Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3471 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 3471  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
–
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO  NOME COGNOME
AVV_NOTAIO rel. –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15585/2019 R.G. proposto da:
NOME  COGNOME,  domiciliato  in  INDIRIZZO  presso  LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso  dall’avvocato  NOME  COGNOME,  con  diritto  di  ricevere  le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del legale rappresentante pro tempore , domiciliato in ROMA  INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
Oggetto:
Settore nullità
contratti
a
conversione – artistico
termine
–
–
CASSAZIONE, rappresentato e difeso  dall’avvocato  NOME  COGNOME, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 896/2018 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 09/01/2019 R.G.N. 14/2016;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 04/12/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, orchestrale del RAGIONE_SOCIALE, assunto con plurimi contratti di lavoro a tempo determinato a partire dal 1997, avendo superato l’audizione pubblica per la selezione degli orchestrali, conveniva in giudizio detto RAGIONE_SOCIALE al fine di accertare l’illegittimità delle clausole appositive del termine ai contratti di lavoro stipulati dal 1997 e per quindici anni (per essere stati i contratti privi di causale giustificativa, per il superamento del limite assunzionale, per il superamento del termine di 36 mesi), il diritto alla conversione del rapporto a far tempo dal 2003 ovvero dalla data di deposito del ricorso, il diritto alla stabilizzazione, la condanna dell’ente al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento del danno.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in parziale accoglimento del ricorso, ritenuta la natura di ente pubblico non economico del RAGIONE_SOCIALE, dichiarava, quanto al termine apposto ai contratti di lavoro stipulati tra le parti, la violazione dell’art. 5, comma 4 -bis , d.lgs. n. 368/2001, per superamento del limite massimo complessivo di 36 mesi, e (esclusa la stabilizzazione) condannava l’RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno commisurato a una somma pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, ai sensi dell’art. 8 legge n. 604/1966, quale parametro conforme alla disciplina europea.
 La  Corte  d’appello  di  RAGIONE_SOCIALE,  decidendo  sull’appello  proposto dal  RAGIONE_SOCIALE,  in  riforma  della  sentenza  impugnata,  rigettava  le  domande proposte dal COGNOME.
4. Per quanto ancora qui rileva, la Corte distrettuale osservava che: -la natura di ente pubblico regionale di diritto pubblico del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE precludeva la possibilità di conversione del rapporto ai sensi dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, essendo solo possibile, in presenza di un contratto ‘nullo’ solo il risarcimento del danno con valenza fondamentalmente sanzionatoria e di deterrenza (danno comunitario, non necessitante di prova); -il primo giudice, pur escludendo che i contratti a termine fossero privi di causale, ne aveva ritenuto l’illegittimità per effetto del superamento dei 36 mesi avendo fatto applicazione dell’art. 1, comma 43, legge n. 247/2007 che, nel regolamentare il regime transitorio in fase di prima applicazione, aveva previsto che i contratti a termine in corso alla data del gennaio 2008, continuassero fino al termine previsto dal contratto anche in deroga alle disposizioni di cui al comma 4 -bis dell’art. 5 d.lgs. n. 368/2001, lett. a); -per il primo giudice, il periodo di lavoro già effettuato alla data dell’1/1/2008 doveva essere computato assieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4 -bis , decorsi 15 mesi dalla medesima data (ai sensi della lett. b); in conseguenza restavano non computabili nel periodo complessivo di 36 mesi i periodi di attività compresi tra l’1/1/2008 e il 31/3/2009, mentre andavano cumulati i contratti a termine stipulati fino al 31/12/2007 con quelli tra le parti dall’1/4/2009; -pertanto, ad avviso del Tribunale, doveva ritenersi superato il periodo massimo di durata di 36 mesi di cui al citato art. 5, comma 4 -bis , non essendo applicabili i casi di esclusione previsti dall’art. 10, comma 7, d.lgs. n. 368/2001 circa l’esenzione da limitazioni quantitative dei contratti a tempo determinato conclusi per specifici spettacoli, perché riguardanti la sola esenzione dal cd. contingentamento; -invece, per il giudice di secondo grado, doveva essere escluso il superamento del termine massimo di 36 mesi, perché non erano valutabili i periodi di lavoro tra l’1/1/1997 e il 15/9/2001, in quanto sottoposti al regime della legge n. 230/1962, né erano valutabili
a tale fine quelli tra l’1/1/2008 e il 31/3/2009 per espressa previsione del regime transitorio di cui alla legge n. 247/2007 già sottratti dal giudice di primo grado; -pertanto, valutando esclusivamente i periodi iniziati in data successiva al 21/9/2001 (dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 368/2001), al netto di quelli ricompresi nel periodo tra l’1/1/2008 e il 31/3/2009, la somma dei periodi lavorati risultava inferiore a 36 mesi (786 giorni e non almeno 1095).
NOME COGNOME propone  ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidato a due motivi, concludendo in via principale per la  decisione  della  causa  nel  merito  con  conferma  di  quanto  deciso dal giudice di prime cure.
Resiste il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente deduce  la  violazione  dell’art.  5,  comma  4 -bis ,  d.lgs.  n.  368/2001,  in relazione  alla  disciplina  del  limite  massimo  di  36  mesi,  sostenendo l’erronea mancata  applicazione,  nella  sentenza  gravata,  ai  fini  del computo del limite suddetto, dei contratti di lavoro intercorsi nel periodo tra il 1997 e il 2001.
Con il secondo (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.), deduce l’erronea applicazione alla fattispecie del regime transitorio di cui alla legge n. 247/2007 ed erronea non valutazione dei periodi di lavoro compresi tra l’1/1/2008 e il 31/3/2009 ai fini del computo dei 36 mesi di cui all’art. 5, comma 4bis , d.lgs. n. 368/2001, regime transitorio che varrebbe solo in fase di prima applicazione, ma non sarebbe interpretabile come ‘una sorta di periodo franco’ non conteggiabile nel caso in cui l’abuso sia continuato dopo la scadenza del periodo previsto dalla legge.
Il primo motivo di ricorso è fondato (si veda in termini Cass. 28 dicembre 2023, n. 36120).
4. L’art. 1, comma 43, legge n. 247/2007 (‘Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale’), stabilisce che: « In fase di prima applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 40 a 42: a) i contratti a termine in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano fino al termine previsto dal contratto, anche in deroga alle disposizioni di cui al comma 4bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, introdotto dal presente articolo; b) il periodo di lavoro già effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis, decorsi quindici mesi dalla medesima data ».
5. L’art. 5, comma 4 -bis , d.lgs. n. 368/2001 (‘Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’RAGIONE_SOCIALE, dal RAGIONE_SOCIALE e dal RAGIONE_SOCIALE‘), introdotto dalla legge n. 247/2007 di cui sopra, poi abrogato dal d.lgs. n. 81/2015 (‘Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183’), a sua volta, stabiliva che: « Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per
territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato ».
Il successivo comma 4ter della medesima disposizione precisava che: « Le disposizioni di cui al comma 4-bis non trovano applicazione nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifiche e integrazioni,  nonché  di  quelle  che  saranno  individuate  dagli  avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative ».
 L’argomento  del  RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE,  fatto  proprio  dalla  Corte d’Appello nella sentenza impugnata, secondo cui non erano valutabili, al fine del computo del termine massimo di 36 mesi per la legittimità della reiterazione  di  contratti  a  tempo  determinato  nel  settore  in  esame,  i periodi  di  lavoro  tra  l’1/1/1997  e  il  15/9/2001,  in  quanto  sottoposti  al regime  della  legge  n.  230/1962,  non  resiste  alle  critiche  sollevate  nel primo motivo del ricorso del lavoratore.
Tale esclusione non trova fondamento in ragioni di ordine sistematico,  perché  non  si  tratta  di  valutare  la  legittimità  dei  termini apposti  ai  contratti  di  lavoro  al  tempo  della  loro  stipulazione  ai  sensi della legge n. 230/1962, ma la legittimità o meno del superamento del termine massimo di durata fissato dalla legge in caso di successione di plurimi contratti a tempo determinato, con finalità di prevenzione della loro abusiva reiterazione.
È infatti l’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato, ossia l’uso improprio del susseguirsi dei contratti a tempo determinato, che i paesi dell’UE, in base alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, di attuazione dell’accordo quadro RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sul lavoro a tempo determinato, devono prevenire; non è, quindi, in discussione la legittimità delle condizioni legittimanti il ricorso alla clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro, ma la successione di contratti di tale natura tra le stesse parti;
10. Al fine di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, sono tenuti ad inserire nella legislazione nazionale almeno una delle seguenti misure: ragioni oggettive per il rinnovo dei contratti a tempo determinato; durata complessiva massima del susseguirsi dei contratti a tempo determinato; numero di rinnovi massimo dei contratti a tempo determinato.
Come chiarito da questa Corte in numerosi arresti (tra i quali Cass. 10480/2019, n. 11121/2019, n. 11122/2019), l’interpretazione conforme della normativa considerata, in base alle sentenze della Corte di giustizia UE 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, Sciotto e 9 marzo 2017, in causa C-406/15, COGNOME, impone di evitare il rischio che la distinzione, operata da una normativa nazionale tra i lavoratori subordinati a tempo determinato alle dipendenze di un qualsiasi datore di lavoro privato e quelli che svolgano le medesime mansioni nel settore artistico e dello spettacolo alle dipendenze di una RAGIONE_SOCIALE (o di enti similari come l’attuale controricorrente), non risulti adeguata al fine perseguito da tale normativa; pertanto, se è vero che la programmazione annuale di spettacoli artistici comporta necessariamente, per il datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione, e quindi può costituire una ‘ragione obiettiva’ ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), del suddetto accordo quadro,
tuttavia la nozione di ragioni obiettive dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato; dette circostanze possono risultare dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro.
Nondimeno, non è sufficiente la sola natura artistica dell’attività gestita dal datore di lavoro; per quanto concerne le ‘ragioni obiettive’, strumento  fondamentale  di  argine  all’abusivo  ricorso  ai  contratti  di lavoro a tempo determinato nel settore, in cui indubbiamente è prevista e ammessa la possibilità di ricorrere a rinnovi, va sottolineata l’assoluta necessità di interpretare in termini rigorosi e restrittivi la sussistenza di tale requisito.
Nel caso di specie, la sentenza gravata non si è attenuta a tali principi,  essendosi  soffermata  soltanto  sulla  natura  temporanea  degli spettacoli in programmazione presso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, anziché sulla questione dirimente della continuativa reiterazione di contratti a tempo determinato  nel  quadro  di  una  programmazione  artistica  stabile  e  che costituisce la ragione costitutiva e organizzativa dell’ente odierno controricorrente.
 Si  presenta,  altresì,  non  corretto  il  riferimento  operato  nella decisone impugnata alla legge n. 230/1962 nella sua integralità.
 Il  disposto  del  comma  4ter dell’art.  5,  d.lgs.  n.  368/2001 escludeva l’applicazione del termine massimo di durata alla successione di contratti « nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 »; tale d.P.R. elenca le  attività  per  le  quali,  ai  sensi  dell’art.  1,  secondo  comma,  lettera  a), della  legge  18  aprile  1962,  n.  230,  era  consentita  per  il  personale
assunto  temporaneamente  l’apposizione  di  un  termine  nei  contratti  di lavoro;  ma  si  tratta  del  personale  di  cui  alla  lett.  a)  della  legge  n. 230/1962 (« speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere  stagionale  della  medesima »),  non  dalla  successiva  lett.  e) (« scritture del personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli »).
Deve perciò affermarsi, in diritto, il principio per cui vanno computati nel termine massimo di durata stabilito nell’ambito della disciplina della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, i contratti già rientranti nel campo di applicazione dell’art. 1, lett. e), della legge n. 230/1962.
Tale conclusione è, altresì, in linea con il principio generale secondo il quale, in tema di contratti a tempo determinato, ai fini della verifica del rispetto del limite massimo di durata di trentasei mesi, vanno inclusi anche i contratti già conclusi, stipulati prima dell’aggiunta del comma 4bis al testo dell’art. 5 del d.lgs. n. 368 del 2001, effettuata dall’art. 1, comma 40, della l. n. 247 del 2007, in quanto il comma 43 del medesimo art. 1 li attrae nel conteggio della durata complessiva, al fine della suddetta verifica (Cass. 17 agosto 2022, n. 24847).
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, in via assorbente, dalla  lettura  della  sentenza  gravata  non  risulta  appello  incidentale sull’esclusione  (operata  in  primo  grado)  del  computo  dei  contratti stipulati nel periodo transitorio di cui all’art. 1, comma 43, lett. b), legge n. 247/2007.
 La  sentenza  impugnata  deve,  pertanto,  essere  cassata  in relazione al motivo accolto.
 Poiché,  alla  luce  delle  conclusioni  del  ricorso  per  cassazione  e dello  stesso  contenuto  della  memoria  depositata  dal  ricorrente  nella
quale  quest’ultimo  richiama in  toto l’ordinanza  di  questa  Corte  n. 36120/2023,  già  sopra  citata, tenuto  conto  del  superamento  per mancanza di specifiche censure anche dei criteri di parametrazione del danno, non risultano necessari ulteriori accertamenti di fatto, a norma dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, confermando le statuizioni della sentenza di primo grado.
 Ferma  la  regolazione  delle  spese  operata  in  tale  sede,  l’ente odierno controricorrente deve essere condannato alla rifusione per intero delle  spese  del  secondo  grado  di  giudizio  e  di  quelle  del  presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara la violazione da parte di RAGIONE_SOCIALE dell’art. 5, comma 4 -bis , d. lgs. n. 368/2001 e, per l’effetto, condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del ricorrente della somma pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno. Condanna RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore del ricorrente di metà delle spese di lite di primo grado, che liquida per l’intero in euro 2.400,00 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge, compensando il residuo; alla rifusione delle spese di lite del giudizio di appello, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge; alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 4 dicembre 2024.
NOME COGNOME