Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2088 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2088 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15580-2019 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
ENTE AUTONOMO REGIONALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 904/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 09/01/2019 R.G.N. 15/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
R.G.N. 15580/2019
COGNOME
Rep.
Ud.04/12/2024
CC
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RILEVATO
che, con sentenza del 9 gennaio 2019, la Corte d’Appello di Messina, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Messina, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’Ente Autonomo Regionale Teatro di Messina avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità della clausola appositiva del termine ai contratti di lavoro conclusi tra le parti, dal 1997 al 2011, il riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la condanna dell’Ente all’assunzione oltre all’indennizzo di cui all’art. 32, commi 5 e 6, l. n. 183/2010 nella misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale d i fatto;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, diversamente dal primo giudice, che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto a tutti i contratti di lavoro stipulati nell’arco temporale dal 1997 al 2011 per superame nto del limite massimo di 36 mesi, di non poter valutare a tali fini i periodi di lavoro svolti dal 21.2.1997 al 29.7.2001 in quanto legittimi alla stregua della l. n. 230/1962 né quelli compresi tra l’1.1.2008 ed il 31.3.2009 in base al regime transitorio di cui all’art. 1, comma 43, l. n. 247/2007 e di dover pertanto considerare i periodi dal 16.11.2001 al 2.12.2007 e dal 8.4.2009 al 10.5.2011, concludendo per il mancato superamento del limite dei 36 mesi;
che per la cassazione di tale decisione ricorre il COGNOME, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, l’Ente Autonomo Regionale Teatro di Messina; che il ricorrente ha poi presentato memoria;
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4 bis, d.lgs. n. 368/2001, imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente
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escluso dal computo del limite massimo dei 36 mesi i contratti di lavoro conclusi nel periodo tra il 1997 d il 2001 in quanto legittimi alla stregua della disciplina applicabile ratione temporis di cui alla l. n. 230/1962;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 43, lett. b), l. n. 247/2007, il ricorrente imputa alla Corte territoriale l’erronea applicazione del regime transitorio di cui alla l. n. 247/2007, dovendosi ritenere doversi conteggiare, ai fini del computo del limite massimo di 36 mesi, anche i contratti conclusi nell’arco temporale compreso tra l’1.1.2008 ed il 31.3.2009 ove l’abuso sia proseguito dopo la scadenza del periodo previsto dalla legge; che il primo motivo di ricorso risulta meritevole di accoglimento, dovendosi considerare che l’art. 1, comma 43, legge n. 247/2007 (‘Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale’), stabilisce che: ‘In fase di prima applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 40 a 42: a) i contratti a termine in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano fino al termine previsto dal contratto, anche in deroga alle disposizioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, introdotto dal presente articolo; b) il periodo di lavoro già effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4bis, decorsi quindici mesi dalla medesima data’;
che l’art. 5, comma 4 -bis, d. lgs. n. 368/2001 (‘Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES’),
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introdotto dalla legge n. 247/2007 di cui sopra, poi abrogato dal d.lgs. n. 81/2015 (‘Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183’), a sua volta, stabiliva che: ‘Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato’;
che il successivo comma 4-ter della medesima disposizione precisava che: ‘Le disposizioni di cui al comma 4 -bis non trovano applicazione nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifiche e integrazioni, nonché di
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quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative’; che, l’argomento del Teatro di Messina, fatto propria dalla Corte d’Appello nella sentenza impugnata, secondo cui non erano valutabili, al fine del computo del termine massimo di 36 mesi per la legittimità della reiterazione di contratti a tempo determinato nel settore in esame, i periodi di lavoro tra l’1/1/1997 e il 15/9/2001, in quanto sottoposti al regime della legge n. 230/1962, non resiste alle critiche sollevate nel primo motivo del ricorso del lavoratore;
che tale esclusione non trova fondamento in ragioni di ordine sistematico, perché non si tratta di valutare la legittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro al tempo della loro stipulazione ai sensi della legge n. 230/1962, ma la legittimità o meno del superamento del termine massimo di durata fissato dalla legge in caso di successione di plurimi contratti a tempo determinato, con finalità di prevenzione della loro abusiva reiterazione;
che è infatti l’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato, ossia l’uso improprio del susseguirsi dei contratti a tempo determinato, che i paesi dell’UE, in base alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, di attuazione dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, devono prevenire; non è, quindi, in discussione la legittimità delle condizioni legittimanti il ricorso alla clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro, ma la successione di contratti di tale natura tra le stesse parti; 10.al fine di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, sono tenuti
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ad inserire nella legislazione nazionale almeno una delle seguenti misure: ragioni oggettive per il rinnovo dei contratti a tempo determinato; durata complessiva massima del susseguirsi dei contratti a tempo determinato; numero di rinnovi massimo dei contratti a tempo determinato;
che come chiarito da questa Corte in numerosi arresti (tra i quali Cass. 10480/2019, n. 11121/2019, n. 11122/2019), l’interpretazione conforme della normativa considerata, in base alle sentenze della Corte di giustizia UE 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, Sciotto e 9 marzo 2017, in causa C-406/15, COGNOME impone di evitare il rischio che la distinzione, operata da una normativa nazionale tra i lavoratori subordinati a tempo determinato alle dipendenze di un qualsiasi datore di lavoro privato e quelli che svolgano le medesime mansioni nel settore artistico e dello spettacolo alle dipendenze di una Fondazione lirica (o di enti similari come l’attuale controricorrente), non risulti adeguata al fine perseguito da tale normativa; pertanto, se è vero che la programmazione annuale di spettacoli artistici comporta necessariamente, per il datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione, e quindi può costituire una ‘ragione obiettiva’ ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), del suddetto accordo quadro, tuttavia la nozione di ragioni obiettive dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato; dette circostanze possono risultare dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro;
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che nondimeno, non è sufficiente la sola natura artistica dell’attività gestita dal datore di lavoro; per quanto concerne le “ragioni obiettive”, strumento fondamentale di argine all’abusivo ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore, in cui indubbiamente è prevista e ammessa la possibilità di ricorrere a rinnovi, va sottolineata l’assoluta necessità di interpretare in termini rigorosi e restrittivi la sussistenza di tale requisito; che nel caso di specie, la sentenza gravata non si è attenuta a tali principi, essendosi soffermata soltanto sulla natura temporanea degli spettacoli in programmazione presso il Teatro di Messina, anziché sulla questione dirimente della continuativa reiterazione di contratti a tempo determinato nel quadro di una programmazione artistica stabile e che costituisce la ragione costitutiva e organizzativa dell’ente odierno controricorrente; che si presenta, altresì, non corretto il riferimento operato nella decisone impugnata alla legge n. 230/1962 nella sua integralità; che il disposto del comma 4ter dell’art. 5, d. lgs. n. 368/2001 escludeva l’applicazione del termine massimo di durata alla successione di contratti ‘nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 19 63, n. 1525’; tale d.P.R. elenca le attività per le quali, ai sensi dell’art. 1, secondo comma, lettera a), della legge 18 aprile 1962, n. 230, era consentita per il personale assunto temporaneamente l’apposizione di un termine nei contratti di lavoro; ma si tratta del personale di cui alla lett. a) della legge n. 230/1962 (‘speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima’), non dalla successiva lett. e) (‘scritture del personale artistico e tecnico della produzion e di spettacoli’;
che deve perciò affermarsi, in diritto, il principio per cui vanno computati nel termine massimo di durata stabilito nell’ambito
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della disciplina della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, i contratti già rientranti nel campo di applicazione dell’art. 1, lett. e), della legge n. 230/1962;
che tale conclusione è, altresì, in linea con il principio generale secondo il quale, in tema di contratti a tempo determinato, ai fini della verifica del rispetto del limite massimo di durata di trentasei mesi, vanno inclusi anche i contratti già conclusi, stipulati prima dell’aggiunta del comma 4-bis al testo dell’art. 5 del d.lgs. n. 368 del 2001, effettuata dall’art. 1, comma 40, della l. n. 247 del 2007, in quanto il comma 43 del medesimo art. 1 li attrae nel conteggio della durata complessiva, al fine della suddetta verifica (Cass. n. 24847/2022).
che, di contro, il secondo motivo si rivela inammissibile per la ragione assorbente, risultante dalla sentenza impugnata, data dal non aver il ricorrente proposto appello incidentale sulla questione della computabilità dei contratti conclusi nel periodo transitorio di cui all’art. 1, comma 43, lett. b), l. n. 247/2007, già fatta oggetto di una pronunzia di rigetto in prime cure, passata quindi in giudicato;
che il primo motivo di ricorso va, dunque, accolto, inammissibile il secondo, la sentenza impugnata cassata e la causa, poiché, alla luce delle conclusioni del ricorso per cassazione, tenuto conto del superamento per mancanza di specifiche censure anche dei criteri di parametrazione del danno, non risultano necessari ulteriori accertamenti di fatto, a norma dell’art. 384, comma 2, c.p.c., decisa nel merito, confermando le statuizioni della sentenza di primo grado;
che, ferma la regolazione delle spese operata in tale sede, l’ente odierno controricorrente deve essere condannato alla rifusione
per intero delle spese del secondo grado di giudizio e di quelle del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara la violazione da parte di Ente Autonomo Regionale ‘Teatro di Messina’ dell’art. 5, comma 4bis, d. lgs. n. 368/2001 e, per l’effetto, condanna RAGIONE_SOCIALE ‘Teatro di Messina’ al pagamento in favore del ricorrente della somma pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno. Condanna Ente Autonomo Regionale ‘Teatro di Messina’ all a rifusione in favore del ricorrente di metà delle spese di lite di primo grado, che liquida per l’intero in € 2.400 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge, compensando il residuo; alla rifusione delle spese di lite del giudizio di appello , che liquida in € 3.000 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge; alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 3.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 4 dicembre