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Contratti a termine docenti: sì al risarcimento

La Corte di Cassazione ha stabilito che la reiterazione di contratti a termine per i docenti di religione cattolica, per un periodo superiore a tre anni senza l’indizione di un concorso triennale, costituisce un abuso. Tale abuso non dà diritto alla conversione del rapporto in tempo indeterminato, ma al risarcimento del cosiddetto danno eurounitario. La Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d’Appello che aveva negato l’abuso, rinviando la causa per una nuova valutazione basata su questo principio.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti a termine: abuso e risarcimento per i docenti di religione

La questione della precarietà nel settore scolastico è un tema ricorrente, ma una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha acceso i riflettori su una categoria specifica: i docenti di religione cattolica. La Suprema Corte ha stabilito un importante principio in materia di abuso dei contratti a termine, chiarendo quando la loro continua reiterazione dà diritto a un risarcimento del danno. Questa decisione offre nuove tutele a chi per anni ha visto rinnovare il proprio incarico senza mai ottenere una stabilizzazione.

I fatti di causa

La vicenda ha origine dal ricorso di alcuni docenti di religione cattolica che, per oltre un decennio, hanno lavorato nella scuola pubblica con una successione ininterrotta di contratti a termine. Essi si sono rivolti al Tribunale per ottenere il riconoscimento del loro diritto all’assunzione a tempo indeterminato e, in subordine, un risarcimento per l’abuso subito.

In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva riconosciuto il diritto al solo risarcimento del danno. Successivamente, la Corte d’Appello di Venezia aveva ribaltato la decisione, accogliendo le ragioni del Ministero dell’Istruzione. Secondo i giudici d’appello, la legge speciale per i docenti di religione (L. n. 186/2003) giustificava la reiterazione dei contratti per coprire una quota di posti legata a esigenze di flessibilità, escludendo quindi la configurabilità di un abuso. I docenti hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

Abuso dei contratti a termine nel pubblico impiego

La Corte di Cassazione ha completamente riformato la visione della Corte d’Appello, ritenendo fondate le doglianze dei docenti. Il cuore della questione risiede nell’interpretazione della normativa nazionale alla luce dei principi sanciti dalla Direttiva Europea 1999/70/CE, volta a prevenire l’abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti a termine.

La Suprema Corte ha richiamato un suo precedente orientamento (sentenza n. 18698/2022), stabilendo un principio chiaro: nel regime speciale previsto per i docenti di religione, si configura un abuso sia nel caso di protrarsi di rapporti annuali per un periodo superiore a tre annualità scolastiche in assenza dell’indizione del previsto concorso triennale, sia in altre forme di utilizzo discontinuo che superino complessivamente tale soglia temporale.

Il ruolo del concorso triennale

Il punto focale della decisione è la mancata indizione del concorso triennale. La legge speciale prevede questo strumento come via maestra per la stabilizzazione. Secondo la Cassazione, la continua rinnovazione dei contratti a termine diventa illegittima e abusiva proprio quando l’Amministrazione omette di bandire il concorso, perpetuando di fatto una situazione di precarietà che dovrebbe essere l’eccezione e non la regola.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la condotta dell’amministrazione integra gli estremi dell’abuso, facendo venir meno il presupposto giustificativo delle esigenze temporanee. Se la necessità di coprire quei posti è permanente, come dimostrato dalla continua rinnovazione degli incarichi per oltre un decennio, l’assenza di procedure di stabilizzazione viola la normativa europea. In tutte le ipotesi di abuso, sorge il diritto dei docenti al risarcimento del cosiddetto danno eurounitario. Tuttavia, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale per il pubblico impiego, non è riconoscibile il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei docenti, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa ad altra sezione della stessa per un nuovo esame. Quest’ultima dovrà attenersi al principio di diritto enunciato: la reiterazione dei contratti a termine per oltre tre anni, senza che sia stato bandito il concorso triennale, costituisce un abuso che deve essere risarcito. Questa ordinanza rappresenta un passo fondamentale per la tutela dei diritti dei lavoratori precari della scuola, riaffermando che le esigenze di flessibilità non possono tradursi in un utilizzo illimitato e ingiustificato del lavoro a tempo determinato.

Quando la reiterazione di contratti a termine per i docenti di religione è considerata abusiva?
Si ha un abuso quando i rapporti annuali si protraggono per un periodo superiore a tre annualità scolastiche, sia in modo continuativo che discontinuo, in mancanza dell’indizione del previsto concorso triennale per la stabilizzazione.

A cosa ha diritto un docente in caso di abuso dei contratti a termine?
Il docente ha diritto al risarcimento del cosiddetto danno eurounitario, liquidato secondo specifici parametri normativi. Non ha invece diritto alla conversione automatica del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.

La legge speciale per i docenti di religione (L. 186/2003) permette un uso illimitato dei contratti a termine?
No. Secondo la Corte di Cassazione, anche questo regime speciale deve essere interpretato in conformità con la normativa europea. L’uso dei contratti a termine è legittimo solo se non si trasforma in un abuso, cosa che accade se l’Amministrazione non attiva le procedure di stabilizzazione (il concorso triennale) previste dalla stessa legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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