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Contratti a termine agricoltura: no abusi stagionali

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16609/2024, ha stabilito che la deroga alla disciplina sui contratti a termine in agricoltura è applicabile solo per attività strettamente stagionali. Un ente pubblico non economico non può essere qualificato come imprenditore agricolo e non può abusare di contratti a termine per mansioni continuative come la manutenzione di macchinari. L’onere di provare la natura esclusivamente stagionale del rapporto di lavoro grava sul datore di lavoro. La sentenza di merito che aveva rigettato la domanda del lavoratore è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti a termine in agricoltura: la Cassazione fissa i paletti contro gli abusi

L’utilizzo dei contratti a termine in agricoltura è un tema delicato, spesso al centro di contenziosi. Con la recente ordinanza n. 16609/2024, la Corte di Cassazione interviene per tracciare una linea netta, stabilendo che la deroga prevista per il settore agricolo non può trasformarsi in un via libera all’abuso di contratti precari, specialmente quando il datore di lavoro è un ente pubblico.

I Fatti del Caso

Un lavoratore, impiegato per quasi trent’anni da un Ente di Sviluppo Agricolo (ESA) con una successione ininterrotta di contratti a tempo determinato, ha citato in giudizio l’ente chiedendo il risarcimento del danno per l’illegittima reiterazione dei contratti. Le sue mansioni includevano la conduzione e la manutenzione di macchine agricole e automezzi, attività che, a suo dire, non avevano carattere puramente stagionale ma rispondevano a esigenze stabili e permanenti dell’ente.

Inizialmente, la Corte d’Appello aveva dato ragione all’ente pubblico, ritenendo che nel settore agricolo la deroga ai limiti temporali dei contratti a termine fosse legittima data la natura oggettiva e ciclica dell’attività. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione.

L’analisi sui contratti a termine agricoltura della Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato la decisione precedente, accogliendo le ragioni del lavoratore e delineando principi fondamentali per la corretta applicazione delle norme sui contratti a termine in agricoltura.

Ente Pubblico non è Imprenditore Agricolo

Il primo punto chiarito dalla Corte è che un ente pubblico non economico, come l’Ente di Sviluppo Agricolo, non può essere equiparato a un imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 del codice civile. Di conseguenza, non può beneficiare delle deroghe specifiche previste per i datori di lavoro privati del settore, ma è soggetto alla disciplina generale sul lavoro pubblico contrattualizzato.

La Stagionalità deve essere interpretata in senso stretto

Il cuore della decisione riguarda il concetto di “stagionalità”. La Cassazione afferma che la deroga ai limiti di durata dei contratti a termine è ammessa solo per attività che siano strettamente e genuinamente stagionali. Non è sufficiente che l’attività dell’azienda sia genericamente ciclica.

Attività come la custodia, la riparazione e la manutenzione di impianti e macchinari, o la preparazione per la nuova stagione, sono necessarie durante tutto l’anno. I lavoratori stabilmente adibiti a tali mansioni devono essere assunti con contratti a tempo indeterminato, non come lavoratori stagionali.

L’onere della prova grava sul datore di lavoro

Un altro principio cruciale riaffermato dalla Corte è che spetta al datore di lavoro dimostrare che le mansioni svolte dal lavoratore erano esclusivamente di natura stagionale e che questa specificità era chiaramente indicata nel contratto. In mancanza di tale prova, la reiterazione dei contratti a termine è da considerarsi abusiva.

Le motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando come la Corte d’Appello abbia errato nell’interpretare la normativa. La ciclicità naturale dell’attività agricola non giustifica di per sé deroghe al sistema di tutele previsto contro l’abuso dei contratti a termine. La disciplina europea (Direttiva 1999/70/CE) e nazionale è volta a garantire la stabilità del lavoro, e le eccezioni devono essere applicate in modo restrittivo.

I giudici di legittimità hanno specificato che il concetto di “attività stagionale” deve riferirsi a “situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, ossia ad attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione)”. Pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare in concreto le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore, verificando se queste rientrassero o meno nell’ambito della lavorazione stagionale, anziché basarsi su una generica appartenenza al settore agricolo.

Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un’importante vittoria per la tutela dei lavoratori del settore agricolo. La Corte di Cassazione ha rafforzato il principio secondo cui la precarietà non può essere la regola, neanche in settori caratterizzati da ciclicità produttiva. La sentenza impugnata è stata cassata e il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello di Palermo, che dovrà riesaminare la vicenda attenendosi a questi rigorosi principi. Per i datori di lavoro, specialmente quelli pubblici, emerge l’obbligo di definire con precisione le esigenze stagionali, distinguendole da quelle ordinarie e permanenti, che richiedono l’instaurazione di rapporti di lavoro stabili.

Quando è legittimo rinnovare contratti a termine in agricoltura?
Secondo la Corte di Cassazione, la deroga ai limiti di durata dei contratti a termine nel settore agricolo è legittima solo quando le mansioni del lavoratore sono strettamente e genuinamente stagionali e non rispondono a esigenze operative permanenti e continuative dell’azienda, come la manutenzione dei macchinari.

A chi spetta l’onere di provare la natura stagionale di un’attività lavorativa?
L’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro. È quest’ultimo che deve dimostrare in modo inequivocabile che l’attività svolta dal lavoratore era esclusivamente stagionale e che questa caratteristica era esplicitata nel contratto.

Un ente pubblico agricolo può essere considerato un ‘imprenditore agricolo’ ai fini delle deroghe sui contratti a termine?
No. La Corte ha chiarito che un ente pubblico non economico, anche se opera nel settore agricolo, non rientra nella definizione di imprenditore agricolo dell’art. 2135 c.c. e, pertanto, è soggetto alla disciplina generale sul pubblico impiego contrattualizzato, con limiti più stringenti all’uso dei contratti a termine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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