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Contratti a termine marittimi: quando c’è abuso?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25856/2024, ha stabilito che la mera successione di contratti a termine marittimi non è sufficiente a dimostrare un intento fraudolento del datore di lavoro. Il caso riguardava due lavoratori che contestavano la legittimità di numerosi rinnovi contrattuali. La Corte ha chiarito che, per configurare un abuso sanzionabile come frode alla legge, i lavoratori devono fornire prove aggiuntive (un ‘quid pluris’) oltre al numero e alla frequenza dei contratti. La decisione della Corte d’Appello, che aveva respinto le domande dei lavoratori per insufficienza di prove, è stata quindi confermata, in quanto la sua motivazione non è stata ritenuta ‘apparente’ ma fondata su una valutazione concreta degli elementi a disposizione.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti a termine marittimi: la sola reiterazione non prova l’abuso

La stipulazione di contratti a termine marittimi in rapida successione è una pratica diffusa, ma solleva spesso interrogativi sulla sua legittimità. Quando questa prassi nasconde un bisogno di manodopera stabile, si può parlare di abuso? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 25856/2024, è tornata sul tema, offrendo chiarimenti cruciali sull’onere della prova a carico del lavoratore che denuncia una frode alla legge.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dal ricorso di due lavoratori marittimi impiegati da una grande società di trasporti. Essi avevano sottoscritto numerosi contratti a tempo determinato in un arco temporale definito (uno cinque contratti in tre anni, l’altro nove in otto anni). Ritenendo che tale reiterazione fosse un espediente per mascherare un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, quindi, per eludere le tutele di legge, i lavoratori si erano rivolti al Tribunale. In primo grado, il giudice aveva dato loro ragione, dichiarando la nullità dei termini apposti ai contratti e ordinando la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato, con conseguente ripristino in servizio e risarcimento.

L’Iter Giudiziario e la Decisione sul ricorso per Cassazione

Il percorso giudiziario è stato complesso. La Corte d’Appello aveva inizialmente ribaltato la decisione di primo grado. La Cassazione, adita una prima volta, aveva annullato questa seconda sentenza, ravvisando una motivazione insufficiente e contraddittoria. La Suprema Corte aveva infatti ritenuto che il giudice d’appello non avesse indagato a fondo sulla possibile esistenza di una frode alla legge (art. 1344 c.c.), limitandosi a una valutazione superficiale.

La causa veniva quindi rinviata alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, che però giungeva nuovamente a una conclusione sfavorevole ai lavoratori. Secondo i giudici del rinvio, il solo numero dei contratti e il lasso temporale della loro successione non erano elementi sufficienti a dimostrare un intento fraudolento. I lavoratori hanno quindi proposto un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando una ‘motivazione apparente’ da parte della Corte territoriale.

Con la decisione in commento, la Suprema Corte ha rigettato definitivamente il ricorso, confermando la sentenza d’appello. La motivazione, secondo gli Ermellini, non era affatto apparente, ma logica e coerente con i principi di diritto applicabili.

Contratti a termine marittimi e onere della prova: le motivazioni

Il fulcro della decisione risiede nella distinzione tra indizi e prova piena. La Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato: per accertare l’utilizzo abusivo e fraudolento dei contratti a termine marittimi, non basta considerare il numero dei contratti e la loro frequenza. Questi elementi, pur essendo ‘indizi’, non costituiscono di per sé una prova sufficiente.

È necessario un ‘quid pluris’, ovvero la dimostrazione di ulteriori e più qualificanti circostanze che, lette nel loro insieme, svelino l’intento del datore di lavoro di aggirare le norme imperative sul lavoro a tempo indeterminato. Nel caso specifico, i lavoratori non avevano allegato né provato altri fatti concreti a sostegno della loro tesi.

La Corte ha inoltre valorizzato un aspetto peculiare del settore: l’avviamento al lavoro dei marittimi avviene tramite il collocamento pubblico, un meccanismo che riduce la discrezionalità dell’armatore nella scelta del personale. Questo fattore, secondo i giudici, può indebolire l’ipotesi di un piano preordinato e fraudolento volto a utilizzare sempre gli stessi lavoratori.

La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta corretta perché ha esplicitato chiaramente il suo ragionamento: in assenza di prove ulteriori fornite dai ricorrenti, gli indizi disponibili non erano abbastanza forti da fondare un’accusa di frode.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 25856/2024 consolida un importante principio in materia di contratti a termine marittimi. Per i lavoratori, ciò significa che non è sufficiente presentare in giudizio l’elenco dei contratti succedutisi nel tempo per ottenere la conversione del rapporto. È indispensabile costruire un quadro probatorio più solido, allegando fatti specifici che dimostrino un concreto intento elusivo da parte dell’azienda.

Per i datori di lavoro del settore, la sentenza conferma che il ricorso a contratti a termine successivi è ammesso se giustificato da esigenze reali e se non si traduce in un disegno fraudolento. Tuttavia, resta fondamentale agire con trasparenza, poiché la valutazione del giudice è sempre condotta caso per caso e una concatenazione anomala di contratti resterà sempre un forte campanello d’allarme.

La semplice successione di più contratti a termine marittimi è sufficiente per dimostrare una frode alla legge?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il solo numero dei contratti e l’arco temporale in cui si sono succeduti sono elementi insufficienti. Per provare una frode alla legge, è necessaria la presenza di ulteriori e più qualificanti elementi che dimostrino l’intento fraudolento del datore di lavoro di eludere le norme sul rapporto a tempo indeterminato.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ di una sentenza?
Si ha una motivazione apparente quando, pur essendo graficamente presente, non rende percepibile il fondamento della decisione. Ciò accade se contiene argomentazioni così generiche, contraddittorie o incomprensibili da non far conoscere il ragionamento logico seguito dal giudice. In questo caso, la Corte ha escluso che la motivazione della sentenza impugnata fosse apparente.

Quale onere probatorio ha il lavoratore che denuncia l’abuso dei contratti a termine marittimi?
Il lavoratore deve allegare e provare non solo la successione dei contratti, ma anche altre circostanze fattuali specifiche che, valutate nel loro insieme, dimostrino l’uso deviato e fraudolento del contratto a termine da parte del datore di lavoro, finalizzato a mascherare un unico e continuativo rapporto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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