Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22379 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22379 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11262-2023 proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE PIO (già AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COGNOME), in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 708/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/03/2023 R.G.N. 786/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa :
Con ricorso depositato presso il Tribunale di Benevento, in funzione di giudice del lavoro, NOME COGNOME esponeva: di
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.11262/2023
Ud 01/07/2025 CC
essere stata assunta dalla RAGIONE_SOCIALE a decorrere dall’01.04.2016 e di aver lavorato in somministrazione presso l’A.O. G. Rummo di Benevento ora San Pio fino al 31.01.2019, in ragione di una serie di contratti e di proroghe da valutarsi come nulli, perché motivati del tutto genericamente mentre la ricorrente era stata adibita alle mansioni ordinariamente svolte dal personale infermieristico e dagli OSS. La ricorrente chiedeva accertarsi il diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’Azienda Ospedaliera o in subordine, il diritto al risarcimento del danno ex art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. Assumendo che fosse intercorso con l’Azienda ospedaliera un rapporto di lavoro di natura subordinata con svolgimento di mansioni riconducibili alla categoria ‘B’ chiedeva accertarsi il diritto, anche ai sensi dell’art. 212 6 c.c. al corrispondente trattamento economico e alla regolarizzazione della posizione contributiva. Si costituivano in giudizio l’Azienda Ospedaliera San Pio e la RAGIONE_SOCIALE contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. Il Tribunale di Benevento con la sentenza 1420/2021, in parziale accoglimento del ricorso, dichiarava l’illegittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a termine da part e dell’Azienda Ospedaliera San Pio, condannando la medesima al risarcimento del danno in favore della ricorrente che liquidava in dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; rigettava, invece, le restanti domande spiegate nei confronti della Azienda Ospedaliera e della Gi Group.
Avverso la sentenza proponeva appello l’Azienda Ospedaliera San Pio. NOME COGNOME si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della impugnazione. Con la sentenza n. 708/2023 depositata in data 16/02/2023 la Corte di Appello di Napoli, sezione l avoro, rigettava l’appello.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Ospedaliera San Pio articolando due motivi. NOME COGNOME si è costituita con controricorso contestando l’impugnazione proposta e chiedendone il rigetto.
La parte ricorrente e la parte controricorrente hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 -bis . 1 c.p.c..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 1° luglio 2025.
Ragioni della decisione:
Con il primo motivo di ricorso si deduce «violazione e/o falsa applicazione e assoluto travisamento dei fatti nonché della norma di diritto ed in particolare dell’art. 36 d. lgs. 165/2001, e dell’art. 32 l. 183/2010 in relazione all’art. 360, primo co mma, n. 3 c.p.c.». Si censura la sentenza impugnata nel punto in cui (alla pagina 7 ed alla pagina 8 nello specifico) non ha ritenuto provati i requisiti della temporaneità ed eccezionalità ed ha omesso di valutare comunque che i contratti somministrati si sarebbero succeduti nell’arco e nel rispetto del limite massimo di legge dei trentasei mesi, per le esplicitate ragioni di programmazione interna sanitaria.
Il motivo è infondato.
2.1. La valutazione delle causali dei contratti a termine condotta dalla sentenza impugnata è specifica, logica ed esauriente e dalla lettura di esse, come riportate nella sentenza e non contestate nel ricorso quanto al loro tenore, si evince come la motivazione della Corte di Appello si sia attenuta ai principi affermati dalla Corte di cassazione, secondo i quali il ricorso al contratto di somministrazione e a plurimi rapporti a termine continuamente prorogati si giustifica in presenza di esigenze eccezion ali, temporanee, fuori dall’ordinario che nella specie non emergevano né dalle causali negoziali, come
direttamente apprezzabile, né dalle effettive modalità di utilizzo della lavoratrice, come accertato in fatto dal giudice di merito. A fronte di ciò spettava alla amministrazione utilizzatrice dedurre la eccezionalità o temporaneità delle esigenze ma ciò non è emerso a livello di prospettazione nei giudizi di merito e nemmeno nei motivi di ricorso innanzi a questa Corte.
2.2. Il motivo di ricorso deduce, poi, che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente trascurato che la sequenza dei contratti si era interrotta per la lavoratrice prima del termine di tre anni.
2.3. Il ragionamento della Corte di Appello va esente da censure anche nella parte in cui esclude il rilievo della circostanza secondo la quale la lavoratrice dopo molti contratti a termine e molte proroghe sia stata estromessa comunque prima dello scadere del termine di tre anni. La disposizione dell’art. 32 d.lgs. 165 2001, anche se letta in combinato disposto con l’art. 20 del d.lgs. 276 del 2003, non autorizza a sostenere che il rispetto del termine triennale valga a dimostrare di per sé la sussistenza di una specifica causale e di una eccezionalità e temporaneità delle esigenze cui il contratto a termine risponde. E’ rimessa, comunque, al giudice la valutazione della sussistenza dei presupposti; detti presupposti riguardano l’esigenza alla quale i cont ratti a termine sono destinati a sopperire e non l’utilizzo temporaneo del singolo lavoratore nel termine di tre anni. Tanto è vero che esattamente la Corte di Appello ha rilevato come le esigenze perseguite fossero tutt’altro che temporanee o eccezionali perché alle stesse si faceva fronte da anni con lavoro di lavoratori somministrati limitandosi a sostituire un gruppo di lavoratori somministrati con un altro nel momento in cui per il primo gruppo si appropinquava la scadenza triennale.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione e assoluto travisamento dei fatti con la violazione ed errata applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 36 comma 5 e del d.lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, in relazione agli artt. 51 e 97 cost., e per aver omesso di valutare che la somministrazione è avvenuta nella soglia e nel limite di trentasei mesi di cui al citato d.lgs. n. 368 del 2001, art. 5. e che comunque è stata censurata nel merito la discrezionalità della scelta amministrativa.
3.1. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata non è censurabile nella parte in cui non attribuisce efficacia decisiva al rispetto del termine di trentasei mesi perché, come rilevato sub 2.3., questa sola condizione non è sufficiente per escludere l’illegittimità del ricorso ai contratti a termine.
3.1. La decisione della Corte territoriale non è, poi, censurabile nella parte in cui si deduce che avrebbe violato la discrezionalità della pubblica amministrazione. In senso contrario va osservato che il giudice, in base alle disposizioni inderogabili, c ostituite nella fattispecie dall’art. 32 d.lgs. 165/2001, ha il potere di valutare nel concreto l’esistenza dei presupposti per la applicazione dei contratti a termine e, ritenutane, l’insussistenza trarne le conseguenze di legge circa la nullità dei contratti a termine per difetto di adeguata giustificazione causala. Tanto non costituisce indebito sindacato sulla valutazione discrezionale delle scelte della pubblica amministrazione, trattandosi piuttosto di verifica della legittimità del rapporto negoziale alla luce del disposto normativo.
3.2. Questa Corte ha altresì precisato (cfr. Cass. n. 10399/2024) che «la negazione del diritto alla progressione economica in caso contratti, per giunta ripetutamente prorogati,
di somministrazione nulli per mancanza dei requisiti della temporaneità ed eccezionalità dell’esigenza dell’utilizzatore, si pone in contrasto con il principio di non discriminazione, alla luce della disciplina contrattuale collettiva in materia e tenuto conto dell’onere di allegazione e di prova a carico rispettivo di ciascuna delle parti.» Infatti, la clausola 4, punto 1 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato oggetto della Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE stabilisce: «Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive». Tale disposizione ha trovato recezione nell’ordinamento interno, sotto la medesima rubrica (Principio di non discriminazione), nell’art. 6 del d.lgs. n. 368/2001, secondo cui al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spettano, oltre alle ferie, alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto ed ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili» (intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva) «in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine»; nell’interpretazione della giurisprudenza della Corte di giustizia UE, la menzionata direttiva si applica ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico ed esige che sia esclusa qualsiasi disparità di trattamento tra dipendenti pubblici di ruolo e dipendenti pubblici temporanei comparabili di uno Stato
membro, per il solo motivo che questi ultimi lavorino a tempo determinato, a meno che la disparità di trattamento non sia giustificata da ragioni oggettive nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1 di detto accordo quadro (Corte giust. UE 8 settembre 2011, in causa C-177/10; cfr. Cass., sez. lav., 4 dicembre 2015, n. 24736). Si veda, da ultimo, in tal senso Cass. 31545/2024.
3.3. Nel caso di specie, stante l’applicabilità, per effetto della sostituzione dell’utilizzatore-pubblica amministrazione all’agenzia di somministrazione, della disciplina del contratto di lavoro subordinato a termine illegittimo, è esclusa qualsivoglia ragione oggettiva utile a derogare dal principio del divieto di disparità di trattamento.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
La parte controricorrente ha spiegato domanda per la condanna della parte ricorrente a titolo di responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
6.1. La domanda è infondata. L’istituto invocato per la sua applicazione richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non solo dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cass. n. 20018/2020). Detto abuso non è ravvisabile nella fattispecie perché agire in giudizio per far valere una pretesa non è di per sé condotta rimproverabile anche se questa si riveli infondata ed in ogni caso perché al momento della proposizione del ricorso la questione era controversa.
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi euro 4.000,00 (quattromila), oltre ad euro 200,00 per esborsi, al rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge, spese da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione