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Contratti a termine agricoltura: limiti per enti pubblici

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15254/2024, ha stabilito che un ente pubblico non economico operante nel settore agricolo non può essere considerato un imprenditore agricolo. Di conseguenza, non può avvalersi delle deroghe previste per i contratti a termine agricoltura, specialmente se le mansioni svolte dal lavoratore, come la manutenzione, si protraggono per tutto l’anno e non hanno carattere puramente stagionale. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva legittimato la reiterazione di tali contratti, ribadendo che l’onere di provare la natura esclusivamente stagionale del rapporto grava sul datore di lavoro.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti a termine agricoltura: la Cassazione fissa i paletti per gli Enti Pubblici

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha delineato in modo netto i confini per l’utilizzo dei contratti a termine in agricoltura da parte degli enti pubblici, stabilendo che questi non possono essere equiparati agli imprenditori agricoli privati. Questa decisione ha importanti implicazioni sulla tutela dei lavoratori del settore, spesso impiegati per anni con contratti precari. L’ordinanza chiarisce che la natura di ‘ente pubblico non economico’ impedisce l’applicazione delle deroghe speciali previste per il settore agricolo, soprattutto quando le attività lavorative non sono strettamente stagionali.

Il caso: l’abuso dei contratti a termine nel settore agricolo

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un lavoratore impiegato per quasi trent’anni, dal 1991 al 2018, da un Ente Pubblico di Sviluppo Agricolo attraverso una serie ininterrotta di contratti a tempo determinato. Il lavoratore, assunto formalmente come operatore agricolo, svolgeva in realtà mansioni continuative, come lavori meccanici e manutenzione presso un Centro di Meccanizzazione, attività che si estendevano per tutto l’arco dell’anno.

In primo grado, il Tribunale aveva riconosciuto l’illegittimità della successione dei contratti, condannando l’ente al risarcimento del danno. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, sostenendo che nel settore agricolo le deroghe alla disciplina generale dei contratti a termine fossero ampie e non limitate alla sola stagionalità, a causa delle caratteristiche intrinseche dell’attività agricola. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

L’analisi della Corte sui contratti a termine agricoltura per gli Enti Pubblici

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e stabilendo principi fondamentali per la regolamentazione dei contratti a termine in agricoltura stipulati da enti pubblici.

La natura dell’Ente Pubblico

Il punto centrale della decisione è la qualificazione giuridica del datore di lavoro. La Corte ha affermato che un Ente di Sviluppo Agricolo, essendo un ente pubblico non economico, non può essere considerato un ‘imprenditore agricolo’ ai sensi dell’art. 2135 del codice civile. Questa distinzione è cruciale perché esclude l’ente dalla possibilità di beneficiare delle deroghe normative (come quelle previste dall’art. 10, comma 2, del d.lgs. 368/2001 e dall’art. 29 del d.lgs. 81/2015) pensate specificamente per le imprese agricole private.

L’interpretazione restrittiva della ‘stagionalità’

La Cassazione ha chiarito che il concetto di ‘attività stagionale’ deve essere interpretato in modo rigoroso. Non è sufficiente che l’attività si inserisca in un contesto agricolo, ma è necessario che sia legata a cicli naturali e limitata a periodi specifici dell’anno. Attività come la manutenzione di macchinari, la custodia e la preparazione degli impianti, che si protraggono per tutto l’anno, non possono essere considerate stagionali. Di conseguenza, i lavoratori impiegati stabilmente in queste mansioni devono essere assunti con contratti a tempo indeterminato. L’onere di dimostrare che le mansioni del lavoratore erano esclusivamente e strettamente stagionali grava sul datore di lavoro.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere che la ‘naturale ciclicità’ del settore agricolo potesse giustificare di per sé deroghe al sistema di tutele previsto per i contratti a termine. Le eccezioni alla regola generale, che mira a prevenire l’abuso di contratti precari, devono essere fondate su ragioni oggettive e specifiche, come la stagionalità in senso stretto. Un’attività che, pur inserita nel settore agricolo, presenta esigenze operative permanenti per l’intero anno, richiede forza lavoro stabile. Pertanto, la reiterazione di contratti a termine per coprire tali esigenze è illegittima. La qualifica di ente pubblico non economico, inoltre, sottopone l’ente alla disciplina generale del pubblico impiego, e non a quella speciale dell’imprenditoria agricola, rendendo inapplicabili le relative deroghe.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rinviato il caso alla Corte d’Appello di Palermo, che dovrà riesaminare la questione attenendosi ai principi enunciati. Questa ordinanza rappresenta un importante precedente per la tutela dei lavoratori nel settore agricolo, in particolare quando impiegati da enti pubblici. Si afferma con forza che la precarietà non può diventare la norma per coprire fabbisogni di personale stabili e continuativi, anche in un settore caratterizzato da cicli produttivi. Il datore di lavoro pubblico, non essendo imprenditore, non può avvalersi di deroghe pensate per il mercato e deve garantire stabilità occupazionale per le mansioni che si protraggono oltre la singola stagione.

Un ente pubblico che opera nel settore agricolo può essere considerato un ‘imprenditore agricolo’?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che un ente pubblico non economico, anche se opera in agricoltura, non è qualificabile come imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 c.c. e non può quindi beneficiare delle specifiche deroghe previste per tale categoria.

Cosa si intende per ‘attività stagionale’ che giustifica un contratto a termine in agricoltura?
Per ‘attività stagionale’ si intendono solo quelle attività preordinate e organizzate per un periodo di tempo limitato e strettamente connesse a un ciclo naturale o a una stagione. Attività continuative che si svolgono durante tutto l’anno, come la manutenzione di macchinari o la custodia, non rientrano in questa definizione.

In caso di contestazione, chi deve provare la natura stagionale del lavoro?
L’onere di provare che il lavoratore era adibito esclusivamente ad attività stagionali grava sul datore di lavoro. Quest’ultimo deve dimostrare che le mansioni svolte rientravano specificamente e unicamente in tale categoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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