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Contratti a termine e limite 36 mesi: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che, nel calcolo della durata massima di 36 mesi per i contratti a termine, devono essere inclusi anche i rapporti di lavoro stipulati prima dell’introduzione di tale limite. La decisione mira a prevenire l’abuso derivante dalla reiterazione di contratti a tempo determinato, affermando che la finalità anti-abuso della normativa prevale sulla legge specifica in vigore al momento della stipula di ogni singolo contratto. Il caso riguardava un lavoratore di un ente teatrale che, dopo una lunga successione di contratti, si è visto riconoscere il superamento del limite legale.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti a Termine: La Cassazione sul Limite dei 36 Mesi e il Calcolo dei Periodi Precedenti

La gestione dei contratti a termine rappresenta una delle questioni più delicate nel diritto del lavoro, specialmente per quanto riguarda il limite massimo di durata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento cruciale su come calcolare il tetto dei 36 mesi, specificando che anche i periodi di lavoro antecedenti alle riforme devono essere conteggiati. Questa decisione rafforza la tutela contro l’uso abusivo di contratti precari, con importanti implicazioni per datori di lavoro e lavoratori, in particolare in settori caratterizzati da collaborazioni ricorrenti, come quello artistico e dello spettacolo.

I Fatti del Caso: La Successione di Contratti nel Settore Teatrale

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un lavoratore impiegato presso un Ente Autonomo Regionale Teatrale attraverso una serie di contratti a termine succedutisi in un lungo arco temporale, dal 1997 al 2011. Il lavoratore ha agito in giudizio sostenendo che la reiterazione dei contratti avesse superato il limite massimo di durata complessiva di 36 mesi, configurando un abuso che avrebbe dovuto portare al riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a un risarcimento.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda del lavoratore, ma la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici d’appello, alcuni periodi non dovevano essere inclusi nel calcolo: in particolare, i contratti stipulati tra il 1997 e il 2001, in quanto regolati da una normativa precedente (l. n. 230/1962) che non prevedeva tale limite, e un periodo transitorio successivo. Escludendo questi periodi, la durata complessiva non superava i 36 mesi.

Contratti a termine e principio di non abuso: le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello. La decisione si fonda su un’interpretazione della normativa orientata a garantire l’effettività della tutela contro l’abuso dei contratti a termine, in linea con i principi del diritto europeo.

Il Calcolo del Periodo Massimo di 36 Mesi

Il punto centrale della motivazione risiede nel principio secondo cui l’obiettivo della legge non è valutare la legittimità di ogni singolo contratto al momento della sua stipula, ma prevenire l’abuso derivante dalla loro successione. La Corte ha chiarito che il limite di 36 mesi ha lo scopo di porre un freno alla precarietà prolungata. Pertanto, ai fini della verifica del superamento di tale limite, devono essere computati tutti i periodi di lavoro svolti per lo stesso datore di lavoro, anche quelli antecedenti all’introduzione del tetto massimo.

Escludere i contratti stipulati sotto il vigore della vecchia normativa (l. n. 230/1962) vanificherebbe la finalità anti-abusiva della legislazione successiva. Non conta se il singolo contratto fosse legittimo secondo le regole del tempo; ciò che rileva è la durata complessiva del rapporto precario.

La Finalità della Normativa Europea

La Cassazione ha richiamato la Direttiva 1999/70/CE, che impone agli Stati membri di adottare misure efficaci per prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a termine. Tra queste misure vi è proprio la fissazione di una durata massima complessiva. La Corte ha sottolineato che la sola natura ‘artistica’ o ‘stagionale’ dell’attività non è sufficiente, di per sé, a giustificare una deroga a questo principio, se non in presenza di specifiche e rigorose ‘ragioni obiettive’ che giustifichino la successione dei contratti.

Le conclusioni della Corte Suprema

In conclusione, la Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: ai fini della verifica del rispetto del limite massimo di 36 mesi, vanno inclusi anche i contratti a termine stipulati prima dell’introduzione di tale limite normativo. La sentenza impugnata è stata annullata e, decidendo nel merito, la Corte ha riconosciuto la violazione di legge da parte dell’ente teatrale, condannandolo a un risarcimento del danno in favore del lavoratore. Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale volto a dare una tutela sostanziale e non meramente formale ai lavoratori precari, garantendo che i limiti di durata non possano essere aggirati attraverso interpretazioni restrittive della legge.

I contratti a termine stipulati prima delle riforme sul limite dei 36 mesi devono essere inclusi nel calcolo della durata massima?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, anche i contratti conclusi prima dell’introduzione del limite di 36 mesi devono essere conteggiati per verificare il superamento della durata massima complessiva, poiché lo scopo della norma è prevenire l’abuso derivante dalla successione dei contratti.

Qual è la finalità principale della regola sul limite massimo di 36 mesi per i contratti a termine?
La finalità è prevenire l’abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, in conformità con la Direttiva europea 1999/70/CE, garantendo una tutela effettiva contro la precarietà prolungata.

La natura artistica di un’attività giustifica di per sé l’esclusione dal calcolo del limite dei 36 mesi?
No, la sola natura artistica dell’attività non è sufficiente per escludere l’applicazione del limite massimo. La possibilità di ricorrere a rinnovi deve essere interpretata in modo rigoroso e restrittivo, basandosi su ‘ragioni obiettive’ concrete che giustifichino la successione dei contratti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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