Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22554 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22554 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 830-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3698/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/10/2023 R.G.N. 408/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N.830/2024
COGNOME
Rep.
Ud13/05/2025
CC
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, in sede di rinvio disposto da questa Corte con ordinanza n. 35231 del 2022, ha annullato il licenziamento disciplinare intimato a NOME COGNOME in data 30 ottobre/7 novembre 2015 dalla D.RAGIONE_SOCIALE condannando quest’ultima alla reintegra del lavoratore e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto in misura pari a 12 mensilità, oltre accessori e versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;
la Corte, in sintesi e per quanto qui ancora rilevi, ha premesso che, in seguito alla pronuncia rescindente, doveva essere escluso che il recesso datoriale potesse considerarsi ‘nullo per violazione della procedura disciplinare’, risultando devoluta al ri nvio solo la questione dell’annullabilità del licenziamento a mente del comma 4 dell’art. 18 St. lav.; ha quindi riportato la contestazione disciplinare con cui testualmente si addebitava all’Elmo: ‘il giorno 18/09/2015 intorno alle 10:00 circa finito il proprio turno di lavoro si tratteneva nel piazzale antistante della FS di Caserta adibito a capolinea aveva prima un diverbio successivamente venuto alle mani col signor COGNOME che a seguito di distacco stava effettuando la partenza alle 09:55 sulla tratta Caserta Napoli’; escluso che potessero assumere rilievo, per il principio della immutabilità della contestazione disciplinare, ulteriori circostanze contenute nella lettera di recesso, la Corte territoriale ha ricondotto il fatto addebitato nell’ambito della previsione di cui all’art. 42, n. 15, R.D. n. 138 del 1931 che sanziona con la sospensione ‘gli alterchi con vie di fatto, le
ingiurie verbali, disordini, risse o violenze sui treni, lungo le linee, nei locali dell’azienda o loro dipendenze’;
in ragione di ciò, ha annullato il licenziamento, applicando le tutele previste dal comma 4 dell’art. 18 St. lav. novellato;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso la società con tre motivi; ha resistito l’intimato con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere indicati secondo la sintesi offerta da parte ricorrente;
1.1. col primo motivo: ‘Deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss l. 300/1970, nonché dell’art. 2119 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di contestazione disciplinare, si censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto che in ipotesi di licenziamento intimato per un determinato fatto materiale (violenta azione di un dipendente ai danni di altro dipendente, avvenuta in pubblico), la motivazione della sanzione che si riferisca alle giustificazioni del dipendente, comporti ampliamento della contestazione, e comunque per non aver considerato: a) che il giudice di merito deve comunque valutare se nell’ambito della contestazione vi sia stato o meno modifica dei fatti tale da menomare il diritto di difesa del dipendente; b) che in ogni caso non riguarda la contestazione, la qualificazione e la individuazione deli interessi giuridicamente rilevanti colpiti dalla condotta’;
1.2. con il secondo motivo: ‘Deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 45 R.D. 148/1931 e di ogni altra norma e
principio in materia di sanzione disciplinare e di incidenza di una condotta sul vincolo fiduciario, e legittimità del licenziamento, in generale e con riferimento al personale cui si applica il R.D. 148/1931, si censura la sentenza impugnata per non aver operato una valutazione comparativa, ai fini della sussunzione della condotta ascritta, con altre norme disciplinari, benché le stesse fossero state menzionate nel provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro’;
1.3. con il terzo mezzo: ‘Deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 45 R.D. 148/1931 e dell’art. 2119 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di sanzione disciplinare e di incidenza di una condotta sul vincolo fiduciario, e legittimità del licenziamento, in generale e con riferimento al personale cui si applica il R.D. 148/1931, si censura la sentenza impugnata per non aver fatto luogo alla applicazione dell’art. 2119 c.c. o quanto meno non aver proceduto ad una interpretazione costitu zionalmente orientata dell’art. 42, n. 15 del R.D. 148/1931, interpretando la fattispecie in termini restrittivi, nel rispetto del quadro valoriale vigente a seguito della entrata in vigore della costituzione e della successiva elaborazione del diritto viv ente’;
subordinatamente si prospetta questione di legittimità costituzionale del R.D. n. 148/1931 e comunque dell’art. 42, n. 15, per contrasto con gli artt. 2, 11, 32 e 97 Cost.;
2. il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. il primo motivo è infondato;
si sostiene che le giustificazioni rese dal dipendente nel corso del procedimento disciplinare consentirebbero un ‘ampliamento della contestazione’, tanto che il lavoratore potrebbe essere licenziato anche in relazione a fatti indicati nella comunicazione del recesso; tuttavia, non si indicano precedenti
giurisprudenziali idonei a sostenere un assunto che, peraltro, tradirebbe palesemente la ratio garantista dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, perché inevitabilmente il dipendente potrebbe essere licenziato senza aver avuto la possibilità di contraddire e difendersi rispetto a circostanze contenute nella sola lettera di licenziamento;
infondato anche l’assunto secondo cui, nella specie, il giudice di merito non avrebbe valutato se, nell’ambito della contestazione, la modificazione dei fatti avrebbe o meno menomato il diritto di difesa del dipendente, atteso che la Corte territoriale ha specificamente argomentato come ‘all’Elmo, non essendo stato contestato di avere dato inizio e causa al litigio, non è stata offerta la possibilità di articolare una compiuta difesa che tenesse conto anche della condotta asseritamente provocatoria’;
nella sostanza, poi, col motivo in esame, pur essendo prospettata formalmente una violazione o falsa applicazione di norme di diritto, si censura inammissibilmente l’interpretazione dell’atto contenente la contestazione dell’addebito in relazione alla motivazione posta a base del licenziamento, interpretazione che certamente compete al giudice del merito;
2.2. parimenti non possono essere condivise le doglianze contenute nel secondo e terzo motivo di ricorso, con cui si contesta la riconducibilità del fatto contestato alle previsioni contenute nell’art. 45 R.D. n. 148 del 1931, suggerendo poi una non meglio definita interpretazione costituzionalmente orientata che consentirebbe di non sussumere l’addebito tra le condotte punibili con sanzione conservativa;
infatti, va ricordato il consolidato orientamento secondo cui la contrattazione collettiva vincola in senso favorevole al dipendente, nel senso che, ove le previsioni del contratto
collettivo siano più favorevoli al lavoratore -in quanto la condotta addebitata quale causa del licenziamento sia contemplata come infrazione sanzionabile con misura conservativa -il giudice non può ritenere legittimo il recesso, dovendosi attribuire prevalenza alla valutazione di minore gravità di quel peculiare comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore, compiuta dall’autonomia collettiva nella graduazione delle mancanze disciplinari (v. tra molte, Cass. n. 8718 del 2017; Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011; Cass. n. 19053 del 2005; Cass. n. 5103 del 1998; Cass. n. 1173 del 1996);
tale principio opera chiaramente anche laddove sia lo stesso legislatore a descrivere le condotte punibili con sanzione conservativa, come è il caso dell’art. 42 R.D. n. 148 del 1931 (cfr. Cass. n. 2518 del 2023);
tale pronuncia, alla quale la sentenza impugnata è dichiaratamente conforme, riguarda proprio la disposizione di cui al n. 15 dell’art. 42 R.D. 148/1931, che riporta tra le condotte disciplinarmente illecite punite con la sanzione conservativa della sospen sione dal servizio gli ‘alterchi con vie di fatto, ingiurie verbali, disordini, risse o violenze sui treni, lungo le linee, nei locali dell’azienda o loro dipendenze’;
il precedente chiarisce che ‘la nozione contenuta nella speciale normativa per gli autoferrotranvieri risulta di amplissima portata semantica e fenomenologica (alterchi con vie di fatto, ingiurie, disordini, risse, violenze) a copertura di una assai vasta gamma di condotte anche di significativa portata e di una certa violenza, prescindendo da elementi quali la provocazione o l’iniziale aggressione, e senza qualificazioni in termini di maggiore o minore gravità’;
ben diversa è la fattispecie concreta di cui al precedente invocato nella memoria della società (Cass. n. 2977 del 2025), in cui è stato accertato non ‘un mero alterco o colluttazione violenta ‘, bensì che il dipendente licenziato aveva compiuto ‘un’aggressione alle spalle, colpendo l’aggredito con una bottiglia, ferendolo alla testa, provocandone l’assenza dal lavoro per oltre un mese, in un contesto ulteriormente pericoloso per l’avvenuto porto in azienda di oggetti atti a offendere’;
tale pronuncia, poi, ribadisce il condiviso orientamento in base al quale ‘la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.’, di modo che ‘questa Corte non può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione; l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale; dunque, l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo
costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (cfr. Cass. n.13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 88/2023; v. anche, Cass. n. 14063/2019, n. 16784/2020, n. 17321/2020, n. 7029/2023, n. 23287/2023, n. 26043/2023, n. 30663/2023, n. 107/2024, n.
5596/2024, n. 12787/2024, n. 21123/2024, n. 24523/2024)’;
la sussunzione argomentata dalla Corte territoriale nell’alveo di una condotta punibile con sanzione conservativa non è affatto irragionevole, mentre le censure formulate da parte ricorrente -inammissibilmente – in parte transitano attraverso una più estesa consistenza dei fatti che hanno condotto al licenziamento e in parte attraverso un diverso apprezzamento di merito circa la loro gravità;
quanto alla prospettata questione di legittimità costituzionale la stessa non illustra in qual modo l’interpretazione delle norme qui applicate contrasterebbe con i parametri costituzionali genericamente evocati e trascura di considerare, anche ai fini del la rilevanza della questione nell’ipotetico giudizio incidentale di costituzionalità, che l’esegesi qui avallata non priva di valenza disciplinare i fatti contestati, ma attiene esclusivamente alla tipologia di sanzione applicabile;
pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con le spese regolate secondo soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’Avv. NOME COGNOME che si è dichiarato antistatario;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 13 maggio 2025.
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME