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Contratti a termine: calcolo del limite di 36 mesi

Un musicista, assunto con una serie di contratti a termine dal 1997, ha visto riconosciuto il suo diritto al risarcimento per il superamento del limite massimo di 36 mesi. La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini del calcolo della durata complessiva, devono essere considerati anche i rapporti di lavoro precedenti all’entrata in vigore del D.Lgs. 368/2001. La Corte ha cassato la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, ha confermato la condanna dell’ente teatrale al risarcimento del danno, riaffermando il principio della lotta all’abuso dei contratti a termine anche nel settore pubblico e artistico.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti a termine e limite di 36 mesi: la Cassazione fa chiarezza

La gestione dei contratti a termine rappresenta una delle questioni più delicate nel diritto del lavoro, specialmente quando si tratta di calcolare il limite massimo di durata di 36 mesi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione cruciale, stabilendo che nel computo totale devono essere inclusi anche i periodi di lavoro svolti prima delle riforme legislative più recenti. Questa decisione rafforza la tutela contro l’abuso della contrattazione a tempo determinato, anche in settori particolari come quello artistico.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un musicista orchestrale impiegato da un importante ente teatrale regionale sin dal 1997 attraverso una successione di contratti a termine. Ritenendo illegittima la continua reiterazione dei contratti e il superamento del limite massimo di durata complessiva di 36 mesi, il lavoratore ha citato in giudizio l’ente. Chiedeva l’accertamento del suo diritto alla conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato e il risarcimento dei danni.

Il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto la domanda: pur escludendo la conversione del contratto a causa della natura pubblica del datore di lavoro, aveva riconosciuto la violazione del limite di 36 mesi e condannato l’ente a un risarcimento. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione, escludendo dal calcolo sia i contratti stipulati prima del 2001 sia un periodo specifico coperto da un regime transitorio, concludendo che il limite non era stato superato.

La Decisione della Corte di Cassazione sui contratti a termine

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello. I giudici supremi hanno affermato un principio fondamentale: per verificare il superamento del limite massimo di 36 mesi, è necessario considerare tutti i periodi di lavoro intercorsi tra le stesse parti, inclusi quelli antecedenti all’introduzione del D.Lgs. 368/2001.

La Corte ha deciso la causa nel merito, confermando la sentenza di primo grado. Ha quindi dichiarato la violazione della norma sul limite di durata e condannato l’ente teatrale al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione, oltre al pagamento delle spese legali dei vari gradi di giudizio.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di prevenire l’uso abusivo dei contratti a termine, un principio cardine della Direttiva europea 1999/70/CE. Secondo i giudici, l’obiettivo della normativa non è valutare la legittimità di ogni singolo contratto al momento della sua stipula, ma di sanzionare la successione anomala di rapporti a tempo determinato che, nel loro complesso, superano una soglia ragionevole di durata.

Escludere i periodi di lavoro precedenti a una certa data creerebbe una falla nel sistema di protezione, permettendo ai datori di lavoro di eludere il limite massimo. La Corte ha chiarito che la finalità anti-abuso della legge impone una visione d’insieme dell’intero rapporto lavorativo. Anche se le regole sui singoli contratti sono cambiate nel tempo, il principio che vieta la reiterazione abusiva rimane valido e deve essere applicato considerando tutta la storia lavorativa del dipendente con lo stesso datore di lavoro.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che la natura artistica dell’attività non costituisce di per sé una giustificazione sufficiente per derogare ai limiti massimi di durata, a meno che non siano presenti ragioni oggettive, specifiche e concrete che giustifichino la successione dei contratti.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Stabilisce in modo inequivocabile che il calcolo del limite dei 36 mesi per i contratti a termine deve essere onnicomprensivo, senza esclusioni basate sulla data di stipula dei contratti più vecchi. Questo principio si applica a tutti i datori di lavoro, inclusi gli enti pubblici del settore culturale e dello spettacolo.

Per i lavoratori, ciò significa una maggiore tutela contro la precarizzazione derivante da un uso indiscriminato di contratti a tempo. Per i datori di lavoro, invece, rappresenta un monito a gestire con maggiore attenzione la successione dei contratti, consci del fatto che l’intera durata del rapporto lavorativo sarà soggetta a scrutinio per prevenire abusi.

Nel calcolo del limite massimo di 36 mesi per i contratti a termine, si devono contare anche i periodi di lavoro antecedenti alla legge del 2001?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della verifica del superamento del limite di durata complessiva, vanno inclusi anche i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 368/2001, poiché lo scopo della norma è prevenire l’abusiva reiterazione dei rapporti di lavoro a termine nel loro complesso.

Perché il lavoratore ha ottenuto un risarcimento del danno e non la conversione del contratto in uno a tempo indeterminato?
Il lavoratore ha ottenuto un risarcimento perché il datore di lavoro è un ente pubblico. La legge prevede che, nel pubblico impiego, la violazione delle norme sui contratti a termine non comporti la conversione automatica in un rapporto a tempo indeterminato, ma dia diritto a un risarcimento del danno subito dal lavoratore.

L’attività artistica giustifica di per sé la successione di contratti a termine oltre il limite di legge?
No. Secondo la Corte, la sola natura artistica dell’attività non è sufficiente a giustificare una successione di contratti a termine oltre i limiti legali. È necessario che esistano ‘ragioni obiettive’, ovvero circostanze precise e concrete legate alla natura delle funzioni, che possano giustificare l’uso di una successione di tali contratti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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