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Confusione tra marchi: inibitoria per hotel di lusso

Una società alberghiera ha ottenuto un provvedimento d’urgenza contro un concorrente per l’uso di un nome simile per un nuovo hotel di lusso, generando confusione tra marchi. Il tribunale ha riscontrato una somiglianza fonetica e concettuale tra i segni, che si rivolgevano alla stessa clientela per servizi identici, ordinando la cessazione dell’uso del nome e fissando una penale per ogni futura violazione.

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Pubblicato il 27 agosto 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Confusione tra Marchi: Stop all’Uso del Nome Simile per un Nuovo Hotel di Lusso

Il Tribunale di Venezia, con una recente ordinanza, ha affrontato un interessante caso di confusione tra marchi nel competitivo settore dell’hotellerie di lusso. La decisione stabilisce principi importanti sulla tutela dei marchi forti e sulla concorrenza sleale, anche quando la nuova attività non è ancora stata avviata. Un’azienda titolare di un rinomato hotel ha ottenuto un’inibitoria contro una società concorrente che si apprestava a lanciare una nuova struttura utilizzando un nome molto simile, ritenuto idoneo a ingannare la clientela.

I fatti del caso

Una società che gestisce un lussuoso hotel in un palazzo storico di Venezia, titolare di marchi registrati contenenti un nome storico specifico, ha citato in giudizio un’altra impresa del settore. Quest’ultima stava promuovendo l’imminente apertura di un nuovo hotel di lusso, situato in un altro palazzo nobiliare con un nome quasi identico, in partnership con un noto brand internazionale del lusso.

La società ricorrente lamentava che l’uso del nome da parte del concorrente, sia nelle domande di registrazione di nuovi marchi europei sia nel materiale promozionale, violasse i propri diritti di marchio e costituisse un atto di concorrenza sleale, creando un evidente rischio di confusione per il pubblico e un pericolo di sviamento della clientela.

La società resistente si difendeva sostenendo che i marchi della ricorrente fossero deboli, in quanto legati a un cognome diffuso e a un toponimo, e che l’aggiunta del proprio prestigioso brand partner fosse sufficiente a differenziare le due offerte, escludendo ogni possibilità di confusione.

La decisione del Tribunale e la confusione tra marchi

Il Giudice ha accolto il ricorso, emettendo un’ordinanza cautelare di inibitoria. Alla società resistente è stato ordinato di cessare immediatamente l’utilizzo del nome contestato in qualsiasi forma (marchio, insegna, materiale pubblicitario, sito web) per contraddistinguere i propri servizi alberghieri.

Il Tribunale ha inoltre fissato una penale di 1.000 euro per ogni violazione futura dell’ordine e ha disposto la pubblicazione del provvedimento sul sito internet della società resistente per trenta giorni, condannandola anche al pagamento delle spese legali.

Le motivazioni

La decisione si fonda su un’attenta analisi comparativa tra i marchi e i servizi offerti. I punti chiave del ragionamento del Giudice sono i seguenti:

1. Forza del Marchio Anteriore: Il Tribunale ha qualificato i marchi della ricorrente come “forti”. L’elemento centrale, ovvero il nome storico, è stato ritenuto altamente distintivo e privo di attinenza concettuale diretta con i servizi alberghieri. La sua notorietà toponomastica limitata non era sufficiente a renderlo descrittivo.

2. Somiglianza tra i Segni: È stata riscontrata una “forte somiglianza” tra i segni. Foneticamente, il nucleo comune era quasi identico. Le piccole differenze, come l’aggiunta di una parola breve (“Donà”) o la doppia consonante, sono state giudicate irrilevanti. Anche a livello visivo e concettuale, la presenza della parola “Palazzo” e il riferimento a una dimora storica creavano un’assonanza significativa.

3. Irrilevanza del Brand Partner: Il Giudice ha ritenuto che l’aggiunta del noto brand di lusso (es. “Orient Express”) al nome contestato non solo non eliminasse la confusione, ma potesse addirittura aggravare il problema, inducendo nel consumatore un “rischio di associazione”, ovvero la convinzione erronea dell’esistenza di un legame commerciale tra le due imprese.

4. Identità dei Servizi e del Target: Entrambe le strutture offrono servizi alberghieri di lusso (classe 43) a Venezia, rivolgendosi alla stessa fascia “alta” di clientela internazionale. Questa identità di mercato e di servizi ha reso il rischio di confusione concreto e attuale.

5. Concorrenza Sleale Confusoria: L’utilizzo del segno simile è stato qualificato come illecito di concorrenza sleale confusoria ai sensi dell’art. 2598 n. 1 c.c. Il Giudice ha specificato che, per configurare tale illecito, non è necessario che l’attività del concorrente sia già pienamente operativa, essendo sufficiente il pericolo di un danno potenziale.

Le conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale nella tutela della proprietà intellettuale: un marchio forte gode di una protezione ampia che non può essere aggirata con lievi modifiche o aggiunte, specialmente se queste non alterano il “cuore” distintivo del segno. La decisione sottolinea come, nel valutare la confusione tra marchi, si debba adottare la prospettiva del consumatore medio, che spesso presta un’attenzione limitata e si affida al ricordo evocativo del nucleo del marchio. Infine, il provvedimento chiarisce che la concorrenza sleale è un illecito “di pericolo”, che può essere sanzionato anche in una fase meramente promozionale, prima che il danno economico si sia pienamente concretizzato, per prevenire lo sviamento della clientela e la perdita di quote di mercato.

Quando un nome utilizzato da un concorrente è considerato fonte di confusione tra marchi?
Secondo l’ordinanza, si ha confusione quando esiste una forte somiglianza fonetica, visiva e concettuale tra i segni e quando i servizi offerti sono identici e si rivolgono allo stesso pubblico. Nel caso specifico, il nucleo quasi identico del nome e l’offerta di servizi alberghieri di lusso nella stessa città sono stati decisivi.Aggiungere un brand famoso a un nome simile a un marchio registrato è sufficiente per escludere la violazione?
No. Il Tribunale ha stabilito che l’aggiunta di un brand noto non solo non elimina il rischio di confusione, ma può anzi creare un rischio di associazione, portando il pubblico a credere erroneamente che esista una partnership tra le due aziende.

È necessario che un’attività commerciale sia già aperta al pubblico per essere citata per concorrenza sleale?
No. L’ordinanza chiarisce che l’illecito concorrenziale è un “illecito di pericolo”. Ciò significa che non è necessaria la produzione di un danno attuale, ma è sufficiente la potenzialità che la condotta (in questo caso, l’uso promozionale di un nome confondibile) possa causare un pregiudizio, come lo sviamento della clientela, anche prima dell’apertura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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