarichi
ex art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992, ratione temporis applicabile -interpretato alla luce della clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CEE sul lavoro a tempo determinato, nel rispetto delle precisazioni fornite dal giudice eurounitario sul tema della repressione degli abusi -, può essere esercitata a condizione che persistano le esigenze temporanee, specificamente accertate.
La Corte territoriale ha, quindi, valutato le risultanze di causa alla luce della normativa menzionata, compiendo un accertamento di merito, non sindacabile nella presente sede, in esito al quale ha ritenuto che non vi fossero i requisiti dalla natura contingente e transitoria della problematica che soli avrebbero potuto, come prima esposto, giustificare la stipula dei contratti oggetto di lite.
Ne deriva l’inammissibilità della censura.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 409 cod. proc. civ., n. 3, dell’art. 2222 cod. civ. e degli artt. 13 e 21 A.C.N. 2005 dei Medici Veterinari (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.).
Ad avviso dell’ASP Messina il controricorrente avrebbe svolto la sua attività in piena autonomia, rendendo la sua prestazione senza essere inserito nell’organizzazione aziendale e limitatamente all’esecuzione del progetto sottoscritto ai sensi dell’art. 2222 cod. civ.
In particolare, un medico convenzionato avrebbe dovuto fornire la sua attività per l’intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana, occupandosi di tutte le finalità istituzionali dell’attività della P.A. e non di un solo segmento della stessa e avrebbe potuto essere nominato esclusivamente all’esito di una particolare procedura.
La ricorrente sostiene che la natura coordinata e continuativa del rapporto non sarebbe stata da sola sufficiente a sospingere il rapporto fra quelli convenzionali, dovendo l’indagine della Corte territoriale estendersi al tipo di impegno richiesto e alla complessiva attività demandata, ordinariamente, ai veterinari convenzionati.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della norma transitoria n. 4 A.C.N., dell’art. 13 A.C.N. Veterinari del 2005, e degli artt. 2 nonies , L. n. 138/2004, 15 octies , d.lgs. n. 520/1992, ed artt. 1362, 1363 e 1365 cod. civ. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.).
Parte ricorrente afferma che l’A.C.N. Medici Veterinari non si riferirebbe ai medici non convenzionati, come il controricorrente, ma solo a quelli in rapporto convenzionale e chiamati a svolgere attività istituzionale.
Ciò sarebbe ricavabile dall’art. 13, comma 1, A.C.N. del 2005, in base al quale:
« 1. Il presente Accordo Collettivo Nazionale, di seguito denominato Accordo, regola, ai sensi dell’art. 8, del D.L.vo 30 dicembre 1992, n.502 e successive modificazioni e integrazioni e sulla base delle determinazioni regionali in materia, il rapporto di lavoro autonomo convenzionato, che si instaura tra le Aziende Sanitarie (di seguito denominate aziende) e:
(…)
medici veterinari a rapporto convenzionale con le aziende USL, per l’espletamento di attività istituzionali, con le modalità di cui alla norma finale n° 6 ».
La menzionata norma finale n. 6 dell’A.C.N. 2005 confermerebbe questa lettura, recitando che « 1. Preso atto della richiesta del Comitato di settore Sanità e della situazione contrattuale dei medici veterinari a rapporto convenzionale con le aziende USL, le parti si impegnano a definire la normativa dei suddetti medici, senza aggravio di spesa, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del presente Accordo ».
La norma transitoria n. 4 dello stesso A.C.N. del 2005, posta dalla Corte territoriale a sostengo della sua decisione, avrebbe dovuto essere interpretata nel senso che essa avrebbe operato solo rispetto a medici veterinari già convenzionati che, in virtù di accordi regionali o aziendali
abbiano ricevuto un trattamento deteriore rispetto a quello assicurato dall’A.RAGIONE_SOCIALE, e non a quelli assunti per lo svolgimento di progetti specifici ex art. 15 octies d.lgs. n. 502 del 1992.
Le due censure sono trattate congiuntamente, stante la stretta connessione.
Preliminarmente, questo Collegio tiene a precisare che l’ASP di Messina ha fondato il proprio ricorso sull’affermazione della natura autonoma ex art. 2222 cod. civ. del rapporto di lavoro con il controricorrente, limitandosi a contestarne l’assimilazione, avvenuta nella sentenza impugnata, a quello con i medici convenzionati, che la giurisprudenza configura come un rapporto privatistico di lavoro autonomo libero-professionale con i connotati della c.d. parasubordinazione (Cass., Sez. L, n. 31502 del 5 dicembre 2018). Non ne ha, invece, sostenuto, in alcun modo, il carattere subordinato che, dunque, non viene in esame nella presente controversia.
Ciò posto, si evidenzia che la seconda contestazione è inammissibile quanto alla ritenuta violazione dell’art. 409 cod. proc. civ., dell’art. 2222 cod. civ. e al riferimento all’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992; per il resto, essa è fondata.
Più precisamente, la censura è inammissibile ove contesta l’accertamento in fatto, operato dalla Corte d’appello, che ‘la forma contrattuale prescelta, rappresentata da un incarico di tipo liberoprofessionale, non appare neppure conforme alla sostanza del rapporto di fatto venutosi a determinare fra le parti’, ma, piuttosto, ‘ad una maggiore affinità dello schema contrattuale con la tipologia della collaborazione coordinata e continuativa’, con la conseguenza che si dovevano ‘qualificare i rapporti in oggetto quali parasubordinati’.
L’esistenza di un rapporto di lavoro parasubordinato presuppone che sussistano i requisiti di continuazione, coordinazione e svolgimento di un’attività prevalentemente personale, senza che possa assumere
rilievo assorbente il nomen iuris utilizzato (Cass., Sez. L, n. 9783 del 26 maggio 2020).
Nella specie, la Corte territoriale ha verificato non solo l’esistenza di un potere conformativo datoriale, ma anche quella di un orario di lavoro, comprensivo di attività sia esterna sia d’ufficio, di molto superiore al minimo stabilito contrattualmente, con le ore assegnate non correttamente rapportate al tipo di obiettivo individuato.
Lo stesso compenso era corrisposto in misura fissa per 24 ore a settimana, con variazioni in aumento per gli accessi in aziende zootecniche di aree montane o marine, mentre il lavoratore aveva dei limiti alle possibilità di assenza durante l’anno ed era sottoposto a valutazioni semestrali e a una verifica bimestrale ai fini della liquidazione del corrispettivo, con facoltà per l’azienda di variare in qualsiasi momento i termini contrattuali, la programmazione, i carichi delle prestazioni e le procedura assegnate e con assenza di un vero potere disciplinare.
La Corte d’appello di Messina ha, poi, dato grande rilievo alla circostanza che la medesima ASP di Messina aveva nominato i medici come il controricorrente come ‘convenzionati’ e al fatto che, nell’arco di otto anni, la P.A. si era avvalsa in maniera massiccia di un numero di dirigenti veterinari ‘secondo un’entità numerica pressocché corrispondente al numero dei dirigenti veterinari presenti in dotazione organica’.
In presenza di questo complessivo accertamento di fatto, deve ritenersi l’inammissibilità della contestazione di parte ricorrente, nella misura nella quale è finalizzata a rimettere in discussione delle valutazioni di merito.
Il secondo motivo è, invece, fondato, nella parte in cui critica l’avvenuta riconduzione del rapporto de quo all’A.C.N. medici veterinari del 2005, soprattutto agli artt. 13 e 21 dello stesso.
Allo stesso modo, va accolta pure la terza censura, che richiama più specificamente il problema dell’interpretazione della norma transitoria n. 4 dell’A.C.N. medici veterinari del 2005.
A questa conclusione il Collegio giunge dall’esame, innanzitutto, della citata norma transitoria n. 4, che recita:
« 1. I rapporti convenzionali a tempo determinato instaurati per lo svolgimento di attività specialistica ambulatoriale o delle altre aree professionali, in corso alla data di pubblicazione del presente Accordo, devono essere conformi a quanto disposto dall’art. 2 -nonies della Legge 26.05.2004 n.138.
I rapporti convenzionali non conformi adottano, dalla data di pubblicazione del presente Accordo e fino alla loro scadenza, le clausole normative ed economiche del presente Accordo.
Qualora continuino a sussistere le relative necessità assistenziali, le ore di incarico sono assegnate ai sensi dell’art. 23 del presente Accordo ».
Detta norma, come si evince dalla sua lettera, concerne i rapporti convenzionali a tempo determinato nati dichiaratamente come tali e in corso alla data di pubblicazione dell’A.C.N.; la sua utilità consiste nel fatto che, in questo modo, siffatti rapporti devono essere adeguati all’A.C.N. medesimo, qualora contengano prescrizioni deteriori per il lavoratore.
Non è pensata, invece, per i contratti conclusi per realizzare dei ‘progetti finalizzati’ ai sensi dell’art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992, trattandosi di ipotesi distinte, nonostante i relativi rapporti sottostanti siano considerati, in fatto, come convenzionati.
Si riferisce, infatti, a una differente e specifica tipologia di rapporto, formalizzata per iscritto seguendo un’apposita procedura.
Del resto, pure altre disposizioni dell’A.C.N. del 2005 presuppongono chiaramente l’esistenza di convenzioni formalizzate, come, ad esempio, l’art. 13, intitolato ‘Campo di Applicazione’, per il
quale « Il presente Accordo Collettivo Nazionale regola, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.L.vo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni ed integrazioni e sulla base delle determinazioni regionali in materia, il rapporto di lavoro autonomo convenzionato per l’esercizio delle attività professionali, tra i medici di medicina generale e le Aziende sanitarie locali, per lo svolgimento, nell’ambito del SSN e le sue articolazioni, dei compiti e delle attività (…) ».
Né potrebbe essere diversamente, in quanto si discute di convenzionamento di medici per i quali, in termini generali, la disciplina è contenuta nell’a rt. 48 della legge n. 833 del 1978, prevede la necessaria conformazione dei contratti di collaborazione individuali a quelli collettivi nazionali e stabilisce espressamente, al comma 3, n. 2, che l’accesso alla convenzione possa avvenire solo nel rispetto delle modalità stabilite dall’A.C.N., vietando delle discipline difformi.
Indubbiamente, la Corte territoriale ha riqualificato, come parasubordinato, il rapporto intercorso con il controricorrente, accertando che, in realtà, egli aveva instaurato una collaborazione coordinata e continuativa con l’ASP di Messina, non riconducibile al modello regolato dall’art. 15 octies del d.lgs. n. 520 del 1992.
Ciò, però, non può comportare l’applicazione diretta dell’A.C.N. del 2005 e, soprattutto, il riconoscimento delle somme richieste dal controricorrente a titolo di retribuzione aggiuntiva.
Infatti, la P.A. è tenuta a corrispondere esclusivamente i corrispettivi risultanti da un contratto debitamente formalizzato seguendo una procedura regolamentata e, nella specie, l’unico contratto con tale caratteristica era quello stipulato ex art. 15 octies del d.lgs. n. 520 del 1992.
Di certo, invece, non può, in presenza di irregolarità concernenti la forma contrattuale prescelta, dovere rispettare un accordo nazionale predisposto per una differente tipologia di rapporto, a prescindere dalle
modalità con le quali la relazione con il lavoratore si è atteggiata in concreto.
A un esito non dissimile è giunta la giurisprudenza con l’ordinanza di questa sezione n. 30703 del 29 novembre 2024 (non massimata), che ha ritenuto come, in situazioni del genere, i rapporti con la P.A. non possano seguire una logica sostanziale, ma solo formale.
Essa ha così affermato che:
la stipula della convenzione ex art. 48 della legge n. 833 del 1978 richiede il rispetto di un apposito procedimento e il possesso dei determinati requisiti;
la P.A. non può concludere accordi se non in forma scritta;
solo qualora tali elementi ricorrano tutti può trovare applicazione il disposto dell’art. 48 della citata legge n. 833 del 1978.
In particolare, ha enunciato il principio di diritto per il quale ‘Il medico non convenzionato con il SSN che abbia eseguito prestazioni attinenti all’erogazione dell’assistenza sanitaria di competenza comunale rientrante nell’ambito delle funzioni in precedenza attribuite all’ONMI non ha diritto alla retribuzione prevista per gli ex dipendenti ONMI dalla legge n. 698 del 1975 e, in generale, a quella riconosciuta dagli accordi collettivi nazionali conclusi ai sensi dell’art. 48 della legge n. 833 del 1978 per garantire l’uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale’.
Ne deriva che un’interpretazione della citata norma transitoria n. 4 come quella accolta dalla Corte territoriale esporrebbe la disposizione a una dichiarazione di invalidità, non potendo un accordo collettivo nazionale imporre alla P.A. di corrispondere il trattamento economico da esso previsto a soggetti che non ne rispettino i presupposti formali di applicazione, ossia, nella specie, la presenza di una specifica convenzione, quantomeno in presenza di un diverso titolo contrattuale scritto che disciplini la vicenda perché adottato all’esito di un differente iter procedimentale.
D’altronde, diversamente da quanto sostenuto dal controricorrente, non vi è, (oltre che all’interno) al di fuori dell’A.C.N., alcuna normativa che garantisca a medici non convenzionati con il SSN lo stesso trattamento economico di quelli convenzionati.
Al riguardo, occorre partire dalla premessa che il contratto oggetto di causa si caratterizza, come affermato espressamente dalla Corte d’appello di Messina, per ‘l’illegittimità delle forme contrattuali utilizzate dall’Azienda Sanitaria per il conferimento degli incarichi’.
La conseguenza, nel nostro caso, non può essere, peraltro, il riconoscimento di maggiori somme a titolo retributivo, non potendo trovare spazio, ad esempio, l’art. 2126 cod. civ., il quale dispone che « La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.
Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione ».
Infatti, quest’ultima disposizione non può estendersi al di fuori dei casi nei quali sussista un rapporto di lavoro subordinato, come chiarito dalla giurisprudenza secondo la quale, in ipotesi di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A., al di fuori dei presupposti di legge, il lavoratore non può mai conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma solo una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all’art. 2126 cod. civ., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale (Cass., Sez. L, n. 4360 del 13 febbraio 2023; Cass., Sez. L, n. 9591 del 18 aprile 2018; Cass., Sez. L, n. 3384 dell’8 febbraio 2017).
Questo ragionamento è fondamentalmente stato seguito, in una vicenda certo differente da quella in esame, atteso che concerneva l’illegittimità di contratti di somministrazione e non interessava incarichi
ex art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992 o rapporti convenzionati, da Cass., Sez. L, n. 14127 del 21 maggio 2024, la quale ha chiarito che, in ipotesi di rapporti di somministrazione di lavoro illegittimi, i lavoratori somministrati che hanno partecipato a specifici progetti realizzati dall’utilizzatore hanno diritto agli ulteriori emolumenti premiali aggiuntivi della retribuzione a tal fine previsti, a parità di mansioni e di raggiungimento degli obiettivi, per il personale dipendente dell’utilizzatore dalla contrattazione collettiva di riferimento, sebbene non in applicazione di quest’ultima ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 4, d.lgs. n. 276 del 2003, ratione temporis vigente, ma, stante l’abusività del ricorso alla somministrazione, in forza della norma di chiusura di cui all’art. 2126 cod. civ., operativa anche nel pubblico impiego contrattualizzato.
Nella presente controversia, al contrario, non può farsi ricorso all’art. 2126 cod. civ., per le ragioni esposte e, soprattutto, in quanto nessuna delle parti ha ritualmente prospettato, in questa sede di legittimità, la natura subordinata del rapporto de quo , dopo che il giudice di secondo grado ne ha affermato il carattere parasubordinato.
Alla stessa maniera, non può essere seguito l’indirizzo giurisprudenziale per il quale, qualora vi sia l’accertamento di un rapporto di lavoro in fatto subordinato (situazione che, qui, non ricorre), così come per i rapporti non tutelati da contratto collettivo (quando il datore di lavoro è, diversamente dalla presente vicenda, privato), si può utilizzare, per quantificare l’ adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., quale parametro di raffronto, la retribuzione tabellare prevista dal contratto nazionale del settore corrispondente a quello dell’attività svolta dal datore di lavoro ovvero, in mancanza, da altro contratto che regoli attività affini e prestazioni lavorative analoghe, dovendo considerare le sole componenti integranti il c.d. minimo costituzionale – anche con riguardo alle imprese di non rilevanti dimensioni -, con esclusione delle voci retributive legate
all’autonomia contrattuale, come ad esempio i compensi aggiuntivi, gli scatti di anzianità e la quattordicesima mensilità (Cass., Sez. L, n. 27711 del 2 ottobre 2023; Cass., Sez. L, n. 944 del 20 gennaio 2021).
Infatti, nel caso di un rapporto ricondotto allo schema del lavoro autonomo (come quello de quo ) non è applicabile l’art. 36 Cost. (Cass., Sez. L, n. 19308 del 29 settembre 2015).
Neppure può porsi un problema di ricorso agli artt. 2225 e 2233 cod. civ., che prevedono indubbiamente un potere del giudice di determinare il compenso del prestatore d’opera, ma solo ove questo non sia stato pattuito (come, al contrario, è avvenuto nella specie).
Risulta chiaro, quindi, che, nei rapporti con le Pubbliche Amministrazioni, all’utilizzo non rispettoso della legge di forme contrattuali regolamentate non può conseguire l’utilizzo, al fine di riconoscere al lavoratore maggiori somme a titolo di retribuzione, di contratti collettivi o accordi nazionali che disciplinino altre tipologie negoziali.
D’altronde, la decisione della Corte territoriale ha provocato la singolare conseguenza che il controricorrente ha percepito una retribuzione per prestazioni ulteriori rispetto a quelle del contratto stipulato senza, peraltro, averne dovuto dimostrare l’esecuzione effettiva.
La giurisprudenza, con riguardo ai dipendenti pubblici, ha affermato, però, che il lavoratore pubblico che pretenda un compenso per prestazioni aggiuntive che esulino dal profilo professionale di appartenenza, oltre ad allegare lo svolgimento di compiti ulteriori rispetto a quelli che il datore di lavoro può esigere in forza dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, è tenuto a fornire anche gli elementi necessari per verificare la inadeguatezza del trattamento economico ricevuto, rispetto al parametro di cui all’art. 36 Cost., nonché l’aggravamento quantitativo o qualitativo della prestazione, con riferimento all’orario di lavoro o alla maggiore intensità e onerosità
della stessa (Cass., Sez. L, n. 3816 del 15 febbraio 2021; Cass., Sez. 6-L, n. 16094 del 2 agosto 2016).
Non si vede perché, allora, le mansioni aggiuntive richieste a un dipendente della P.A. possano essere pagate solo se specificate e in presenza di prova del loro svolgimento, mentre quelle concernenti un collaboratore coordinato e continuativo con la stessa P.A. non debbano essere assoggettate al medesimo onere di allegazione assertiva e istruttoria.
La conseguenza della ‘illegittimità delle forme contrattuali utilizzate dall’Azienda Sanitaria per il conferimento degli incarichi’ non poteva che tradursi, quindi, nella possibilità di esercitare o l’azione risarcitoria o quella generale di arricchimento ex art. 2041 cod. civ., ove ne ricorressero i presupposti.
La domanda di risarcimento del danno era stata avanzata e rigettata dai giudici del merito e, sul punto, si è formato il giudicato.
Quella di arricchimento non è stata, invece, proposta e, pertanto, non vi è stato alcun accertamento al riguardo.
In ogni caso, neanche sotto questo profilo avrebbe potuto essere garantito il trattamento economico previsto per la prestazione professionale validamente resa (Cass., SU, n. 33954 del 5 dicembre 2023; Cass., SU, n. 23385 dell’11 settembre 2008; Cass., Sez. L, n. 7178 del 18 marzo 2024; Cass., Sez. 3, n. 12702 del 14 maggio 2019).
Ne deriva che la domanda relativa alle differenze retributive non poteva essere accolta.
Il ricorso è accolto quanto al secondo motivo, nella parte in cui censura l’avvenuta riconduzione del rapporto de quo all’A.C.N. medici veterinari del 2005, e al terzo motivo, dichiarati inammissibili il primo e il secondo per il resto, e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa è decisa nel merito ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con il rigetto della domanda del controricorrente volta
al riconoscimento del trattamento economico spettante ai medici convenzionati nella misura prevista dall’A.C.N. del 23 marzo 2005 e al conseguente pagamento delle differenze retributive, in applicazione dei seguenti principi di diritto:
‘I contratti a tempo determinato stipulati per l’attribuzione di incarichi ex art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992, che possono essere conclusi con personale particolarmente qualificato per lo svolgimento di attività collegate con le finalità istituzionali della P.A., devono avere un oggetto specifico e rispondere ad esigenze cui la P.A. non può fare fronte con personale in servizio. In particolare, la temporaneità di detti incarichi deve dipendere dalla straordinarietà e contingenza della situazione da affrontare, che non consenta di adeguare immediatamente l’organizzazione, la struttura e le dotazioni dell’Amministrazione coinvolta’;
‘La facoltà di rinnovo dei contratti a tempo determinato stipulati per l’attribuzione di incarichi ex art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992 può essere esercitata a condizione che persistano esigenze temporanee che non sia stato ancora ragionevolmente possibile affrontare adeguando l’organizzazione, la struttura e le dotazioni ordinarie delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere interessate’;
‘La norma transitoria n. 4 dell’A.C.N. del 2005 per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni ed altre professionalità sanitarie (biologi, chimici, psicologi) ambulatoriali ai sensi dell’art. 48 della legge n. 833/78 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 e succ. modd. e integrazioni non regola i rapporti con medici veterinari che, pur essendo stati formalizzati con contratti per l’attuazione di progetti finalizzati ex art. 15 octies del d.lgs. n. 502 del 1992, siano stati qualificati in fatto come rapporti di lavoro autonomo convenzionato. Ne consegue che tali medici non potranno chiedere il pagamento di eventuali differenze retributive, rispetto al compenso previsto in detti contratti, calcolate applicando il menzionato A.C.N. del
2005, ma dovranno, eventualmente, ove ne sussistano i presupposti, o domandare il risarcimento del danno o agire in base al disposto dell’art. 2041 cod. civ.’.
Le spese di lite di tutto il giudizio sono compensate, in ragione della novità della questione trattata.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il secondo motivo di ricorso, nella parte ove censura l’avvenuta riconduzione del rapporto oggetto del contendere all’A.C.N. medici veterinari del 2005, e il terzo motivo, dichiarati inammissibili il primo e il secondo motivo per il resto;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del controricorrente volta al riconoscimento del trattamento economico spettante ai medici convenzionati nella misura prevista dall’A.C.N. del 23 marzo 2005 e al conseguente pagamento delle differenze retributive;
–
compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione