Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30782 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 30782 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25695-2021 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 365/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 25/03/2021 R.G.N. 471/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
02/10/2025 dal AVV_NOTAIO. COGNOME.
Oggetto
Differenze retributive
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 02/10/2025
CC
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Palermo conferma va la decisione con cui il Tribunale di Palermo aveva rigettato le domande del ricorrente indicato in epigrafe, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, dirette a mantenere il trattamento economico di anzianità (cd. RIA) maturato nell’ambito del rapporto di lavoro alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, il riconoscimento di superiore inquadramento, il pagamento delle cd. spese tecniche ex art. 92, comma 5, d.lgs. n. 163/2006, con conseguente condanna della società cessionaria RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle corrispondenti somme.
Il Tribunale aveva escluso la prosecuzione del rapporto di lavoro dall’una all’altra società, ritenendo che con RAGIONE_SOCIALE si fosse costituito un nuovo rapporto di lavoro, successivo al licenziamento da parte di RAGIONE_SOCIALE e che pertanto non era azionabile, nei suoi confronti, la pretesa avanzata. La Corte territoriale, per quanto qui ancora rileva, confermando la decisione di primo grado, riteneva altresì che la domanda diretta all’accertamento dell’ illegittimità del recesso fosse domanda nuova, mai azionata in primo grado. Allo stesso modo riteneva si fosse realizzata la cessazione del primo rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE attraverso il recesso intimato e non impugnato, e che l ‘allegata ‘simulazione’ del licenziamento fosse anch’essa circostanza nuova, anche irrilevante ai fini del decidere, in quanto attinente a eventuali vizi da far valere in altra sede (impugnativa del licenziamento, non avvenuta). La Corte infine accertava che comunque non ci fosse continuità tra i rapporti, in quanto l’intervenuto licenziamento non era stato impugnato.
3. Avverso detta decisione proponeva ricorso il lavoratore, con quattro motivi, cui resisteva con controricorso RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE COGNOME–RAGIONE_SOCIALE. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
Ragioni della decisione
Osserva il Collegio che la presente controversia è analoga ad altre già decise da questa Corte, con pronunce cui si intende dare continuità e le cui motivazioni si richiamano, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (segnatamente, Cass. n. 27939/2023, n. 27941/2023, 20032/2025).
Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli art. 32, comma 4, lett. c), legge n. 183/2010, 12 e 14 preleggi, nonché della direttiva n. 2001/23/CE (art. 360, n. 3, c.p.c.). Il ricorrente sostiene che erroneamente la C orte territoriale ha ritenuto applicabile l’art.32 cit., in punto di decadenza dall’impugnativa del licenziamento (collettivo).
Il motivo è inconferente rispetto alla statuizione del giudice di appello che, nell’impugnata sentenza, nulla esprime sul punto. La Corte territoriale ha, infatti, confermato la statuizione del Tribunale accertativa della discontinuità dei due rapporti di lavoro e, soprattutto, della mancata impugnazione del licenziamento del 31.10.2012 cui era seguita la nuova assunzione. Nessun riferimento è stato fatto all’ipotesi della decadenza qui richiamata, evidentemente fuori contesto. Il motivo deve essere disatteso.
La seconda censura ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., dell’art. 20, comma 6, legge regionale n.11/2010, nonché delle Direttive 77/187/CEE e 2001/23 CE. Parte ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale, pur dato atto del passaggio del personale RAGIONE_SOCIALE
in RAGIONE_SOCIALE, ha escluso che si fosse realizzato un trasferimento d’azienda, trascurando di occuparsi dei singoli contratti di lavoro.
Il motivo risulta inconferente rispetto alle statuizioni del giudice d’appello dirette ad escludere l’esistenza di un trasferimento d’azienda. La sentenza, confermando quanto accertato dal primo giudice, ha dato atto della novità del rapporto e dei contratti instaurati con RAGIONE_SOCIALE, escludendone, pertanto, la continuità e rapportabilità al primo rapporto, esauritosi con il licenziamento.
Il terzo motivo denuncia (art. 360, n. 5, c.p.c.) l’omesso esame di un fatto decisivo quale la continuità del rapporto di lavoro. Il ricorrente ritiene errata la valutazione della Corte sul punto, poiché non ha considerato che il primo rapporto è cessato il 31.10.2012 e il secondo è iniziato il 1.11.2012, in assoluta continuità temporale.
Il motivo è inammissibile, perché precluso dalla cd. doppia conforme (art. 348- ter, ult. comma, ora art. 360, comma 4, c.p.c.).
L’ulteriore censura lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto di non riconoscere il mantenimento dell’anzianità lavorativa, il diritto a superiore inquadramento e al pagamenti di RIA e incentivi, in ipotesi di mutamento della titolarità di attività economica organizzata.
Il motivo è inammissibile perché non pertinente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, con cui il giudice d’appello ha escluso l’applicabilità de ll’art. 2112 c.c. a causa della mancanza del presupposto, ossia della persistenza del precedente rapporto di lavoro (Cass. n. 4622/2019), ormai definitivamente estinto mediante un licenziamento. Si tratta, in
ogni caso, di censura riguardante la valutazione di merito svolta dalla Corte di appello, basata, come già detto, su ragioni chiare che devono far escludere la possibilità di ulteriori ri-valutazioni.
10. Il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono il principio di soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il versamento del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 2 ottobre 2025.
La Presidente dott.ssa NOME COGNOME