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Contratti a termine in agricoltura: i limiti alla deroga

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16612/2024, ha stabilito che un ente pubblico non può essere equiparato a un imprenditore agricolo e non può abusare della reiterazione di contratti a termine in agricoltura. La deroga che permette di superare i limiti di durata è valida solo per attività genuinamente stagionali e non per mansioni continuative come la manutenzione. L’onere di provare la natura stagionale del rapporto spetta sempre al datore di lavoro.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti a Termine in Agricoltura: la Cassazione Fissa i Paletti sulla Stagionalità

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito chiarimenti cruciali sulla disciplina dei contratti a termine in agricoltura, stabilendo limiti precisi alla loro reiterazione, specialmente quando il datore di lavoro è un ente pubblico. La decisione sottolinea che le deroghe previste per il settore agricolo non possono essere utilizzate per mascherare esigenze lavorative stabili e permanenti, ribadendo la necessità di un’interpretazione restrittiva del concetto di ‘stagionalità’.

Il Caso: Abuso di Contratti a Termine da Parte di un Ente Pubblico

La vicenda riguarda un lavoratore impiegato per un lungo periodo da un Ente di Sviluppo Agricolo con una serie ininterrotta di contratti a tempo determinato. Le sue mansioni includevano la conduzione e la manutenzione di macchine agricole. Ritenendo illegittima tale prassi, il lavoratore aveva richiesto il risarcimento del danno per l’abusiva reiterazione dei contratti.

La Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva respinto la domanda del lavoratore. Secondo i giudici di secondo grado, la normativa speciale per il settore agricolo e la natura oggettiva dell’attività giustificavano la deroga ai limiti temporali imposti dalla legge generale sui contratti a termine. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

I Principi Chiave sui Contratti a Termine nel Settore Agricolo

La Corte di Cassazione ha accolto le ragioni del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e delineando principi fondamentali per l’applicazione dei contratti a termine in agricoltura.

La Natura dell’Ente Pubblico: Non è un Imprenditore

Il primo punto chiarito dalla Corte è che un ente pubblico non economico, come l’Ente di Sviluppo Agricolo in questione, non può essere qualificato come ‘imprenditore agricolo’ ai sensi dell’art. 2135 del codice civile. Di conseguenza, non può beneficiare delle deroghe specifiche previste per i datori di lavoro privati del settore. Il rapporto di lavoro con tali enti è invece soggetto alla disciplina del pubblico impiego contrattualizzato.

La Nozione di ‘Stagionalità’ e i Contratti a Termine in Agricoltura

La Corte ha ribadito che la deroga ai limiti di durata dei contratti a termine è consentita nel settore agricolo solo se le attività sono effettivamente stagionali. Il concetto di ‘stagionalità’ deve essere interpretato in senso stretto, comprendendo solo quelle attività che si svolgono in periodi limitati dell’anno per ragioni climatiche o legate ai cicli produttivi.

Attività come la custodia, la riparazione e la manutenzione di impianti e macchinari, che si protraggono per tutto l’anno per preparare la stagione successiva, non possono essere considerate stagionali. I lavoratori stabilmente adibiti a tali compiti devono essere assunti con contratto a tempo indeterminato.

L’Onere della Prova a Carico del Datore di Lavoro

Un altro principio cruciale è che spetta al datore di lavoro dimostrare la natura esclusivamente stagionale delle mansioni affidate al lavoratore. Il datore deve provare che l’attività svolta era aggiuntiva rispetto a quella ordinaria e strettamente legata a una specifica stagione. In assenza di tale prova, la reiterazione del contratto è da considerarsi abusiva.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello abbia errato nell’applicare in modo estensivo le deroghe previste per il settore agricolo a un ente pubblico. I giudici di merito non hanno correttamente distinto tra le esigenze produttive cicliche, tipiche dell’agricoltura, e le necessità operative permanenti e stabili di un’organizzazione. La semplice ciclicità dell’attività agricola non giustifica di per sé la deroga alle tutele previste contro l’abuso dei contratti a termine.
Inoltre, la legislazione regionale non può introdurre deroghe alla normativa nazionale posta a tutela dei lavoratori. La Corte ha quindi affermato che il giudice di rinvio dovrà accertare in concreto le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore e verificare se queste rientrassero in un’attività genuinamente stagionale, tenendo conto dei rigidi oneri probatori a carico dell’ente datore di lavoro.

Le Conclusioni e l’Impatto della Decisione

L’ordinanza in esame rafforza significativamente la tutela dei lavoratori contro l’uso improprio dei contratti a termine in agricoltura, in particolare nel settore pubblico. La decisione stabilisce che la ‘stagionalità’ non è un concetto flessibile, ma un presupposto oggettivo e rigoroso che deve essere provato dal datore di lavoro. Questa pronuncia rappresenta un importante monito per tutti i datori di lavoro del settore, che dovranno valutare con maggiore attenzione la natura delle mansioni prima di ricorrere a contratti a tempo determinato, per non incorrere in condanne al risarcimento del danno.

Un ente pubblico agricolo può essere considerato un ‘imprenditore agricolo’ ai fini delle norme sui contratti a termine?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un ente pubblico non economico non rientra nella definizione di imprenditore agricolo dell’art. 2135 c.c. e deve quindi seguire le norme generali sul lavoro pubblico contrattualizzato, non potendo beneficiare delle deroghe specifiche per l’agricoltura privata.

L’eccezione per la reiterazione dei contratti a termine in agricoltura si applica a qualsiasi attività svolta nel settore?
No. L’eccezione è applicabile solo ed esclusivamente alle attività che sono genuinamente stagionali, cioè legate a cicli naturali e che non si protraggono per tutto l’anno. Attività come la manutenzione continua di macchinari o la custodia non sono considerate stagionali.

Su chi grava l’onere di provare che un’attività lavorativa è di natura stagionale?
L’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro. È il datore di lavoro che deve dimostrare in modo inequivocabile che le mansioni svolte dal lavoratore erano esclusivamente stagionali e non rispondevano a esigenze ordinarie e permanenti dell’ente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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