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Contratti a termine agricoli: limiti e stagionalità

La Corte di Cassazione interviene sulla questione della reiterazione dei contratti a termine agricoli stipulati da un ente pubblico. Con l’ordinanza n. 14251/2024, ha stabilito che un ente pubblico non economico non può essere qualificato come “imprenditore agricolo” e, pertanto, non può beneficiare delle deroghe previste per il settore. La Corte ha inoltre fornito un’interpretazione restrittiva del concetto di “stagionalità”, escludendo le attività continuative. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio per un nuovo esame.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Contratti a termine agricoli: i paletti della Cassazione su stagionalità e abusi

La gestione dei contratti a termine agricoli rappresenta un tema delicato, in equilibrio tra la flessibilità richiesta dal settore e la necessità di tutelare i lavoratori dall’abuso di rapporti precari. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 14251 del 22 maggio 2024, getta nuova luce sui limiti applicabili, in particolare quando il datore di lavoro è un ente pubblico. La decisione chiarisce due punti fondamentali: un ente pubblico non può essere equiparato a un imprenditore agricolo e il concetto di “lavoro stagionale” deve essere interpretato in modo rigoroso.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dalla vicenda di un operatore agricolo che, per quasi trent’anni (dal 1989 al 2017), ha lavorato per un Ente di Sviluppo Agricolo sulla base di una serie ininterrotta di contratti a tempo determinato. Il lavoratore, sostenendo che tale reiterazione fosse illegittima e abusiva, si è rivolto al Tribunale per ottenere il risarcimento del danno.

In primo grado, il Tribunale di Agrigento gli ha dato ragione, condannando l’ente al risarcimento. Tuttavia, la Corte d’appello di Palermo ha ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso dell’ente. Secondo i giudici d’appello, le peculiarità del settore agricolo giustificherebbero una deroga generale alla normativa sui contratti a termine, non necessariamente legata alla sola stagionalità. Insoddisfatto, il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica: i limiti dei contratti a termine agricoli

Il cuore della controversia ruota attorno all’interpretazione delle norme che consentono deroghe ai limiti di durata e al numero di rinnovi dei contratti a tempo determinato nel settore agricolo. La domanda centrale è: queste deroghe, pensate per gli imprenditori agricoli privati le cui attività sono intrinsecamente legate ai cicli stagionali, possono essere estese anche a un ente pubblico non economico? E cosa si intende, esattamente, per “attività stagionale”? La Corte d’Appello aveva adottato una visione ampia, ma la Cassazione ha ritenuto necessario un approccio più rigoroso.

L’Ente Pubblico non è un Imprenditore Agricolo

Il primo punto chiarito dalla Suprema Corte è la natura giuridica del datore di lavoro. L’Ente di Sviluppo Agricolo è un ente pubblico non economico, disciplinato dal D.Lgs. 165/2001. Come tale, non può essere qualificato come “imprenditore agricolo” ai sensi dell’art. 2135 del Codice Civile. Questa distinzione è cruciale, perché le deroghe speciali previste dal D.Lgs. 368/2001 (e successivamente dal D.Lgs. 81/2015) sono state scritte pensando alle esigenze delle imprese agricole private, non della pubblica amministrazione.

L’Interpretazione Restrittiva della Stagionalità nei contratti a termine agricoli

La Corte ha poi affrontato il concetto di “stagionalità”. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’Appello, la Cassazione ha ribadito che la stagionalità non è una giustificazione generica per derogare alle tutele dei lavoratori. Al contrario, deve essere intesa in senso stretto, come un’attività che si svolge solo in determinati periodi dell’anno per ragioni climatiche o cicliche.

Sono escluse da questa definizione tutte quelle mansioni che, pur essendo legate al ciclo produttivo, si protraggono per tutto l’anno. Ad esempio, la manutenzione dei macchinari, la custodia degli impianti o la preparazione dei terreni per la stagione successiva non sono attività puramente stagionali, ma rispondono a esigenze operative permanenti dell’azienda. Adibire un lavoratore a tempo determinato a tali compiti in modo continuativo costituisce un abuso.

L’Onere della Prova a Carico del Datore di Lavoro

Infine, la Corte ha sottolineato un principio fondamentale: spetta al datore di lavoro dimostrare che le mansioni svolte dal lavoratore erano esclusivamente di natura stagionale. Non è sufficiente che l’attività dell’ente sia genericamente agricola; è necessario provare, contratto per contratto, che le prestazioni richieste rientravano in modo specifico nelle attività stagionali definite dalla legge o dalla contrattazione collettiva (come quelle elencate nel D.P.R. 1525/1963).

Le Motivazioni

Le motivazioni della Cassazione si fondano su un’interpretazione rigorosa della normativa, volta a bilanciare la flessibilità richiesta dal settore agricolo con la necessità di prevenire l’abuso dei contratti a termine, in linea con la direttiva europea 1999/70/CE. La Corte ha ritenuto che la decisione della Corte d’Appello fosse errata perché:
1. Ha applicato in modo scorretto l’art. 10 del D.Lgs. 368/2001, una norma dettata specificamente per i datori di lavoro dell’agricoltura, a un ente pubblico che non possiede tale qualifica.
2. Ha interpretato in modo eccessivamente estensivo il concetto di stagionalità, considerandolo una ragione oggettiva per giustificare deroghe generalizzate nel settore agricolo, anziché un requisito specifico e necessario.
3. Non ha considerato che l’onere di provare la natura stagionale delle mansioni gravava sull’ente datore di lavoro.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando il caso a quest’ultima per un nuovo giudizio in diversa composizione. La Corte territoriale dovrà ora attenersi ai principi stabiliti: verificare se l’ente ha fornito la prova della natura esclusivamente stagionale delle mansioni svolte dal lavoratore e riconsiderare il caso alla luce della corretta qualificazione giuridica dell’ente come datore di lavoro pubblico non agricolo. Questa ordinanza rappresenta un importante monito per tutti i datori di lavoro, in particolare per gli enti pubblici che operano nel settore agricolo, a gestire i contratti a termine con la massima attenzione, evitando di utilizzare le deroghe per la stagionalità per coprire esigenze di personale stabili e continuative.

Un ente pubblico può essere considerato un imprenditore agricolo ai fini della normativa sui contratti a termine?
No, la Corte ha stabilito che un ente pubblico non economico, come l’Ente di Sviluppo Agricolo in questione, non rientra nella definizione di imprenditore agricolo dell’art. 2135 c.c. e non può quindi beneficiare delle deroghe specifiche previste per tale categoria.

Cosa si intende per “attività stagionale” che giustifica la deroga ai limiti dei contratti a termine agricoli?
Si intende un’attività lavorativa strettamente legata a specifici e limitati periodi dell’anno per ragioni climatiche o cicli naturali. Sono escluse le attività che, pur connesse al settore, si protraggono per tutto l’anno, come la manutenzione di macchinari o la preparazione dei terreni.

Su chi ricade l’onere di provare che le mansioni svolte erano effettivamente stagionali?
L’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro. È quest’ultimo che deve dimostrare in modo specifico che il lavoratore assunto a tempo determinato era adibito esclusivamente ad attività stagionali o a quelle strettamente complementari ad esse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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