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Contratti a termine: calcolo dei 36 mesi e abuso

Una lavoratrice del settore artistico ha visto riconosciuto l’abuso nella reiterazione di contratti a termine da parte di un ente teatrale pubblico. La Corte di Cassazione ha stabilito che, per il calcolo del limite massimo di 36 mesi, devono essere considerati tutti i contratti precedenti, anche quelli stipulati sotto la vigenza di normative passate. La violazione di tale limite non comporta la conversione del rapporto per il settore pubblico, ma dà diritto al risarcimento del danno.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti a termine: la Cassazione chiarisce il calcolo dei 36 mesi

La gestione dei contratti a termine rappresenta una delle questioni più delicate nel diritto del lavoro, specialmente quando la loro successione si protrae nel tempo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sul calcolo del limite massimo di durata di 36 mesi, stabilendo un principio cardine per prevenire l’abuso di tali rapporti, anche nel settore pubblico e artistico.

Il Caso: La Successione di Contratti nel Settore Artistico

La vicenda riguarda un’orchestrale assunta da un Ente Autonomo Regionale Teatrale attraverso una lunga serie di contratti di lavoro a tempo determinato, a partire dal 1997. Dopo quindici anni di precariato, la lavoratrice ha citato in giudizio l’ente, sostenendo l’illegittimità dei termini apposti ai contratti e chiedendo la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato, oltre al risarcimento dei danni. La sua richiesta si fondava sul superamento del limite massimo di durata complessiva di 36 mesi previsto dalla legge per la successione di contratti a termine.

Il Calcolo dei 36 Mesi per i Contratti a Termine: La Controversia

Il Tribunale, in primo grado, aveva parzialmente accolto le ragioni della lavoratrice. Pur negando la conversione del contratto, in quanto l’ente datore di lavoro è pubblico, aveva riconosciuto la violazione del limite dei 36 mesi e condannato l’ente al risarcimento del danno.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, dal calcolo della durata complessiva dovevano essere esclusi i periodi di lavoro antecedenti al 2001 (data di entrata in vigore del d.lgs. 368/2001) e un successivo “periodo transitorio” previsto da una legge del 2007. Sulla base di questo calcolo, il limite dei 36 mesi non risultava superato e, di conseguenza, nessuna illegittimità poteva essere riscontrata.

Abuso dei Contratti a Termine: La Decisione della Cassazione

La lavoratrice ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha accolto il suo ricorso, cassando la decisione e ripristinando quanto stabilito in primo grado.

Il Principio di Diritto Affermato

La Corte ha affermato un principio di diritto cruciale: ai fini della verifica del rispetto del limite massimo di 36 mesi, devono essere inclusi anche i contratti stipulati prima dell’introduzione di tale limite. La finalità della norma, in linea con la direttiva europea 1999/70/CE, non è valutare la legittimità dei singoli contratti passati, ma prevenire l’abuso derivante dalla loro reiterazione nel tempo.

La Tutela del Lavoratore e il Risarcimento del Danno

La Cassazione ha chiarito che l’obiettivo è sanzionare l’uso improprio e continuativo di una successione di contratti a termine. Escludere dal computo i rapporti precedenti vanificherebbe questa finalità di tutela. Di conseguenza, avendo accertato il superamento del limite massimo, la Corte ha confermato il diritto della lavoratrice a un risarcimento del danno, quantificato in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sull’esigenza di dare un’interpretazione della normativa nazionale conforme al diritto dell’Unione Europea, che impone agli Stati membri di adottare misure efficaci per prevenire e sanzionare l’abuso nella successione dei contratti a termine. La Corte ha specificato che la regola del limite massimo di durata è una di queste misure. Pertanto, per valutarne il rispetto, è necessario considerare l’intera storia lavorativa del dipendente presso lo stesso datore di lavoro, indipendentemente dal regime normativo vigente al momento della stipula dei singoli contratti. L’argomento secondo cui la natura artistica dell’attività giustificherebbe una deroga è stato respinto, in quanto la norma mira a proteggere il lavoratore dalla precarietà derivante da una stabile e continuativa esigenza del datore di lavoro, mascherata da una serie di contratti temporanei.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza. Stabilisce in modo inequivocabile che il calcolo del periodo massimo di 36 mesi deve essere onnicomprensivo, includendo tutti i periodi di lavoro prestati a termine per lo stesso datore di lavoro. Per i lavoratori, ciò rappresenta una garanzia più forte contro il precariato a vita. Per i datori di lavoro, soprattutto nel settore pubblico e in quelli caratterizzati da presunte esigenze di flessibilità come quello artistico, costituisce un monito a non utilizzare la successione di contratti a termine per coprire fabbisogno di personale stabile e duraturo, pena l’obbligo di risarcire il danno al lavoratore.

Nel calcolo del limite massimo di 36 mesi per i contratti a termine, si devono contare anche i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 368/2001?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che, al fine di prevenire l’abuso nella reiterazione dei contratti, vanno inclusi nel conteggio della durata complessiva anche i contratti stipulati sotto il regime della normativa precedente.

Il superamento del limite di 36 mesi in un ente pubblico comporta la conversione del contratto a tempo indeterminato?
No, la sentenza conferma che per i datori di lavoro pubblici la violazione del limite di durata non porta alla conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato, ma dà diritto al lavoratore di ottenere un risarcimento del danno.

L’attività artistica e di spettacolo giustifica di per sé l’esclusione dal limite massimo di durata dei contratti a termine?
No, la sola natura artistica dell’attività non è sufficiente a escludere l’applicazione del limite massimo di 36 mesi. La Corte ha chiarito che la normativa anti-abuso si applica anche a tali settori, poiché ciò che rileva è la reiterazione continuativa dei contratti per soddisfare un’esigenza stabile dell’ente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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