Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3491 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 3491  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22220-2021 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro  tempore , domiciliata  in  ROMA, INDIRIZZO,  presso la  CANCELLERIA  DELLA  CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo PEC del difensore ;
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  n.  632/2021  della  CORTE  D’APPELLO  di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 19/02/2021 R.G.N. 2415/2016;
Oggetto
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Reiterazione contratti a tempo determinato
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud.04/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che  aveva  rigettato  le  domande  proposte  nei  confronti  della RAGIONE_SOCIALE volte ad ottenere: a) l’accertamento  della  nullità  dei  termini  apposti  ai  contratti intercorsi fra le parti dal 26 novembre 2013 al 5 gennaio 2015; tempo
la conversione del rapporto in contratto a indeterminato con le pronunce conseguenti;
in premessa la Corte territoriale ha evidenziato che, sebbene il COGNOME fosse stato assunto a tempo determinato con plurimi contratti in data antecedente al 2012, non era stato oggetto di censura il capo della decisione che in relazione a detti contratti aveva dichiarato la decadenza dalla impugnativa, sicché l’oggetto del giudizio restava circoscritto ai soli rapporti a termine intercorsi nel periodo sopra indicato, rispetto ai quali il giudice d’appello ha ritenuto tempestive l’impugnazione stragiudiziale e la successiva iniziativa in sede giudiziaria;
quanto ai requisiti di carattere formale, la Corte ha evidenziato che i contratti in discussione erano stati sottoscritti nella vigenza dell’art. 3, comma 6, del d.l. n. 64/2010 , che ha reso inapplicabili alle RAGIONE_SOCIALE le disposizioni dell’art. 1, commi 01 e 2 del d.lgs. n. 368/2001, e pertanto ha ritenuto sufficiente l’indicazione nel contratto dell’ attività artistica stagionalmente programmata, ossia del balletto nel quale il COGNOME sarebbe stato impiegato quale tersicoreo;
ha  escluso  che  potesse  rilevare  nella  fattispecie  la  pronuncia della Corte Costituzionale n. 260/2015, che non aveva riguardato l’art. 3, comma 6, del citato d.l. nella parte rilevante ai fini di causa ed ha anche aggiunto, richiamando Corte Cost. n. 153/2011, che la speciale disciplina dettata per le RAGIONE_SOCIALE si giustifica in ragione della impronta pubblicistica che le stesse hanno  conservato  anche  dopo  l’acquisizione  della  personalità giuridica di diritto privato;
 ha  evidenziato,  inoltre,  che  l’utilizzo  del  lavoratore  nel periodo oggetto di causa non aveva superato i 36 mesi, sicché doveva essere esclusa l’allegata abusiva reiterazione dei rapporti a tempo determinato;
 infine  il  giudice  d’appello  ha  escluso  i  denunciati  profili  di contrarietà con il diritto dell’Unione della disciplina dettata per le RAGIONE_SOCIALE perché, in caso di abuso, esclusa la possibilità della conversione,  va  assicurato  al  lavoratore  il  risarcimento  del danno  sulla  base  dei  principi  affermati  da  Cass.  S.U.  n. 5072/2016;
 per  la  cassazione  della  sentenza  NOME  COGNOME  ha proposto ricorso sulla  base  di  tre  motivi,  ai  quali  ha  opposto difese la RAGIONE_SOCIALE con tempestivo controricorso;
il  ricorrente  ha  depositato memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ.
CONSIDERATO  CHE
con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione  dell’art.  1  del  d.l.  n.  345/2000,  convertito  dalla legge  n.  6/2001,  nonché  degli  artt.  1,  4  e  22  del  d.lgs.  n.
367/1996 e censura il capo della sentenza impugnata che ha affermato la natura pubblica delle RAGIONE_SOCIALE; richiama Cass. S.U. n. 27465/2016, Corte Cost. n. 260/2015 nonché giurisprudenza di questa Sezione Lavoro e, ripercorsa la normativa che nel tempo ha interessato gli enti lirici, evidenzia che questi ultimi, a partire dal 23 maggio 1998 hanno assunto la personalità giuridica di diritto privato con conseguente privatizzazione dei rapporti di lavoro dagli stessi instaurati, sottratti alla applicazione della disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001;
 la  seconda  critica  addebita  al  giudice  di  appello  di  avere violato l’art. 3, comma 6, del d.l. n. 64/2010, l’art. 22, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 367/1996, l’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, le clausole  4  e  5  dell’accordo  quadro  allegato  alla  direttiva 1999/70/CE;
il ricorrente richiama, quanto alla ragione oggettiva che anche nel mutato contesto normativo deve sorreggere il ricorso al rapporto a tempo determinato, la giurisprudenza di legittimità, consolidata nel ritenere che la mera dichiarazione dello spettacolo o serie di spettacoli non permette di identificare l’esigenza produttiva, organizzativa o tecnica che giustifica l’apposizione della clausola di durata e rileva, in estrema sintesi, che quella giurisprudenza non ha perso attualità anche all’esito dell’entrata in vigore del d.l. n. 64/2010 e dei successivi interventi normativi perché, altrimenti, si finirebbe per consentire agli enti lirici il ricorso incondizionato al rapporto a termine, in evidente contrasto con i principi affermati dalla Corte di Giustizia con la sentenza 25 ottobre 2018 in causa C- 331/17, COGNOME;
 infine  con  il  terzo  motivo  il  ricorso  deduce  testualmente «violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 01, 2 e 3 del
d.lgs. n. 368/2001 in comb. disp. con il divieto di assunzione a tempo indeterminato previsto dall’art. 3, commi 5 e 6 del d.l. n. 64/2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 100/2010), dall’art. 11, comma 13, 1°cpv. del d.l. n. 91/2013 (convertit o con modificazioni dalla legge n. 112/2013), dall’art. 5, comma 1, lett. b) del d.l. n. 83/2014 (convertito con modificazioni dalla legge n. 106/2014) già previsto anche dall’art. 3 ter, comma 6, del d.l. n. 7/2005 (convertito con modificazioni dalla legge n. 43/2005), dall’art. 1, comma 595, della legge n. 266/2005, dall’art. 2, comma 392, della legge n. 244/2007»;
sostiene il ricorrente che l’impedimento alla trasformazione del rapporto di lavoro non può derivare dalle leggi che hanno imposto il divieto di assunzione, poiché si tratta di norme esterne alla fattispecie dedotta in giudizio, che non fanno degradare il diritto soggettivo sorto in conseguenza di atti di gestione del rapporto di impiego e richiama sentenze risalenti nel tempo delle Sezioni Unite di questa Corte, ribadendo, inoltre, la natura privatistica delle RAGIONE_SOCIALE e dei rapporti dalle stesse instaurati;
assume che l’esclusione della conversione determinerebbe nella fattispecie una discriminazione indiretta nei confronti dei lavoratori dello spettacolo e richiama giurisprudenza della Corte EDU per sostenere che una disparità di trattamento deve essere fondata su giustificazioni oggettive e ragionevoli, che perseguano un fine legittimo, ragioni che non sussistono nella fattispecie;
deduce al riguardo che il divieto di conversione non può essere affermato valorizzando le esigenze di bilancio delle RAGIONE_SOCIALE e prospetta  la  contrarietà  con  il  diritto  dell’Unione  anche  della disciplina dettata dal d.l. n. 59/2019;
richiama  ancora  la  sentenza  25  ottobre  2018,  COGNOME,  ed  in particolare  i  punti  della  decisione  che  fanno  riferimento  alla conversione del rapporto quale misura effettiva per evitare ed eventualmente sanzionare l’utilizzo abusivo della successione di rapporti a tempo determinato;
4. nel rispetto dell’ordine logico e giuridico delle questioni poste dal  ricorso  va  esaminato  con  priorità  il  secondo  motivo  di impugnazione, che censura la sentenza impugnata nella parte in  cui  ha  escluso  l’eccepita  nullità  delle  clausole  di  durat a apposte ai contratti stipulati nell’arco temporale 26 novembre 2013/16 maggio 2014;
il motivo è fondato,  perché erroneamente la Corte territoriale ha arrestato l’indagine al solo rilievo della regolarità formale del contratto, valorizzando il disposto dell’art. 3, comma 6, del d.l. n. 64/2010, senza svolgere alcun accertamento sulla ricorrenza o meno  di ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive;
4.1. l’evoluzione della disciplina, connotata da specialità, dettata dal legislatore in relazione ai contratti a tempo determinato stipulati dagli enti lirici, prima, e poi dalle RAGIONE_SOCIALE, è stata ricostruita da Cass. S.U. n. 5542/2023, nella cui motivazione, alla quale si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., è stato sottolineato che il legislatore, se, da un lato, non ha inserito i rapporti a termine conclusi dalle RAGIONE_SOCIALE fra quelli integralmente esclusi dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 368/2001 e del successivo d.lgs. n. 81/2015, dall’altro ha progressivamente ampliato il regime derogatorio rispetto alla disciplina ordinaria, quanto alle condizioni che devono ricorrere per la valida instaurazione di un rapporto a tempo determinato e per la sua proroga;
nella citata pronuncia delle Sezioni Unite è stato ribadito il principio, già affermato dalla giurisprudenza di questa Sezione, secondo cui qualora venga dedotta in giudizio la nullità della clausola di durata apposta al contratto a termine e si sia in presenza di una successione di norme nel tempo, occorre fare riferimento alla normativa vigente alla data della stipulazione del contratto e non a quella in vigore al momento della pronuncia accertativa, perché, ai fini della decisione sulla legittimità della clausola, rileva il momento temporale in cui l’ actum è stato posto in essere dalle parti ( in tal senso si erano già espresse Cass. n. 24330/2009 e, fra le tante successive, Cass. n. 21724/2018, Cass. n. 25080/2018, Cass. n. 19418/2020);
4.2. conseguentemente, nella fattispecie, poiché si discute di contratti tutti stipulati in epoca successiva alla pubblicazione del d.l. n. 64/2010 , occorre fare applicazione dell’art. 3 del citato d.l. che, al comma 6, oltre ad affermare per le RAGIONE_SOCIALE la perdurante vigenza dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 426/1977 ( Alle RAGIONE_SOCIALE, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi l’articolo 3, quarto e quinto comma, della legge 22 luglio 1977, n. 426, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. ) , ha escluso l’applicazione alle stesse dei commi 01 e 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 ( Non si applicano, in ogni caso, alle RAGIONE_SOCIALE le disposizioni dell’articolo 1, commi 01 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. );
all’epoca dell’emanazione del decreto legge in commento, l’art. 1 del richiamato d.lgs. n. 368/2001 stabiliva, al comma 01, che « Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato », al comma 1 indicava le ragioni in presenza delle quali è consentito il ricorso al contratto a tempo determinato ( È consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro ), al comma 2 imponeva la forma scritta della clausola di durata, prescrivendo che le ragioni dovessero essere specificate nel contratto ( L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma l. );
4.3. il regime derogatorio, pertanto, ha inciso sui requisiti formali della clausola appositiva del termine e, attraverso l’affermata inapplicabilità del comma 01, ha voluto sottolineare le particolari esigenze di un settore, quello dello spettacolo, nel quale, come evidenziato anche dalla Corte di Giustizia, «la programmazione annuale di spettacoli artistici comporta necessariamente per il datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione», che possono integrare una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE ( Corte di Giustizia 25 ottobre 2018, causa C- 331/17, COGNOME, punti 46 e 47);
4.4 . il legislatore, peraltro, ha ribadito l’applicabilità alle RAGIONE_SOCIALE del comma 1 del citato art. 1 d.lgs. n. 368/2001, che richiede, per il valido ricorso al rapporto di lavoro a tempo determinato, la ricorrenza di ragioni tecniche, organizzative,  produttive  e  sostitutive,  in  relazione  alle  quali rilevano,  quanto  alla  nozione,  i  principi  affermati  dalla  citata
pronuncia della Corte di Giustizia secondo cui, pur apprezzando la particolarità del settore nei termini già indicati, «non si può ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti nelle istituzioni culturali di cui trattasi che rientrano nella normale attività del settore di attività delle RAGIONE_SOCIALE», sicché i contratti in parola devono risultare conclusi per ragioni specifiche che rispondano ad un’esigenza soltanto provvisoria di personale ( punti da 45 a 54);
poiché l’interpretazione della normativa interna deve mirare ad assicurare la conformità della stessa all’ordinamento eurounitario, si deve escludere che le ragioni richiamate dal comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 possano essere coincidenti con quelle che stanno alla base del contratto di lavoro a tempo indeterminato e, pertanto, devono essere connotate da temporaneità, con la conseguenza che, in un settore nel quale l’attività ordinaria si esplica attraverso l’allestimento di spettacoli di durata temporalmente limitata che si susseguono nell’ambito di stagioni teatrali anch’esse ad tempus , non è sufficiente, per giustificare il ricorso al rapporto a tempo determinato, fare leva sulla temporaneità della singola produzione e della stagione medesima;
una tale interpretazione della normativa interna, infatti, consentirebbe  alle  RAGIONE_SOCIALE  l’elusione  della disciplina  sovranazionale,  perché,  in  sostanza,  legittimerebbe sempre  ed  in  ogni  caso il ricorso al  rapporto  a  tempo determinato, essendo connotati da temporaneità lo spettacolo e la stagione alla quale lo stesso si riferisce;
la temporaneità, allora, va verificata in relazione ad un contesto più ampio ed alla complessiva organizzazione dell’attività curata
dalla  fondazione,  e  potrà  essere  ritenuta  sussistente  solo qualora  emergano  ragioni  dalle  quali  si  possa  desumere  che quelle esigenze non potevano essere assicurate da personale assunto a tempo indeterminato;
4.5. ne discende che, anche nella vigenza dell’art. 3 del d.l. n. 64/2010, non ha perso attualità (nei termini che di seguito saranno precisati) l’orientamento, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e fatto proprio dalle Sezioni Unite nella pronuncia citata ( punto 18), secondo cui il ricorso al rapporto a tempo determinato non può essere giustificato con il solo richiamo alle mansioni ed allo spettacolo, in assenza di qualsivoglia ulteriore precisazione in ordine allo scopo del contratto, alla temporaneità delle esigenze, alla professionalità del soggetto assunto, ossia alla particolarità dell’apporto lavorativo per ciascuno dei diversi spettacoli con riferimento a ragioni tecniche o artistiche;
va precisato al riguardo che quell’orientamento, al pari delle pronunce rese sull’interpretazione della legge n. 230/1962, si è formato con riferimento ai requisiti formali della clausola appositiva del termine (in particolare al concetto di specificità della causale ed alla nozione di «specifico» spettacolo), non più richiesti per i contratti stipulati dalle RAGIONE_SOCIALE dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 64/2010 (in ragione dell’affermata inapplicabilità del comma 2 dell’art. 1 del d.lg s. n. 368/2001), ma le considerazioni sulle quali riposano i principi enunciati ben possono essere utilizzate per enucleare e circoscrivere le «ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo e sostitutivo», richieste dal citato d.l. per il valido ricorso al rapporto a tempo determinato da parte delle RAGIONE_SOCIALE;
4.6. l’indagine che il giudice è chiamato a svolgere, pur riguardando non più la causale indicata nel contratto ma l’effettiva sussistenza delle ragioni oggettive, che deve essere provata dal datore di lavoro, va condotta, quindi, sulla base delle medesime indicazioni date dalle pronunce di questa Corte e, pertanto, ove non vengano in rilievo ragioni sostitutive in relazione a lavoratore solo momentaneamente impedito (ragioni la cui sussistenza deve essere provata nei termini indicati, fra le tante, da Cass. n. 10391/2024), occorrerà verificare se «le caratteristiche oggettive dello spettacolo o del programma richiedano un apporto peculiare e temporaneo, che non possa essere fornito dal personale assunto in pianta stabile» ed a tal fine « non può considerarsi sufficiente ad integrare l’ipotesi di legittimo ricorso al contratto a tempo determinato la mera qualifica tecnica o artistica del personale correlata alla produzione di spettacoli o programmi radiofonici e televisivi, occorrendo che l’apporto del pecul iare contributo professionale, tecnico o artistico del soggetto esterno sia reso necessario per il buon funzionamento dello spettacolo, in quanto non sostituibile con le prestazioni del personale di ruolo dell’azienda » (Cass. n. 3187/2019 che rinvia a plurimi precedenti di questa Corte);
4.7. va, poi, ancora aggiunto che allorquando, come nella fattispecie, si sia in presenza di una successione di rapporti a termine ma il termine di decadenza imposto dall’art. 32 della legge n. 183/2010 sia stato rispettato solo con riferimento all’ultimo o a gli ultimi contratti succedutisi con sistematicità nelle diverse stagioni teatrali, opera il principio, già enunciato da questa Corte, secondo cui la sequenza contrattuale che precede l’ultimo contratto può rilevare «come dato fattuale, che concorre ad integrare l’abusivo uso dei contratti a termine e
assume evidenza proprio in ragione dell’impugnazione dell’ultimo  contratto,  concluso  tra  le  parti,  per  far  accertare l’abusiva  reiterazione»  (Cass.  n.  4960/2023 e  negli  stessi termini,  quanto  al  contratto  di  somministrazione,  Cass.  n. 22861/2022);
4.8. calando nella fattispecie i richiamati principi va detto che la Corte territoriale si è limitata ad argomentare sulla mancanza di specificità  della  causale,  ossia  sulla  regolarità  formale  dei contratti impugnati superata all’esito dell’entrata in vigore del d.l. 64/2010, e non ha esteso la valutazione alla ricorrenza in concreto di ragioni idonee a giustificare il ricorso al rapporto a tempo determinato,  che  dovevano  essere  provate  in  giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE;
4.9. tanto basta per accogliere il secondo motivo di ricorso e per cassare con rinvio la sentenza impugnata, senza dover affrontare le ulteriori questioni, che il giudice d’appello non ha esaminato e che non sono state qui poste, se non marginalmente,  legate  alla  evoluzione  della  normativa  ed  in particolare  alla  sopravvenienza  del  d.l.  n.  34/2014,  nella  cui vigenza sono stati stipulati i contratti succedutisi dal 16 maggio 2014 al 5 gennaio 2015;
quanto al primo ed al terzo motivo ne va dichiarata l’inammissibilità perché una volta affermata la legittimità dei contratti impugnati , nessun’altra statuizione era tenuta a rendere la Corte territoriale, sicché tutte le considerazioni che si leggono nella sentenza impugnata sulla impossibilità della conversione e sulle ragioni per le quali il legislatore ha previsto per le RAGIONE_SOCIALE un regime speciale, derogatorio rispetto a quello dettato per gli altri datori di lavoro privati, si devono ritenere svolte ad abundantiam , non integrando, all’evidenza, una doppia ratio, che è configurabile
solo qualora l’argomentazione autonoma sia da sola sufficiente a sorreggere l’accoglimento o il rigetto della domanda;
nella specie solo la pronuncia di accertamento della legittimità del termine giustifica la decisione, non le valutazioni espresse sulle tutele applicabili in caso di accertata abusività della reiterazione, sulle quali la Corte non doveva né poteva pronunci are, una volta esclusa l’illegittimità della reiterazione; è, quindi, applicabile l’orientamento, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam , in quanto la stessa, non costituendo una ratio decidendi della decisione, non spiega alcuna influenza sul dispositivo della stessa e, pertanto, essendo improduttiva di effetti giuridici, la sua impugnazione è priva di interesse» ( Cass. n. 18429/2022 e negli stessi termini Cass. n. 8755/2018);
l’interesse ad ottenere una pronuncia sulla tutela applicabile sorgerà solo se ed in quanto nel giudizio di rinvio, da condurre nel rispetto dei principi enunciati al punto 4, dovesse essere accertata l’illegittimità delle clausole appositive del termine e d in tal caso tutte le questioni potranno essere riproposte, atteso che sull’argomentazione ad abundantiam non può formarsi giudicato, per le medesime ragioni che escludono l’interesse all’impugnazione nel giudizio di legittimità;
5.1.  ne  discende che non può trovare accoglimento l’istanza, formulata dalla ricorrente nella memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., di rinvio della trattazione in attesa della pronuncia della  Corte  di  Giustizia  sul  rinvio  pregiudiziale  disposto  dal Tribunale di Milano con ordinanza del 7 ottobre 2024, perché attinente a questione, allo stato, non rilevante e dalla quale non dipende l’accoglimento o meno del ricorso per cassazione;
6. in via conclusiva va accolto il secondo motivo di ricorso, nei termini indicati  al punto 4, e la sentenza impugnata va cassata con  rinvio  alla  Corte  territoriale  indicata  in  dispositivo,  che procederà ad un nuovo esame provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione;
7. non  sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La  Corte  accoglie  il  secondo  motivo  di  ricorso  e  dichiara inammissibili  gli  altri  motivi.  Cassa  la  sentenza  impugnata  e rinvia  alla  Corte  d’appello  di  RAGIONE_SOCIALE,  in  diversa  composizione, alla quale demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Così  deciso  in  Roma  nella  Camera  di  consiglio  della  Sezione